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Conflitto di interessi 231: ricorso nullo per l’ente

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili due ricorsi contro un sequestro preventivo per reati tributari. Il ricorso della società è nullo a causa del conflitto di interessi 231 del suo legale rappresentante, indagato per il medesimo reato. Il ricorso dell’imprenditore è respinto perché basato su critiche alla motivazione, non ammesse in questa sede, anziché su violazioni di legge.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Conflitto di interessi 231: La Cassazione e il ricorso nullo dell’ente

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di responsabilità degli enti, chiarendo i limiti della rappresentanza legale in caso di conflitto di interessi 231. La decisione analizza l’inammissibilità di un ricorso presentato da una società per il tramite del suo legale rappresentante, a sua volta indagato per i reati presupposto. Questo caso offre spunti cruciali sulla tutela della posizione processuale dell’ente e sui confini del diritto di impugnazione.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’indagine per reati tributari e associazione per delinquere a carico di un imprenditore, legale rappresentante di una società energetica. A seguito delle indagini, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) disponeva un ingente sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, sia nei confronti dell’imprenditore che della società, quest’ultima chiamata a rispondere ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Il sequestro colpiva somme di denaro per quasi 10 milioni di euro, quale profitto dei reati fine, oltre a una somma minore quale profitto del reato associativo, e l’intera struttura aziendale della società a titolo di sequestro impeditivo.

Contro l’ordinanza del Tribunale che rigettava l’appello avverso il provvedimento del GIP, l’imprenditore presentava due distinti ricorsi per cassazione: uno in proprio e uno in qualità di legale rappresentante della società.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, sebbene per ragioni giuridiche differenti e autonome.

1. Il ricorso della società: È stato ritenuto radicalmente nullo perché presentato da un difensore nominato da un soggetto, il legale rappresentante, privo del potere di farlo. Essendo quest’ultimo indagato per il reato presupposto da cui dipende la responsabilità dell’ente, si configura una situazione di conflitto di interessi presunta dalla legge.
2. Il ricorso dell’imprenditore: È stato dichiarato inammissibile perché le censure mosse non rientravano nei limiti della ‘violazione di legge’, unico motivo di ricorso consentito dall’art. 325 del codice di procedura penale in questa materia. Le doglianze, infatti, si concentravano sulla presunta carenza o illogicità della motivazione, aspetti che non possono essere sindacati in sede di legittimità per le misure cautelari reali.

Analisi del conflitto di interessi 231 e la nullità del mandato

Il punto centrale della sentenza riguarda il conflitto di interessi 231. L’articolo 39 del D.Lgs. 231/2001 stabilisce che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, ‘salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo’. La giurisprudenza ha costantemente esteso questa previsione anche alla fase delle indagini preliminari, equiparando l’indagato all’imputato.

La Corte ribadisce che questa norma crea una presunzione assoluta (iuris et de iure) di conflitto di interessi. La posizione dell’amministratore-indagato e quella della società-incolpata sono considerate intrinsecamente divergenti. Di conseguenza, l’amministratore perde la capacità di rappresentare l’ente nel procedimento penale, inclusa la facoltà di nominare un difensore.

Un mandato difensivo conferito da un soggetto privo di poteri è nullo, e tale nullità si trasmette all’atto processuale compiuto dal difensore, ovvero il ricorso per cassazione. Questa nullità, secondo la Corte, è talmente grave da essere rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

I limiti del ricorso per violazione di legge

Per quanto riguarda il ricorso personale dell’imprenditore, la Corte ha applicato un altro principio consolidato. Il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo (art. 325 c.p.p.) è un rimedio a critica vincolata: è ammesso solo per violazione di legge.

In questa nozione rientrano gli errori di diritto (applicazione o interpretazione errata di una norma) e i vizi di motivazione talmente gravi da renderla inesistente, meramente apparente o palesemente illogica. Non è invece consentito al ricorrente chiedere alla Cassazione una nuova valutazione dei fatti o contestare la coerenza argomentativa del giudice di merito, come se fosse un terzo grado di giudizio. Nel caso di specie, le critiche del ricorrente sulla sussistenza del fumus delicti e del periculum in mora sono state giudicate come tentativi di ottenere una rivalutazione del merito, e quindi inammissibili.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione su due binari paralleli. Per la società, la motivazione si fonda sull’interpretazione dell’art. 39 del D.Lgs. 231/2001, che mira a garantire all’ente una difesa tecnica autonoma e non condizionata dagli interessi personali del suo amministratore, potenzialmente in contrasto con quelli societari. La nullità del mandato difensivo è la conseguenza diretta e insanabile di questa incapacità a rappresentare l’ente in giudizio.

Per l’imprenditore, la motivazione risiede nella natura stessa del giudizio di legittimità in materia cautelare. La Corte non è un giudice del fatto, ma un custode della corretta applicazione della legge. I motivi di ricorso che si limitano a contestare la ricostruzione fattuale o la logicità della decisione del Tribunale, senza individuare una specifica norma violata, esulano dall’ambito del sindacato di legittimità e sono pertanto destinati all’inammissibilità.

Le Conclusioni

La sentenza consolida due importanti principi procedurali. In primo luogo, rafforza la tutela dell’ente nel procedimento ex D.Lgs. 231/2001, impedendo che la sua difesa sia gestita da un legale rappresentante in potenziale conflitto di interessi. Le società devono essere consapevoli che, in tali situazioni, è necessario nominare un rappresentante ad hoc per il procedimento penale. In secondo luogo, ricorda ai difensori i limiti rigorosi del ricorso per cassazione avverso le misure cautelari reali, che deve concentrarsi esclusivamente sulla violazione di norme di legge e non su una generica contestazione delle valutazioni del giudice di merito.

Perché il ricorso presentato nell’interesse della società è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’atto è stato sottoscritto da un difensore il cui mandato era nullo. Il mandato era stato conferito dal legale rappresentante della società, il quale era a sua volta indagato per il reato presupposto da cui dipendeva la responsabilità dell’ente. Questa situazione crea un conflitto di interessi presunto per legge (art. 39 D.Lgs. 231/2001) che priva il legale rappresentante del potere di nominare un difensore per la società.

Può il legale rappresentante di una società, indagato per un reato commesso nell’interesse dell’ente, rappresentare la società stessa nel procedimento penale?
No. Secondo la Corte, l’art. 39 del D.Lgs. 231/2001 stabilisce che il legale rappresentante indagato o imputato del reato presupposto non può rappresentare l’ente nel procedimento penale. Si presume un conflitto di interessi insanabile che gli toglie la capacità di compiere atti processuali in nome della società, come la nomina di un difensore.

Quali sono i limiti del ricorso per Cassazione contro un’ordinanza in materia di sequestro preventivo?
Il ricorso per Cassazione in materia di misure cautelari reali, come il sequestro preventivo, è ammesso esclusivamente per il motivo di ‘violazione di legge’, come previsto dall’art. 325, comma 1, del codice di procedura penale. Non è possibile contestare la ricostruzione dei fatti o la coerenza e logicità della motivazione del provvedimento, a meno che la motivazione sia totalmente assente, meramente apparente o manifestamente illogica, casi in cui essa stessa si traduce in una violazione di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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