Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9979 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9979 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato in Albania il 17/12/1991
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 7/6/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 7.6.2024, la Corte d’Appello di Roma ha deciso in ordine alla confisca di un’autovettura Audi A3, a seguito dell’annullamento con rinvio su questo punto y , s cia parte della Quinta Sezione della Corte di Cassazione l della sentenza con cui in data 15.11.2019 la Corte d’Appello di Roma aveva condannato NOME COGNOMEunitamente a NOMECOGNOME per il reato di cui all’art. 617 -quinquies cod. pen. e aveva ordinato la misura di sicurezza in relazione alla predetta auto su cui era stato installato un cd. jannmer al fine di impedire le comunicazioni telefoniche e telematiche.
1.1 La sentenza della Corte d’Appello di Roma del 15.11.2019 aveva confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata disposta la confisca dell’autovettura Audi A3 perchè “asservita in via senza dubbio prevalente alla commissione di delitti contro il patrimonio”.
In particolare, i giudici di secondo grado avevano considerato l’autovettura “bene a servizio della commissione del reato di cui all’art. 617 quinquies c.p., giacché l’apparecchiatura jammer era stata sistemata sul sedile posteriore”.
1.2 La Quinta Sezione della Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio la confisca dell’autovettura, ritenendo che la motivazione non soddisfacesse i requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per giustificare la confisca facoltativa di cose servite a commettere il reato, la quale può dirsi legittima solo quando si è dimostrata la relazione di asservimento tra cosa e reato, nel senso che la prima deve essere oggettivamente collegata al secondo non da un rapporto di meno occasionalità, ma da uno stretto nesso strumentale, che riveli la probabilità del ripetersi di un’attività punibile: di conseguenza, ai fini della legittimità della confisca facoltativa di autovettura utilizzata per commettere un reato, si è pretesa la dimostrazione di un collegamento stabile del veicolo con l’attività criminosa.
La sentenza rescindente, pertanto, considerava che, nel caso di specie, la pronuncia del 15.11.2019 avesse utilizzato, per dare conto della collocazione del jammer all’interno dell’autovettura, il termine “sistemazione”, che non è tale da descrivere in maniera inequivoca il rapporto di stabile asservimento del veicolo all’attività criminosa.
1.3 La sentenza oggi impugnata ha confermato la confisca dell’autovettura, richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo cui per “cose che servirono a commettere il reato” ex art. 240, comma 1, cod. pen., devono intendersi quelle impiegate nell’esplicazione dell’attività punibile, senza che debba sussistere un rapporto causale diretto e immediato tra la cosa e il reato nel senso che la prima debba apparire indispensabile per l’esecuzione del secondo.
Sulla base di questo principio, la Corte d’Appello ha osservato che dagli atti è emerso che il jammer si trovava posizionato sul sedile posteriore dell’autovettura ed era in funzione, con sei antenne nella parte superiore e i led accesi. Secondo quanto accertato dalla perizia elettronica, la portata inibitoria dello strumento era di circa dieci metri e il dispositivo era in grado di generare segnali elettromagnetici inibitori del corretto funzionamento di cellulari e radiocomandi.
Di conseguenza, è da ritenersi dimostrato che la vettura sia stata utilizzata per la commissione del reato, essendo evidente che la condotta delittuosa aveva come presupposto un trasporto del jammer nella pubblica via e che l’uso del veicolo era senz’altro indispensabile, non essendo ipotizzabili o comunque disponibili mezzi di trasporto alternativi dello strumento.
Sussisteva, dunque, un nesso di strumentalità tra l’autovettura e il reato commesso: per le caratteristiche fisiche del jammer, si può ritenere che sarebbe stato trasportato anche per la commissione di futuri reati, come desumibile anche dalla presenza di numerosi arnesi da scasso, di ricetrasmittenti e decodificatori.
Secondo i giudici di secondo grado, in definitiva, la misura di sicurezza è legittima, perché la confisca dell’autovettura – da considerarsi mezzo asservito al reato – tende a prevenire la consumazione di ulteriori reati dello stesso tipo.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore del condannato, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla confisca.
Evidenzia che, al momento del controllo da parte della polizia giudiziaria, il jannmer era acceso, ma semplicemente poggiato sul sedile posteriore senza alcun collegamento al veicolo. Peraltro, si trattava di un apparecchio di pochi centimetri, sicché l’assunto secondo cui l’uso del veicolo era indispensabile non è condivisibile, in quanto il jammer è trasportabile anche su altri mezzi di trasporto più piccoli o sulla persona.
Di conseguenza, la Corte d’Appello non si è attenuta ai principi indicati nella sentenza rescindente.
Con requisitoria scritta trasmessa il 28.10.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto la motivazione della sentenza impugnata è logica e adeguata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere disatteso.
La giurisprudenza di legittimità più recente ritiene sufficiente, ai fini della confisca facoltativa, l’accertamento di un nesso di strumentalità “in concreto” tra la cosa e il reato, così superando l’idea di un necessario nesso di indispensabilità che configuri un rapporto causale diretto ed immediato tra l’una e l’altro, tale per cui la prima debba apparire come indispensabile per l’esecuzione del secondo (Sez. 2, n. 10619 del 24/11/2020, dep. 2021, Rv. 280991 – 01).
Per “cose che servirono a commettere il reato”, ai sensi dell’art. 240, comma 1, cod. pen., devono intendersi quelle impiegate nella esplicazione dell’attività punibile, e il nesso di strumentalità tra la cosa ed il reato – bastevole per legittimare l’adozione del provvedimento applicativo della misura di sicurezza reale – va ricercato considerando il ruolo rivestito dalla cosa nella realizzazione dell’illecito e le modalità di commissione del reato. In tal senso, la confisca delle
cose che servirono o furono destinate a commettere il reato integra una misura di sicurezza patrimoniale che tende a prevenire la consumazione di futuri reati mediante l’esproprio di cose che, per essere collegate all’esecuzione di illeciti penali, manterrebbero viva l’attrattiva del reato, se lasciate nella disponibilità del reo. Ne deriva che la confisca in esame implica un rapporto di “asservimento” tra cosa e reato, nel senso che la prima deve essere oggettivamente collegata al secondo da uno stretto nesso strumentale che riveli effettivamente la possibilità futura del ripetersi di un’attività punibile, non essendo invece sufficiente un rapporto di mera occasionalità (Sez. 6, n. 3711 del 9/1/2013, Rv. 254573 – 01; Sez. 3, n. 33432 del 3/7/2023, Rv. 285062 – 01).
Ciò premesso, la motivazione della sentenza impugnata ha dato correttamente conto, in primo luogo, che l’autovettura è certamente servita, nell’episodio giudicato, a trasportare il jannmer funzionante.
Acquisito tale dato, la Corte d’Appello, poi, valorizza adeguatamente la circostanza, mutuabile anche dalle precedenti sentenze di merito, secondo cui la disponibilità del COGNOME era funzionale alla commissione di delitti contro il patrimonio: ciò anche sulla base dell’esito della perquisizione, che aveva consentito di rinvenire nella medesima autovettura numerosi arnesi da scasso, ricetrasmittenti e decodificatori.
In via del tutto logica, quindi, la sentenza ipotizza che il trasporto del jammer fosse prodromico rispetto a condotte delittuose da commettersi in luoghi o su cose assicurate da sistemi di protezione di tipo elettronico, il cui funzionamento l’uso dello strumento in questione era volto ad inibire.
Sotto questo profilo, è possibile sostenere ragionevolmente che, agendo gli imputati in numero di due e dovendo muoversi sul territorio alla ricerca di occasioni propizie per la commissione dei delitti contro il patrimonio, non potessero portare con sé il jammer se non con un autoveicolo (da escludersi che potessero farlo, come sostiene il ricorso, a piedi o con ciclomotore), anche perché altrettanto difficile sarebbe stato che le eventuali refurtive venissero poi trasportate se non appunto – con un autoveicolo.
In questo modo, pertanto, costituisce condivisibile approdo del ragionamento probatorio sia l’esclusione, per un verso, della mera occasionalità del collegamento tra l’autovettura e il reato, sia l’affermazione, per l’altro, della possibilità futura del ripetersi di un’attività punibile.
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29.11.2024