Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33632 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 33632  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2025
1. Con sentenza del 17 marzo 2025 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova ha applicato a NOME COGNOME, a sua richiesta, la pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa in relazione al reato di cui agli artt. 73, comma 1, e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 per avere detenuto n. 13 panetti di sostanza stupefacente tipo cocaina con principio corrispondente a ca. kg. 6, 126, 522, reato commesso in Padova e Faenza il 12 dicembre 2024. Ha disposto, con la sentenza, la confisca dell’autovettura Peugeot
TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, intestata all’imputato «risultando che trattatasi di veicolo appositamente modificato per il trasporto dello stupefacente».
Con i motivi di ricorso NOME COGNOME chiede l’annullamento della sentenza e deduce:
2.1. violazione di legge, per erronea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 309/1990 non sussistente in presenza del quantitativo di principio attivo;
2.2. violazione di legge per la disposta confisca del veicolo poiché, come si  rileva  dalla  richiamata  nota,  la  modifica  apportata  non  era  strutturale  ma ‘modificabile con il ripristino della normale funzione dell’autoveicolo: il che rende non sussistente la condizione di ‘stabilità’ della destinazione al veicolo ai fini della commissione di fatti illeciti, come richiesto da Sez. 3, n. 12863 del 09/01/2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va ricordato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2bis , cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, in applicazione del principio la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata che aveva erroneamente qualificato come furto aggravato un fatto che, sulla base del capo di imputazione e della motivazione della sentenza, doveva qualificarsi invece quale tentativo di rapina impropria aggravata Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, Rv. 281116).
Astrattamente la verifica della sussistenza di una circostanza aggravante è sussumibile nella nozione di ‘qualificazione giuridica del fatto’ ma, a tal fine, occorre, pur nell’ambito della deducibilità di tale vizio con il ricorso per cassazione, che si sia in presenza di una deduzione suscettibile di positivo apprezzamento e non oggetto, come nel caso in esame, di mera e assertiva affermazione: il principio attivo della sostanza stupefacente detenuta e trasportata dall’imputato consta, infatti, di un valore elevato, pari a ca. 6,126 chilogrammi, dato quantitativo che rientra appieno nella nozione di ingente quantità come precisata nella giurisprudenza di questa Corte. In tema di produzione, traffico e detenzione illeciti
di sostanze stupefacenti, infatti, l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma  restando  la  discrezionale  valutazione  del  giudice  di  merito,  quando  tale quantità sia superata. (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, Pg., Rv. 253150).
Evidente, pertanto, è il superamento, per valore ingente, del principio attivo della  dose  media  giornaliera,  che  per  la  cocaina  è  pari  a  0,5  mg.,  dello stupefacente detenuto dall’imputato.
Ma univocamente depongono in tal senso anche le circostanze e modalità del fatto  poiché  il  ricorrente  trasportava  13  panetti  di  cocaina,  una  fornitura evidentemente destinata al rifornimento di un vasto giro di cessioni.
3.Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato al confronto con le condizioni del bene oggetto di confisca, condizioni che sono sintomatiche dell’uso del veicolo appositamente per la realizzazione di condotte illecite e che ne dimostrano lo stretto nesso strumentale con la commissione del reato (cfr. Sez. 2, n. 29457 del 05/06/2019, Rv. 276671), essendo irrilevante la ‘definitività’ dell’asservimento che, secondo le generiche deduzioni del ricorrente, sarebbe transitorio e rimovibile con il ripristino delle caratteristiche originarie del veicolo.
Va precisato che la disposizione dell’art. 240, secondo comma, n. 2 cod. pen. ─ che configura uno dei casi di confisca cosiddetta obbligatoria, nei quali tale misura di sicurezza è adottabile anche quale effetto dell’applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 445, primo comma cod. proc. pen. ─ rientra l’ipotesi in cui l’incriminazione del possesso della cosa dipende non solo dalla sua intrinseca natura, ma anche da condizioni personali del possessore, che confluiscano, con la materialità della condotta, in una previsione punitiva.
È, dunque, rilevante ai fini della confisca del veicolo, anche qualora le sue condizioni di strumentalità con la commissione del reato siano rimovibili, la natura sanzionatoria del provvedimento di confisca in cui confluiscono, ai fini dell’applicazione, valutazioni inerenti alla persona del colpevole ed alla accertata utilizzazione del bene alla commissione del reato. Si tratta, infatti, di circostanze che concorrono nel giudizio di gravità del fatto e di strumentalità del mezzo impiegato nella commissione del reato sicché non risulta di per sé sproporzionata la confisca del veicolo in ragione della precarietà delle modifiche apportate e astrattamente suscettibili di ripristino dello stato della res .
4. Il ricorrente, in conseguenza della inammissibilità del ricorso, deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del
procedimento e, considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la  somma, determinata  in  via  equitativa,  di  tremila  euro,  in  favore  della  Cassa  delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  processuali  e  della  somma  di  euro  tremila  in  favore  della  cassa  delle ammende.
Così deciso il 10 settembre 2025
La Consigliera relatrice NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME