Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 836 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 836 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla terza interessata COGNOME NOMECOGNOME nata a Bagnolo Mella il 28/06/1955 nel procedimento di prevenzione nei confronti di COGNOME NOME avverso il decreto del 17/04/2023 della Corte di appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe indicata, la Corte di appello di Brescia rigettava il ricorso proposta dalla terza interessata NOME COGNOME avverso il decreto del 24 giugno 2022 del Tribunale di Brescia che aveva disposto la confisca di prevenzione di beni immobili intestati alla predetta, nell’ambito del procedimento di prevenzione nei confronti del coniuge, NOME COGNOME.
Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazione la COGNOME denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 27, comma 2, e 10, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 e al termine di 30 giorni.
La difesa ritiene che anche il decorso del termine di 30 giorni previsto per la decisione da parte della corte di appello del ricorso determini la perdita di efficacia della misura provvisoria reale, al pari di quanto stabilisce il sesto comma 27 cit. per la confisca. Comune è la ratio delle norme, volte a contenere la durata della misura reale.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 10, comma 1, 23, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, 568 e 591 cod. proc. pen.
La Corte di appello ha ritenuto la ricorrente priva della legittimazione ad impugnare il decreto sui punti spettanti al solo proposto, ovvero quelli relativi ai presupposti per l’applicazione della misura ablativa.
L’orientamento seguito dalla Corte di appello non è univoco: in senso contrario si pone Sez. 5, n. 12374 del 2017.
La ricorrente aveva inoltre contestato la mancanza di pericolosità sociale qualificata in capo al COGNOME nel periodo antecedente gli acquisti, al fine di perimetrare dal punto di vista cronologico e economico la confisca e dimostrare l’incapacità del proposto di formare una provvista economica nel periodo antecedente l’acquisizione dei beni oggetto di indagine (gli acquisti erano datati tra il 1991 e il 1993 e precedentemente il proposto aveva avuto un ruolo marginale nella vicenda che lo vedeva coinvolto, tale da non consentire di ritenere quei beni nella sua disponibilità). Quindi era evidente l’interesse della ricorrente alla censura.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 23 e 24 d.lgs. n. 159 del 2011 e alla proprietà dell’immobile di INDIRIZZO
Non è condivisibile la conferma della confisca per intero dell’immobile di INDIRIZZO acquistato in parte dalla madre della ricorrente (deceduta) con sua provvista.
La captazione utilizzata dai giudici per attribuire tutto l’immobile alla ricorrente da un lato verrebbe a smentite la tesi della interposizione con il proposto e dall’altro si rivela neutrale rispetto alla provenienza lecita di parte della provvista utilizzata per l’acquisto.
La Corte di appello ha ritenuto l’acquisto fatto per contanti sol perché difettavano prove del pagamento. Peraltro, si trattava di acquisto risalente a 30 anni prima e comunque dagli atti (ovvero dalla vendita nel 1990 di un immobile
ereditato) era emerso che la madre della ricorrente aveva acquistato parte di un immobile con un versamento a favore di quest’ultima.
Sul punto la motivazione è apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
In tema di procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, si è già più volte affermato in sede di legittimità – e rispetto a tale orientamento nessun nuovo argomento giuridico risulta avanzato nel ricorso – che i termini entro i quali, ai sensi dell’art. 7, comma 1, e 10, comma 2, del d. Igs. 6 settembre 2011 n.159, il Tribunale e la Corte di appello devono provvedere, rispettivamente, sulla proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e sul ricorso in appello avverso il decreto di primo grado, sono di natura ordinatoria, in mancanza della previsione di qualsiasi sanzione per il mancato rispetto degli stessi (tra tante, Sez. 1, n. 23407 del 24/03/2015, Rv. 263963).
3. La questione posta dal secondo motivo è parimenti inammissibile.
Già questa Corte, prima della proposizione del presente ricorso (Sez. 1, n. 18761 del 17/01/2023), ha osservato come debba ritenersi ormai “superato” l’isolato, precedente, tentativo ermeneutico (Sez. 5, n. 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, Rv. 272608) in forza del quale si attribuiva al terzo – che rivendicava l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo in tema di confisca di prevenzione – la legittimazione e l’interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazione, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto.
Risulta infatti consolidato e prevalente l’orientamento di segno opposto, seguito dal Tribunale, nel caso in esame, secondo cui, nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre non è legittimato a sostenere che il bene sia di effettiva proprietà del proposto, essendo del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti di quest’ultimo – quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso – e che solo costui può avere interesse a far valere (da ultimo, tra tante, Sez. 1, n. 35669 del 11/05/2023, Rv.
285202; Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, dep. 2021, Rv. 280249; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Rv. 277225).
Il Tribunale ha in tal senso motivato, dando atto dell’isolato orientamento minoritario, e la ricorrente si è limitata a riproporre in questa sede la medesima tesi, non confrontandosi con le argomentazioni giuridiche sulle quali riposa l’esegesi più consolidata, secondo cui solo dimostrando la sua effettiva proprietà sul bene, il terzo ne può ottenere la restituzione “in proprio”, mentre negli altri casi agirebbe a tutela della posizione del proposto.
Il terzo motivo declina vizi non consentiti, in quanto la motivazione non può definirsi inesistente o apparente.
Già questa Corte ha affermato in tema di sindacato di legittimità sulla motivazione delle misure di prevenzione che è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, ipotesi che non ricorre in presenza della mera deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Rv. 279284).
Con riguardo all’acquisto il 12 febbraio 1991 dell’immobile di INDIRIZZO la Corte di appello ha motivato, fornendo una chiara dimostrazione, strettamente collegata alle evidenze processuali, in ordine alla effettiva titolarità del cespite immobiliare acquistato dalla madre della ricorrente, richiamando in particolare la intercettazione nella quale la ricorrente rivendicava di aver pagato tutto l’immobile in questione: si trattava di confessione stragiudiziale, vieppiù avvalorata quanto all’effettiva provenienza della provvista dal pagamento della somma avvenuto in contanti, dall’accollo in parte del mutuo da parte della ricorrente, dalla circostanza che proprio nel periodo dell’acquisto il proposto si era cautelato dai rischi di una perquisizione abitando in un appartamento preso in locazione dalla ricorrente, dalla mancanza di risorse adeguate della ricorrente (all’epoca in stato di gravidanza).
La Corte di appello, oltre a spiegare perché tale acquisto era imputabile al proposto, ha anche affrontato tutte le deduzioni difensive (provenienza della somma dalla vendita di un cespite ereditato o da risparmi “sotto il materasso”).
Quanto al pagamento in contanti è appena il caso di evidenziare che era stata proprio la difesa a sostenere nell’impugnazione che la somma in contanti utilizzata
provenisse, oltre che dalla vendita di un bene ereditario, anche da “risparmi” della madre della ricorrente o ingenti guadagni della ricorrente.
In definita le doglianze finiscono per reiterare doglianze già adeguatamente esaminate dalla Corte di appello e censurare le conclusioni cui è pervenuto il decreto impugnato che la difesa definisce non “condivisibili”.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ila ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/11/2023.