Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43667 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43667 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/09/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME nata a Milano il DATA_NASCITA
rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
avverso l’ordinanza emessa in data 08/03/2024 del Tribunale di Milano, sezione del riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata richiesta dal difensore la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso; udita la discussione della difesa del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame, a seguito di appello proposto ai sensi dell’art. 322 bis cod.proc. pen., ha confermato l’ordinanza emessa dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano il 04/02/2024 con la quale era stata respinta la richiesta di restituzione della villa residenziale e relativo box di proprietà di COGNOME NOME, già sottoposti dapprima a sequestro preventivo con decreto emesso il 27/06/2023 dal giudice per le indagini preliminari e poi a confisca in sede di giudizio di merito.
1.1. Secondo il Tribunale tale vincolo era stato correttamente apposto (di qui la conferma del diniego di restituzione) in quanto tali beni erano stati acquistati dalla stessa COGNOME il 25 febbraio 2016 attraverso l’utilizzo di fondi (euro 269.799,90) distratti dalle società fallite RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e oggetto del delitto di riciclaggio contestato a COGNOME NOME e COGNOME NOME nonché di quello di autoriciclaggio addebitato a NOME COGNOME. All’esito di ri abbreviato, era poi intervenuta nei confronti di costoro condanna per i reati come sopra rispettivamente addebitati pronunciata con sentenza del 23/11/2023 del giudice per l’udienza preliminare di Milano il quale aveva disposto la confisca anche degli immobili in questione ai sensi degli artt. 240 bis, 322 ter, 640 quater e 648 quater cod. pen e, successivamente, rigettato la richiesta di restituzione oggetto della procedura di riesame.
In particolare, il provvedimento impugnato, richiamando la pronuncia di merito, ha ricostruito che la somma (euro 269.799,90) proveniente dalla distrazione dal patrimonio delle società fallite RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (i cu amministratori di diritto e di fatto concorrevano nel delitto di riciclaggio con COGNOME che rispondeva, invece di autoriciclaggio) era confluita, ad opera di COGNOME NOME e COGNOME NOME, di intesa con COGNOME NOME (zio di COGNOME NOMENOME, sul conto bancario di NOME COGNOME; quest’ultimo l’aveva utilizzata per l’acquisto degli immobili di cui si discute, di proprietà di NOME, sui quali insisteva pignoramento con avvio della procedura di esecuzione, e pochi mesi dopo lo stesso NOME aveva rivenduto i beni medesimi a NOME (figlia di NOME) la quale, per dotarsi della provvista necessaria per il pagamento del prezzo di Euro 320.000,00 (di gran lunga inferiore a quello
indicato nel contratto preliminare) aveva ottenuto da Banca Intesa un mutuo a suo nome esibendo nel corso della istruttoria della pratica documentazione artefatta creata ad hoc per ottenere il finanziamento. Il ricavato della vendita era stato poi trasferito dallo stesso NOME alla RAGIONE_SOCIALE che, a sua volt aveva girato alla RAGIONE_SOCIALE, società riconducibile al gruppo di riciclatori dalla quale proveniva la somma originaria distratta e pervenuta al NOME.
1.2. Il Tribunale del riesame riteneva poi l’assenza, in capo alla COGNOME, terza estranea ai reati di riciclaggio ed autoriciclaggio, del requisito della buona fede e dell’affidamento incolpevole rispetto alla operazione di acquisto degli immobili sequestrati e poi confiscati.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME, tramite il difensore di fiducia, articolando i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen, erronea applicazione della legge penale in relazione ai presupposti per l’applicazione del sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen. e della confisca ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen.
Rileva il ricorrente che il Tribunale del riesame, richiamandosi all’ordinanza di sequestro preventivo emessa dal giudice per le indagini preliminari e alla pronuncia di merito, ha qualificato gli immobili acquistati dalla NOME in termini di provento diretto dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio e che tal assunto non è corretto sul piano giuridico e neppure è sorretto da idonea motivazione.
Il provento del reato si identifica infatti nella somma di denaro tornata “ripulita” nella disponibilità del gruppo criminale facente capo a COGNOME NOME e non negli immobili di proprietà di COGNOME NOME.
L’acquisto degli stessi da parte di NOME COGNOME e la successiva vendita alla ricorrente hanno rappresentato solo dei passaggi intermedi della attività di riciclaggio (mai addebitata alla COGNOME la quale andrebbe considerata, quindi, terza estranea) che, dopo ulteriori trasferimenti di valore, è proseguita fino al rientro della somma “ripulita” nel patrimonio della società RAGIONE_SOCIALE; proprio tale somma- provento del reato- avrebbe dovuto essere sottoposta a sequestro, non certo i beni acquistati da NOME.
Il provvedimento ablatorio è quindi stato emesso in assenza dei presupposti di legge difettando il nesso di pertinenzialità tra la res ed il reato, nonchè il nesso tra la res e il responsabile dell’illecito.
2.2.Con il secondo motivo si deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen, in relazione alla ritenuta assenza di buona fede in capo alla ricorrente.
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Il Tribunale del riesame ha escluso che NOME sia terza estranea di buona fede ed al riguardo ha speso vari argomenti, nessuno dei quali costituisce una valida motivazione, in quanto meramente assertiva, è dunque mancante.
Il rapporto di parentela con il dominus della vicenda riciclatoria e la presenza di quest’ultimo al momento del rogito notarile non sono elementi sufficienti per affermare l’assenza di buona fede; inconferente è poi il riferimento nel provvedimento impugnato alla presentazione di documenti falsi da parte della COGNOME per ottenere il mutuo con cui erano stati acquistati gli immobili oggetto di sequestro preventivo e poi di confisca e ciò in considerazione del fatto che la banca non risulta avere presentato alcuna querela e nei confronti della ricorrente il pubblico ministero non ha coltivato l’accusa di truffa in danno dell’istituto d credito, originariamente ipotizzata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
2. E’ manifestamente infondato il primo motivo di ricorso con il quale si deduce che il sequestro preventivo e la successiva confisca degli immobili acquistati dalla ricorrente sarebbero illegittimi perché provento del reato era la somma di denaro ripulita, con conseguente difetto di pertinenzialità tra i beni in questione e gli illec di riciclaggio ed autoriciclaggio.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto raggiunta la prova piena (non solo il fumus) dei delitti di riciclaggio e di autoriciclaggio (quest’ultimo a carico di NOME COGNOME) in ragione del giudizio di condanna intervenuto con sentenza di primo grado, ma anche il nesso di pertinenzialità tra la res (cioè gli immobili acquistati dalla NOME oggetto di sequestro preventivo e poi di confisca) e tali reati, nonchè il rapporto tra detti beni e i responsabili degli illeciti. Al rigua ha evidenziato – come già ritenuto dal giudice di merito – che l’operazione immobiliare eseguita dal NOME aveva realizzato un duplice risultato: riscattare la villa che era stata pignorata a NOME (padre della odierna ricorrente la quale lì vi dimorava) e che sarebbe stata venduta all’asta per un costo inferiore al suo valore reale e, al contempo, trasformare una parte del denaro provento di reati in un’ operazione apparentemente lecita e quindi “ripulirlo”, rendendone così difficoltosa l’identificazione della provenienza delittuosa.
Alla luce della ricostruzione della vicenda, osserva questa Corte che i beni oggetto di sequestro preventivo e poi della statuizione di confisca rappresentano il prodotto della attività di riciclaggio realizzata da COGNOME NOME e COGNOME NOME e di autoriciclaggio compiuta da COGNOME, in quanto tale anch’esso aggredibile, aggredibile ai sensi dell’art. 648 -quater cod. pen., al pari del profitto del reato.
Gli immobili acquistati con le somme di provenienza illecita corrispondono infatti al risultato empirico della attività di trasformazione del denaro contante, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, 10218 del 23/01/2024, Pm c/Meliota, Rv. 286131; Sez. 2 n. 18184 del 28/02/2024, B. Rv. 286323-02).
La motivazione della sentenza impugnata, pur se da correggersi nella individuazione dell’oggetto della confisca che va qualificato come prodotto e non già come profitto dei reati di riciclaggio ed autoriciclaggio, è pertanto immune dalla denunciata violazione di legge.
3. E’ manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso.
L’orientamento consolidato di questa Corte, in tema di sequestro preventivo ai fini di confisca, è nel senso che la persona estranea al reato – nei confronti della quale non può essere disposta la misura di sicurezza ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 240 cod. pen. – si identifica nel soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – l’utilizzo del bene per fini illeciti (SU n. 9 del 28/04/1999, COGNOME, Rv. 213511, Sez. 1, n. 29197 del 17/06/2011, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 250804; Sez. 3, n. 29586 del 17/02/2017, C., Rv. 270250; Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Rv. 271441) e l’ordinanza impugnata ha dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali la ricorrente non può essere ritenuta tale.
Si è, peraltro, ulteriormente precisato come gravi sul terzo proprietario che assume essere estraneo al reato l’onere di una rigorosa dimostrazione del necessario presupposto della buona fede al fine di ottenere la restituzione del bene ed evitare la confisca, rilevando anche che, in tali casi, la dimostrazione richiesta non configura un’ipotesi di inversione di onere della prova che la legge penale non consente, poiché non riguarda l’accertamento della responsabilità penale (Sez. III n. 22026 del 29/4/2010, COGNOME, non massimata, Sez. 3, n. 46012 del 4/11/2008, Castellano, Rv. 241771; Sez. 3, n. 26529 del 20/5/2008, Torre, Rv. 240551; Sez. 3, n. 33281 del 24/6/2004, Datola, Rv. 229010; Sez. 3, n. 23818 del 29/03/2019, Rv. 275987).
Dei richiamati principi il Tribunale ha fatto buon uso osservando come gli elementi disponibili erano tali da escludere in capo alla COGNOME il requisito della buona fede inteso nel senso sopraindicato (pag. 14 dell’ordinanza impugnata).
Il collegio ha, infatti, raccordato tra loro una serie di elementi fattuali (che invece il ricorso parcellizza nell’ottica di una valutazione atomistica non consentita) i quali valutati sinergicamente, erano tali da delineare un quadro univoco (non smentito in alcun modo dall’interessata la quale nulla aveva introdotto in senso contrario) circa i vantaggi ed utilità conseguiti da costei dall’operazione immobiliare e l’assenza di un affidamento incolpevole. In particolare, ha attribuito rilievo non solo ai vincoli familiari esistenti tra i sogget coinvolti in tale operazione, ma anche alle concrete modalità di acquisto degli immobili da parte della ricorrente (la caparra concordata non era stata pagata all’atto della stipula del preliminare, la COGNOME aveva prodotto documentazione artefatta creata ad hoc allo scopo di ottenere un finanziamento bancario necessario per disporre della provvista, il pagamento del prezzo era stato di gran lunga inferiore al reale ed il rogito era stato stipulato con l’assistenza dello zio COGNOME NOME, indicato nell’ordinanza come gestore delle società fallite che, d’intesa con il COGNOME ed il COGNOME, aveva fornito al NOME la provvista necessaria per perfezionare le operazione di riciclaggio) e, infine, al risultato oggettivamente raggiunto consistito nel riottenere il possesso di un immobile pignorato che RAGIONE_SOCIALEmenti sarebbe stato messo all’asta e nel quale ella dimorava personalmente viveva con il padre, originario proprietario.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese iC processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. cr < . ··NOME AI' a ( -, 3 Così deciso, il giorno 20/09/2024.