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Confisca terzo buona fede: quando l’acquisto è a rischio

La Corte di Cassazione conferma la confisca di un immobile acquistato da una persona ritenuta non essere un terzo in buona fede. La sentenza chiarisce che il bene, comprato con denaro proveniente da riciclaggio e autoriciclaggio, costituisce il ‘prodotto’ del reato. La mancanza di buona fede è stata desunta da una serie di indizi, tra cui i legami familiari con i responsabili dell’illecito, le modalità anomale dell’acquisto e l’uso di documenti falsi per ottenere un mutuo. Il ricorso della proprietaria è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Terzo Buona Fede: La Cassazione e l’Acquisto di Immobili con Proventi Illeciti

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha ribadito principi fondamentali in materia di confisca verso un terzo in buona fede, in particolare quando l’oggetto del contendere è un immobile acquistato con fondi di provenienza illecita. La decisione conferma che la tutela del terzo acquirente non è assoluta e cede di fronte a un quadro indiziario che esclude la sua buona fede e il suo affidamento incolpevole. Analizziamo nel dettaglio questa pronuncia per comprendere i rischi e le tutele in operazioni immobiliari complesse.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un’operazione di riciclaggio e autoriciclaggio di fondi distratti da due società fallite. Una somma considerevole, provento di distrazione, veniva trasferita sul conto di un prestanome. Quest’ultimo utilizzava il denaro per acquistare all’asta un complesso immobiliare (villa e box) pignorato al padre della futura ricorrente. Pochi mesi dopo, lo stesso prestanome rivendeva gli immobili alla figlia del proprietario originario.

Per finanziare l’acquisto, la donna otteneva un mutuo da un istituto di credito, presentando documentazione creata ad hoc. Il prezzo di vendita, inoltre, risultava notevolmente inferiore al valore di mercato dell’immobile. Il ricavato della vendita veniva poi trasferito a società riconducibili al gruppo criminale, chiudendo così il cerchio dell’operazione di riciclaggio. A seguito delle indagini, gli immobili venivano sottoposti a sequestro preventivo e, successivamente, a confisca. La nuova proprietaria, ritenendosi terza estranea ai reati, presentava ricorso, che veniva però respinto sia dal Tribunale del riesame sia, in ultimo, dalla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando in via definitiva la confisca degli immobili. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi: la qualificazione dell’immobile come ‘prodotto’ del reato e la valutazione sull’assenza di buona fede in capo all’acquirente.

Le Motivazioni: la Confisca al Terzo e il concetto di Prodotto del Reato

La difesa della ricorrente sosteneva che oggetto della confisca avrebbe dovuto essere la somma di denaro ‘ripulita’ e non gli immobili, considerati solo un passaggio intermedio dell’attività criminale. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo un punto cruciale. Gli immobili non rappresentano il ‘profitto’, ma il ‘prodotto’ diretto dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio. L’attività illecita ha infatti trasformato il denaro contante di provenienza delittuosa in un bene immobile, rendendone più difficile tracciare l’origine. In quanto tale, l’immobile stesso è direttamente aggredibile con la misura della confisca, ai sensi dell’art. 648-quater c.p.

Le Motivazioni: l’Esclusione della Buona Fede e l’Onere della Prova

Il secondo e decisivo punto affrontato dalla Corte riguarda la posizione del terzo acquirente. La giurisprudenza consolidata stabilisce che la confisca non può essere disposta nei confronti di un terzo estraneo al reato che sia in buona fede. Tuttavia, la buona fede non è una semplice ignoranza, ma un ‘affidamento incolpevole’. Si richiede che il terzo non potesse conoscere, usando la diligenza richiesta dalla situazione concreta, l’utilizzo illecito del bene o la sua provenienza criminale.

La Corte ha evidenziato come gravi sul terzo che chiede la restituzione del bene l’onere di fornire una rigorosa dimostrazione della propria buona fede. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che la ricorrente non solo non avesse fornito tale prova, ma che una serie di elementi fattuali, valutati nel loro insieme, delineassero un quadro univoco di consapevolezza o, quantomeno, di colpevole negligenza:

1. Vincoli Familiari: La ricorrente era legata da stretti vincoli di parentela con i principali soggetti coinvolti nell’operazione (il padre, proprietario originario, e lo zio, indicato come gestore delle società fallite e ‘dominus’ del gruppo criminale).
2. Modalità dell’Acquisto: L’operazione era palesemente anomala. L’immobile, pignorato al padre e in cui lei stessa viveva, veniva ‘salvato’ dall’asta e poi rivenduto a lei a un prezzo di favore.
3. Documentazione Falsa: L’aver prodotto documenti artefatti per ottenere il mutuo bancario dimostrava una propensione all’illegalità e minava la credibilità del suo presunto affidamento incolpevole.
4. Presenza dello Zio al Rogito: La presenza del gestore di fatto del gruppo criminale al momento della stipula notarile era un ulteriore, forte, indizio di un coinvolgimento consapevole nell’operazione.

Questi elementi, secondo la Corte, non potevano essere ignorati e, complessivamente, escludevano che la ricorrente potesse essere considerata una terza estranea in buona fede.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia offre importanti lezioni pratiche. In primo luogo, sottolinea l’importanza di una due diligence approfondita in ogni operazione immobiliare, specialmente quando sono presenti anomalie come prezzi troppo bassi, passaggi di proprietà rapidi o il coinvolgimento di familiari in situazioni finanziarie complesse. In secondo luogo, ribadisce l’ampia portata dello strumento della confisca nei reati di riciclaggio, che può colpire non solo il denaro ma anche i beni in cui esso viene trasformato. Infine, chiarisce che per un terzo acquirente non è sufficiente affermare la propria estraneità al reato: è necessario dimostrare attivamente e rigorosamente di aver agito con la massima diligenza e di non aver potuto sospettare, in alcun modo, dell’origine illecita del bene.

Quando un bene acquistato da un terzo può essere confiscato per riciclaggio?
Un bene acquistato da un terzo può essere confiscato se risulta essere il prodotto o il profitto di un reato, come il riciclaggio, e se il terzo acquirente non era in buona fede. La buona fede si esclude quando il terzo sapeva o avrebbe potuto sapere, con la normale diligenza, dell’origine illecita del bene.

Cosa significa essere un ‘terzo in buona fede’ per la legge?
Significa essere una persona completamente estranea al reato che ha acquistato un bene senza avere alcuna consapevolezza della sua provenienza illecita. Non basta la semplice ignoranza, ma è necessario un ‘affidamento incolpevole’, ovvero dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta dalla situazione concreta per accertarsi della legittimità dell’operazione.

Quali elementi hanno dimostrato la mancanza di buona fede dell’acquirente in questo caso?
La mancanza di buona fede è stata dimostrata da una serie di elementi valutati nel loro insieme: gli stretti legami familiari con i soggetti autori del riciclaggio; le modalità anomale dell’acquisto (l’immobile era del padre, pignorato, ed è stato ‘recuperato’ a un prezzo di favore); la presentazione di documenti falsi per ottenere il mutuo; e la presenza del principale responsabile del gruppo criminale al rogito notarile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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