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Confisca telefono: quando è legittima nel reato?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per tentato furto aggravato, confermando la confisca del telefono dell’imputata. La Corte ha stabilito che contestare la legittimità della confisca del telefono, sostenendo la mancanza di prove sul suo utilizzo per commettere il reato, costituisce una rivalutazione del materiale istruttorio non ammessa in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Telefono: la Cassazione stabilisce i limiti del ricorso

La confisca del telefono cellulare come bene pertinente al reato è una misura sempre più frequente nei procedimenti penali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 16571/2025, chiarisce i limiti entro cui è possibile contestare tale provvedimento, specialmente in sede di legittimità. Questo articolo analizza la decisione e le sue implicazioni pratiche, fornendo un quadro chiaro per comprendere quando un ricorso contro la confisca ha probabilità di successo.

I fatti del caso: dal tentato furto al ricorso in Cassazione

Il caso ha origine da una sentenza del Tribunale di Firenze, con la quale un’imputata, tramite patteggiamento, ha concordato una pena per il reato di concorso in tentato furto in abitazione aggravato. Oltre alla pena detentiva e pecuniaria, il giudice ha disposto la confisca di alcuni beni sequestrati, tra cui il telefono cellulare trovato in possesso dell’imputata.

Contro questa decisione, la difesa ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando specificamente la legittimità della confisca del telefono. La tesi difensiva si basava sull’assenza di prove concrete che dimostrassero l’effettivo utilizzo del dispositivo per la preparazione o l’esecuzione del furto.

La decisione della Corte sulla confisca del telefono

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La motivazione principale risiede nella natura stessa del giudizio di legittimità. I giudici hanno sottolineato che la ricorrente, sostenendo la mancanza di prova sull’uso del telefono, stava di fatto chiedendo alla Cassazione una nuova valutazione degli elementi probatori. Questo tipo di riesame del merito, ovvero la ricostruzione dei fatti e l’analisi delle prove, è precluso alla Corte di Cassazione, il cui compito è limitato a verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi precedenti.

In altre parole, la Corte non può entrare nel merito di come il Tribunale abbia interpretato le prove, ma solo controllare se il ragionamento giuridico seguito sia stato corretto e privo di vizi logici. Poiché il motivo del ricorso si concentrava su una questione di fatto (se il telefono fosse stato o meno usato per il reato), è stato ritenuto un motivo non consentito in quella sede.

Le motivazioni

Il punto centrale della sentenza è il principio secondo cui il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. La ricorrente, contestando la confisca del telefono, avrebbe dovuto dimostrare un vizio di legge o un errore logico palese nella motivazione della sentenza impugnata, non semplicemente offrire una diversa interpretazione delle prove. La Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse implicitamente considerato il telefono come strumento pertinente al reato, e contestare questa valutazione fattuale esula dalle competenze della Cassazione.

Di conseguenza, l’inammissibilità del ricorso ha comportato non solo la conferma della confisca, ma anche la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Le conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la netta distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Chi intende impugnare un provvedimento di confisca di un bene, come un telefono cellulare, deve basare il proprio ricorso su vizi di legittimità (es. violazione di legge, motivazione mancante o illogica) e non su una semplice contestazione della ricostruzione dei fatti operata dal giudice. La decisione di procedere con la confisca del telefono rimane dunque ampiamente discrezionale per il giudice di merito, a meno che non si dimostri un errore giuridico evidente nel suo ragionamento.

È possibile contestare la confisca di un telefono in Cassazione sostenendo che non ci sono prove del suo uso nel reato?
No, secondo la sentenza in esame, tale contestazione rappresenta una richiesta di rivalutazione del materiale istruttorio, che non è ammessa in sede di legittimità. Il ricorso in Cassazione deve basarsi su motivi di diritto e non su questioni di fatto.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 c.p.p. In questo caso, la somma è stata fissata a 3.000,00 euro.

In quali casi un ricorso contro la confisca di un bene potrebbe essere accolto dalla Cassazione?
Un ricorso potrebbe essere accolto se si dimostra che il giudice di merito ha commesso un errore nell’applicazione della legge (violazione di legge) o se la motivazione della sentenza è manifestamente illogica, contraddittoria o del tutto assente, ma non se si contesta semplicemente la valutazione delle prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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