Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32578 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32578 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia;
nei confronti di:
COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Pavia il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA;
avverso la ordinanza n. 42/2023 del Tribunale di Pistoia del 13 settembre 2023;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il I PM, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata;
sentita, altresì, per i resistenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, l’AVV_NOTAIO, del foro di Perugia, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO COGNOME, del medesimo foro, la quale ha insistito per il rigetto del ricorso della pubblica accusa.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 13 settembre 2023, il Tribunale di Pistoia, adito in qualità di giudice del riesame, ha annullato il decreto di sequestro preventivo disposto a carico di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ai fini di confisca diretta o per equivalente, datato 18 luglio 2023, del GIP dello stesso Tribunale limitatamente agli importi eccedenti la somma euri 407.192,45 in parziale accoglimento delle richieste avanzate nell’interesse dei tre indagati; in particolare, il sequestro era intervenuto in relazione al reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo 3 dell’imputazione provvisoria, contestato a tutti e tre i ricorrenti in concorso).
Avverso suddetta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione il Pm presso il Tribunale di Pistoia, deducendo la violazione degli artt. 11 e 12-bis del dlgs n. 74 del 2000, in cui il medesimo Tribunale sarebbe incorso nell’affermare che il principio, precisato dalla giurisprudenza di legittimità, per cui il profitto del reato di cui al menzionato art. 11 è rappresentato dal valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti dell’amministrazione finanziaria per le imposte evase, e non dall’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, debba applicarsi limitatamente ai casi in cui tale ammontare superi il valore dei beni oggetto delle operazioni fraudolente; ciò in quanto, sempre secondo l’impostazione del Tribunale del riesame, nel caso opposto, in cui l’applicazione del medesimo principio avrebbe effetti in malam partem, la limitazione del profitto del reato sequestrabile alla soglia del valore del debito tributario inadempiuto sarebbe imposta dal principio di proporzionalità di cui agli artt. 3, 25 e 27 Cost., 17 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; nonché dall’interpretazione teleologica delle disposizioni del dlgs n. 74 del 2000, improntato alla tutela dell’adempimento delle obbligazioni tributarie ed al recupero delle somme dovute all’erario, quindi dalla necessaria configurazione della confisca ivi prevista come misura ristorativa (e non anche sanzionatoria) dell’interesse violato con il reato in contestazione; oltreché dal rilievo che il sequestro finalizzato alla confisca non possa avere ad oggetto cose di cui non sia consentita tale misura ablatoria finale; ed infine da quello per cui la giurisprudenza di legittimità avrebbe recentemente attribuito rilevanza alla estinzione del debito tributario nel senso di determinare l’illegittimità del decreto di sequestro preventivo emesso in relazione al reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, così implicitamente negando, secondo il giudice del riesame, che la nozione di profitto del reato in parola debba sempre essere ancorata al solo valore dei beni fraudolentemente sottratti alla garanzia dell’amministrazione finanziaria. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ebbene, a confutazione dell’impostazione ora richiamata, il Pm ricorrente ha osservato che l’individuazione del profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 nella riduzione, pur eccedente l’ammontare del debito tributario inadempiuto, del patrimonio dell’agente su cui il fisco ha il diritto di soddisfarsi sarebbe coerente con la struttura di reato di pericolo della fattispecie in parola; che i beni di cui sia contestata la sottrazione fraudolenta alla garanzia dei crediti dell’amministrazione finanziaria sarebbero confiscabili ex art. 240, comma 1, cod. pen. in quanto strumenti della consumazione del reato, a prescindere dalla relativa qualificazione come profitto dello stesso; infine, che l’illegittimità di un sequestro preventivo disposto nonostante l’intervenuto adempimento del debito tributario non dipenderebbe dal conseguente venir meno del reato o del profitto da esso derivante, bensì dal venir meno della stessa esigenza cautelare giustificativa della misura reale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e, pertanto, lo stesso merita accoglimento.
Deve preliminarmente premettersi che il sequestro è stato a suo tempo disposto dal Gip del Tribunale di Pistoia in relazione ad una provvisoria imputazione avente ad oggetto la violazione dell’art. 11 del dlgs n. 74 del 2000 per avere i tre indagati compiuto, secondo la ipotesi accusatoria, in concorso fra loro atti simulati o fraudolenti dismissivi del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE allo scopo di rendere vana o comunque inefficace la procedura di riscossione coattiva delle imposte da questa compagine societaria; come chiarito nella ordinanza impugnata, il Gip, ritenuta la sussistenza del fumus delicti, ha ritenuto di dovere assoggettare alla misura cautelare, strumentale ad una eventuale confisca ai sensi dell’art. 12-bis del citato dlgs n. 74 del 2000, non solamente beni aventi il valore del debito tributario gravante sulla RAGIONE_SOCIALE (la cui riscossione coattiva sarebbe stata resa quanto meno inefficace per effetto degli atti simulati o fraudolenti posti in essere dai tre indagati) ma l’intero valore dei beni oggetto delle predetta transazioni fraudolente, sebbene questo fosse superiore all’importo dei citati carichi tributari.
Una tale impostazione è stata ritenuta non corretta dal Tribunale di Pistoia, in funzione di giudice del riesame, avendo detto giudice ritenuto che in tale modo si giungerebbe al risultato di ipotizzare – data la strumentalità fra il sequestro preventivo e l’eventuale successiva confisca – la possibilità di disporre la confisca di beni aventi un valore superiore a quella della imposta la cui riscossione è stata resa inefficace; un argomentare diverso rispetto a quello propugnato dai giudici del riesame condurrebbe a far ritenere la misura della
confisca non semplicemente una misura di carattere ripristinatorio ma una misura di carattere sanzionatorio (una sorta, chiarisce il Tribunale di Pistoia, di sanzione pecuniaria, derivante da un meccanismo, definita da questo di overcompensation, la cui legittimità, dato il principio di riserva di legge in materia sanzionatoria penale, sarebbe consentita solo in caso di sua espressa previsione in una norma di legge o avente forza di legge).
Aggiunge il Tribunale che la conclusione cui è pervenuto il Gip si porrebbe in contrasto sia coi principi di carattere unionale aventi ad oggetto il principio di proporzionalità che deve animare gli strumenti giurisdizionali e gli effetti di questi, sia le analoghe regole desumibili dal testo della Carta costituzionale, sia, ancora, coi principi di carattere costituzionale connessi alla tutela della proprietà privata, la quale sarebbe autoritativamente distolta dal patrimonio dell’interessato, senza compensazione, in assenza di una giustificazione connessa alla illiceità della titolarità di essa.
Ritiene il Collegio, in adesione invece, alla tesi sviluppata dalla ricorrente Procura della Repubblica, che gli argomenti spesi dal Tribunale pistoiese non siano esaustivi delle problematiche che il tema sottopone all’attenzione dell’interprete.
Ed invero, sebbene l’art. 12-bis del dlgs n. 74 del 2000 – disposizione applicabile ratione temporis alla presente vicenda posto che la citata norma è stata introdotta con il dlgs n. 158 del 2015 ed i fatti per cui si procede sono intervenuti, secondo l’ipotesi accusatoria, sino al luglio 2018, data in cui la RAGIONE_SOCIALE è stata dichiarata fallita dal Tribunale pistoiese – prevede che, in caso di condanna o di applicazione di pena per uno dei reati previsti dal dlgs n. 74 del 2000, “è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo”, deve, tuttavia, rilevarsi che, altra norma, cioè l’art. 240, comma 1, cod. pen., non espressamente evocata dal Gip di Pistoia ma che, comunque, appare pertinente rispetto alla presente ipotesi, consente, nel caso di condanna, al giudice di procedere alla confisca, oltre delle cose che costituiscono il profitto od il prodotto del reato, anche di quelle che “servirono o furono destinate a commettere il reato”.
Fra queste, ritiene il Collegio che legittimamente, in una fattispecie quale è quella ora in esame, debbano essere ricompresi i beni che sono stati l’oggetto delle transazioni simulate o fraudolente che costituiscono la materiale condotta attraverso la quale si è determinato il reato in esame.
In tale senso si è, d’altra parte, espressa questa Corte allorché ha chiarito che in tema di reati tributari, i beni immobili appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell’art. 240, comma primo, cod. pen., in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale è stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione anche come prezzo o profitto di tale delitto (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 gennaio 2017, n. 3095, rv 268986; e, già prima, in termini sovrapponibili: Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 settembre 2009, n. 34798, rv 244781).
Ritiene il Collegio che un tale rilievo, facendo venire meno la esclusiva connessione fra la ratio del sequestro in questione ed il profitto o prezzo del reato, secondo la previsione di cui all’art. 12-bis del dlgs n. 74 del 2000, renda ultronei i rilievi che il Tribunale pistoiesi ha formulato in relazione alla pretesa natura sanzionatoria della confisca (e, pertanto, del sequestro ad essa funzionale) ove questa andasse a colpire beni aventi un valore superiore alle imposte la cui riscossione è stata messa a repentaglio, posto che in questo caso la connessione oggettiva fra il reato ed il provvedimento di confisca che ad esso consegue non è da costruire fra reato e suo profitto, ma fra reato e strumenti utilizzati per la sua realizzazione.
Ritiene, infatti, il Collegio che seppure sia, infatti, ben vero che, ancora di recente, questa Corte ha chiarito che, seppure il profitto del reato di cui all’art. 11 del dlgs n. 74 del 2000, sia rapportabile oggettivamente al valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti della Amministrazione finanziaria per le imposte evase e non già al debito tributario rimasto inadempiuto (così, fra le tante: Corte di cassazione, Sezione V penale, 18 luglio 2019, n. 32018, rv 277251), una tale regola deve, tuttavia, essere declinata coerentemente con la finalità cui la disposizione precettiva e sanzionatoria è preposta; cioè quella di assicurare agli organi pubblici una più agevole forma di esazione coattiva delle imposte interessate dalla normativa di cui al dlgs n. 74 del 2000 il cui versamento sia stato, anche in un secondo momento rispetto al compimento degli atti simulati o fraudolenti, omesso dal contribuente.
Da tale presupposto, cioè il legame fra esistenza del debito tributario e finalità della disposizione sanzionatoria, deriva, in rapporto di stretta conseguenzialità logica, la non sussistenza degli elementi genetici della misura cautelare prodromica alla confisca ex art. 12-bis del dlgs n. 74 del 2000, ove,
al momento della possibile adozione di essa, il debito tributario, pur nella astratta presenza degli atti dismissivi fraudolenti, già sia stato adempiuto o comunque non risulti più sussistente (in tale senso: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 22 marzo 2023, n. 12084, rv 284568, in cui si legge che “una volta che l’adempimento scilicet: del debito tributario – è intervenuto, infatti, viene meno il rapporto di strumentalità necessaria tra il sequestro del profitto e la procedura di riscossione coattiva”; principio questo che, parrebbe, in verità, essere in, almeno parziale, contraddizione, con altra affermazione in precedenza formulata da questa Corte, secondo la quale la confisca disposta in relazione al reato di sottrazione al pagamento delle imposte, attuato mediante atti fraudolenti o simulati, non può riguardare somme superiori all’effettivo profitto conseguito, quantificato decurtando dal valore del patrimonio sottratto le somme recuperate dal fisco a seguito di versamenti effettuati dall’imputato: Corte di cassazione, sezione III penale, 1 febbraio 2016, n. 4097, rv 265843, il cui tenore letterale potrebbe far ritenere che anche l’avvenuta soddisfazione delle ragioni creditorie erariali attuata tramite i versamenti effettuati dal contribuente, non sarebbe ostativa alla confisca, in quanto profitto del reato di cui all’art. 11 del dlgs n. 74 del 2000, dell’eventuale maggior valore dei beni simulatamente o comunque fraudolentemente dismessi).
Ma, si osserva, tutti i ragionamenti che precedono, e che hanno dato alimento alla decisione presa dal Tribunale di Pistoia con la ordinanza ora impugnata, risultano non pertinenti al caso in cui si dovesse ritenere, come pare corretto a questo Collegio di dovere fare, che la confisca, e lo strumentale sequestro preventivo, siano, in una fattispecie quale è la presente, riconducibili, quanto a sua causale normativa, non all’art. 12-bis del dlgs n. 74 del 2000, ma all’art. 240, comma primo, cod. pen., cioè alle “cose che servirono o furono destinate a commettere il reato”, posto che ricorrendo una tale accezione normativa non vi è più la necessità di contenere l’ammontare del valore dei beni assoggettati alla misura ablativa alla ratio della illiceità penale della condotta attribuita all’agente, l’esistenza cioè di un possibile debito erariale in ordine al quale rendere agevole la azione esecutiva fiscale, considerato che ora la confisca non sarebbe relativa al profitto del reato ma allo strumento utilizzato per la sua perpetrazione.
E’, tuttavia, opportuno evidenziare come il principio che si è espresso onde non determinare un effettivo squilibrio fra la morfologia della fattispecie penalmente rilevante (indubbiamente delimitata dall’entità del tributo da versare che costituisce espressamente persino soglia di punibilità e di
modulazione della gravità del reato commesso) e le sue conseguenze penali, vada inteso in termini rigidi.
Si vuole con ciò intendere, ed in tale senso già si sollecita al riguardo l’attenzione del giudice del rinvio che sul punto dovrà fissare il proprio sguardo, che laddove l’attività di fraudolenta dismissione dei beni si sia articolata attraverso non un solo atto depauperativo del patrimonio del contribuente (nel qual caso l’intero bene fraudolentemente quale che ne sia il valore economico ceduto uno actu costituisce nella sua unitarietà Vinstrumentum sceleris e sarà, pertanto, integralmente suscettibile di confisca) ma attraverso una pluralità di essi, ciascuno riferito a beni diversi o a porzioni diverse di un medesimo bene, gli atti effettivamente rilevanti dal punto di vista penale sono quelli che hanno determinato un “concreto pericolo” (sulla natura del reato di cui trattasi come reato di pericolo concreto si veda: Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 gennaio 2017, n. 3011, rv 268797) di inefficacia della azione esecutiva dell’Erario volta alla riscossione delle imposte, essendo, pertanto, necessario, acciocché anche l’oggetto di tali ulteriori atti costituisca corpo del reato, che anche questi atti siano stati in grado di ledere ex se il bene giuridico tutelato dalla norma (in tale senso, cioè della irrilevanza penale di atti ulteriori laddove essi fossero, di per sé, non idonei ad aggravare il pericolo di inefficace esazione tributaria: Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 febbraio 2024, n. 8659, rv 285960).
In tale senso risulta anche superata la problematica che il Tribunale di Pistoia ha posto, unitamente alle altre esaminate, alla base della propria decisione, connessa alla ritenuta necessità della esistenza di un rapporto di proporzionalità fra la misura ed il valore del bene oggetto di essa.
Invero, secondo la impostazione che il Tribunale ha fatto propria, siffatto rapporto di proporzionalità dovrebbe essere istituito fra il valore dei beni sottratti all’esazione fiscale ed il valore delle imposte il cui pagamento, attraverso la sottrazione dei beni posti a garanzia dell’adempimento, l’agente voleva omettere; ma, osserva la Corte, una siffatta problematica, al di là della erroneità dei termini posti a riferimento del rapporto di proporzionalità, risulta essere ultronea ove si riporti la ratio della confisca non alla ipotesi della ablazione del profitto del reato ma a quella della confisca degli strumenti per mezzo dei quali il reato è stato consumato, ipotesi per la quale, una volta ritenuta la strumentalità dei beni in questione rispetto alla commissione del reato, non è determinante che gli stessi abbiano un valore economico
proporzionato alla imposta alla cui evasione è finalizzata la attività simulata o fraudolenta di dismissione patrimoniale.
Nei termini di cui sopra l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Pistoia che, in diversa composizione personale, provvederà nuovamente, alla luce dei principi illustrati, in ordine alla originaria impugnazione avente ad oggetto il sequestro preventivo disposto dal locale Gip con provvedimento del 18 luglio 2023.
PQM
Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Pistoia competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 11 aprile 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
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