Confisca Sproporzionata: Quando il Silenzio non Paga
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di misure patrimoniali: la confisca sproporzionata di beni è legittima se il condannato non fornisce una prova concreta della loro lecita provenienza. Questo caso evidenzia come il diritto al silenzio, sebbene sacrosanto, non possa essere usato come scudo per giustificare il possesso di ricchezze anomale rispetto al proprio profilo reddituale. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso
Un soggetto, già condannato dal Tribunale di Monza per reati legati agli stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/90) e per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), ha presentato ricorso in Cassazione. L’impugnazione non contestava la colpevolezza, bensì la decisione del Tribunale di disporre la confisca di una somma in contanti di 20.750 euro, rinvenuta nella sua camera da letto durante una perquisizione.
L’appellante lamentava un’errata applicazione delle norme sulla confisca, in particolare degli articoli 240 e 240-bis del codice penale.
L’Analisi della Corte e la Confisca Sproporzionata
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che le argomentazioni proposte non fossero altro che una sterile riproposizione di questioni già correttamente esaminate e respinte dal giudice di merito. La Corte ha elogiato la motivazione della sentenza impugnata, definendola coerente e adeguata. Il punto cruciale della decisione risiede nella netta distinzione operata dal Tribunale tra due diverse tipologie di confisca applicate nel caso specifico.
Confisca Ordinaria e Confisca Allargata
Il Tribunale aveva correttamente distinto:
1. La confisca ordinaria (art. 240 c.p.): Applicata allo stupefacente e agli altri beni direttamente collegati al reato.
2. La confisca sproporzionata (art. 240-bis c.p.): Applicata alla somma di denaro di 20.750 euro.
Quest’ultima, nota anche come ‘confisca allargata’, è uno strumento pensato per colpire i patrimoni di origine illecita che un condannato per specifici reati non è in grado di giustificare. Nel caso di specie, la somma è stata ritenuta del tutto sproporzionata rispetto al reddito dichiarato dall’imputato.
Le Motivazioni della Decisione
La Cassazione ha confermato che il Tribunale ha agito correttamente. La motivazione si basa su un presupposto fondamentale dell’art. 240-bis c.p.: l’inversione dell’onere della prova. Non è l’accusa a dover dimostrare l’origine illecita del denaro, ma è il condannato a doverne giustificare la provenienza lecita. L’imputato, avvalendosi della facoltà di non rispondere, non ha fornito alcuna spiegazione sull’origine di quella ingente somma. Sebbene il diritto al silenzio sia una garanzia fondamentale, esso non equivale a fornire una giustificazione valida ai fini della confisca. La sproporzione tra il denaro posseduto e il reddito dichiarato è stata considerata un elemento sufficiente a far scattare la misura patrimoniale, in assenza di prove contrarie fornite dall’interessato.
Conclusioni
Questa ordinanza rafforza un principio consolidato: la confisca sproporzionata è un’arma efficace contro l’accumulazione di ricchezze illecite. La decisione della Cassazione chiarisce che, di fronte a beni di valore sproporzionato rispetto alle proprie capacità economiche, il condannato ha l’onere di dimostrarne la provenienza legittima. Scegliere di non fornire spiegazioni, pur essendo un diritto, non impedisce allo Stato di procedere con la confisca. Un monito importante per chiunque ritenga di poter nascondere proventi illeciti dietro un apparente ‘no comment’.
Quando è possibile procedere alla confisca sproporzionata di una somma di denaro?
È possibile quando la somma, rinvenuta nella disponibilità di un soggetto condannato per determinati reati, risulta essere di valore sproporzionato rispetto al suo reddito o alla sua attività economica e l’interessato non è in grado di giustificarne la provenienza lecita.
Il diritto a non rispondere è sufficiente a giustificare la provenienza di denaro sospetto?
No. Secondo la decisione, avvalersi della facoltà di non rispondere è un diritto dell’imputato, ma non adempie all’onere di giustificare la legittima provenienza dei beni ai fini di evitare la confisca per sproporzione prevista dall’art. 240-bis del codice penale.
Cosa accade se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere le argomentazioni già respinte?
Se il ricorso non solleva nuove questioni di diritto o vizi logici specifici della sentenza impugnata, ma si limita a riproporre le stesse doglianze già esaminate e disattese, la Corte di Cassazione lo dichiara inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8401 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8401 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 23/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/01/2023 del TRIBUNALE di MONZA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELL.A DECISIONE
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza, in epigrafe indicata, resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. dal Tribunale di Monza in ordine ai reati di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 (capo A) e di cui agli artt. 337 e 61, n. 2, cod. pen. (capo B).
Ritenuto che i motivi sollevati (erronea applicazione degli artt. 240 e 240-bis cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 85-bis d.P.R. 309/90 e all’art. 240-bis cod. pen.), oltre ad essere costituiti da doglianze in punto di fatto, si limitano, nella sostanza, a riprodurre le stesse questioni puntualmente esaminate e disattese dal Tribunale con motivazione coerente e adeguata, la quale ha ben distinto la confisca, disposta ai sensi dell’art. 240 cod. pen., dello stupefacente e di tutti gli altri beni in sequestro da quella, effettuata ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., della somma in contanti di euro 20.750,00,, rinvenuta nella camera da letto dell’imputato al momento della perquisizione e ritenuta del tutto sproporzionata al reddito dichiarato dall’imputato, il quale peraltro non è stato in grado di giustificare la provenienza di quel denaro, essendosi avvalso della facoltà di non rispondere (p. 5 della sentenza impugnata);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna I ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di e uro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 novembre 2023
Il Consigliere estensore