Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11617 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11617 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Maddaloni il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Potenza del 19/09/2023,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19/09/2023, il Tribunale del riesame di Potenza rigettava l’appello proposto dalla difesa dell’imputato avverso il provvedimento con cui il GIP di Potenza, in data 05/06/2023, aveva rigettato l’istanza di revoca del sequestro preventivo di C 250.232,80, disposto dal Tribunale di Potenza in relazione all’articolo 452 -quaterdecies cod. pen., aggravato dagli articoli 112 e 416-bis.1 cod. pen..
In particolare, il COGNOME NOME, quale socio della RAGIONE_SOCIALE, incaricata del trasporto d rifiuti, era imputato di avere illecitamente trasportato per il successivo smaltimento illecito, provenienti dalle attività di cartiera e fanghi di depurazione.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione l’imputato.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione dell’articolo 321 cod. proc. pen. e motivazione apparente in ordine al fumus commissi delicti con riferimento alle risultanze probatorie del p.p. n. 5695/2014 R.G.N.R. della D.D.A. di Firenze ed ai provvedimenti adottati dal GIP di Firenze nei mesi di settembre e ottobre 2016.
Evidenzia il ricorrente come il presente procedimento costituisca lo stralcio di uno dei tr filoni in cui originariamente si articolava il procedimento COGNOME, scaturito ed iscritto in ep successiva rispetto ai precedenti (marzo 2016) e non oggetto di ordinanza applicativa da parte del GIP di Firenze nel settembre 2016.
La “separazione” dei vari filoni si ebbe solamente in sede di udienza preliminare, quando il GUP trasferì a Potenza il presente filone accogliendo l’eccezione di incompetenza avanzata dalla Difesa.
Lamenta, ancora, il ricorrente, la contraddittorietà della motivazione, che da un lato sostiene la tesi della “autonomia” dei vari procedimenti, e dall’altro, ritiene la rilevanza RAGIONE_SOCIALE prove de filone sugli altri in ragione della loro connessione logica e processuale.
Il GIP di Firenze si esprimeva in senso liberatorio con riferimento alla responsabilità de trasportatore, da escludersi quando non emerge (come nel caso di specie) ictu °culi la consapevolezza di trasportare rifiuti che per natura fossero totalmente diversi da quelli che aveva accettato.
2.2. Con il secondo motivo, censura la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’articolo 416-bis.1 cod. pen., in relazione al quale si lamenta il «travisamento de complessiva vicenda giudiziaria».
Il GIP AVV_NOTAIO, in riferimento ai filoni rimessi alla sua cognizione, ma con valutazio evidentemente a carattere “trasversale”, ebbe infatti a ritenere non sussistente la circostanza aggravante di cui all’articolo 461-bis.1 cod. pen., in quanto la presunta “contiguità” della RAGIONE_SOCIALE con famiglie camorriste (RAGIONE_SOCIALE) era risalente (così come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, utilizzate anche nel presente filone) e precedente all’ingresso COGNOME nella compagine sociale.
Gli elementi posti all’attenzione del giudice COGNOME sono esattamente gli stessi sottoposti all’attenzione del giudice COGNOME; la contestazione è la stessa; finanche la lista testi deposita dal pubblico ministero è identica.
Ulteriormente viziata è la motivazione con cui si attribuisce rilevanza alle dichiarazioni d pentiti.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta violazione dell’articolo 193 d. Igs. 152/2006, in riferimen alla responsabilità del trasportatore, nei termini dianzi evidenziati al punto 2.1.
Contesta, il ricorrente, la lettura fornita dal Tribunale del riesame della conversazione 2723 del 27710/2014, interlocutore COGNOME NOME, citata a pag. 10 dell’ordinanza.
Evidenzia come nel caso di specie, usando l’ordinaria diligenza, richiesta dalla normativa in materia di rifiuti, non sarebbe stato possibile valutare la difformità trai rifiuti trasportati che potevano trovare destino negli impianti di trattamento.
2.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione dell’articolo 321 cod. proc. pen. in riferiment alla quantificazione del profitto.
Evidenzia in proposito:
che erra il Tribunale del riesame a ritenere che i dati forniti dalla difesa sul quantum di rifiuti trasportati nei periodi in contestazione fosse confuso;
come non sia corretto procedere alla quantificazione dello stesso in riferimento al ricavo “lordo”, dovendosi invece depurare tale dato RAGIONE_SOCIALE spese sostenute (ricavo “netto”), pena l’impoverimento dell’imputato rispetto alla fase ante delictum.
Lo stesso AVV_NOTAIO ebbe ad evidenziare come non fosse possibile, in relazione al filone in parola, quantificare il profitto conseguito, essendo impossibile stabilire a quale parte profitti abbia materialmente concorso.
che il provvedimento non dà conto del rispetto del principio di «proporzionalità», che sottende tutte le misure ablative.
2.5. Con il quinto motivo censura violazione di legge sul requisito del periculum in mora. La doglianza è articolata in diversi punti:
l’ordinanza è immotivata in riferimento alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE polizze, in cui i giud leggono una volontà di sottrarre il bene a terzi, laddove la volontà dell’imputato era quello salvaguardare il patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, in ciò risultando la motivazione palesemente illogica e contrastante con le emergenze di fatto, che testimoniano che la RAGIONE_SOCIALE, fino alla liquidazione, non ha mai avuto pendenze insolute.
Censura anche la (asseritamente) indebita equiparazione operata dal Tribunale del riesame tra Eurovita e lo Stato, da cui dedurre la volontà espoliativa, trattandosi in un caso un rappor inter privatos, nell’altro con lo Stato.
Contesta poi l’ordinanza laddove nella operazione di liquidazione RAGIONE_SOCIALE polizze vede una volontà di rendere liquido il patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, avendo l’imputato fatto richiesta all’is di credito di fargli conoscere le migliori opportunità di preservare e reinvestire il quantum liquidato.
III. Con l’ultimo profilo si contesta la ordinanza laddove ritiene che la capienza del COGNOME fosse meramente “potenziale”, in quanto frutto della futura liquidazione della polizza, avendo i COGNOME nella sua disponibilità l’importo di circa 1.250.000 euro, non oggetto di sequestro penale.
In data 29 febbraio 2024, gli AVV_NOTAIO del Foro di Milano e NOME COGNOME del Foro di RAGIONE_SOCIALE, quali difensori di fiducia del signor NOME COGNOME, depositavano memoria di replica alle conclusioni del P.G., in cui insistevano per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente, il Collegio evidenzia come, a mente dell’art. :325 cod. proc. pen., il sindacato del giudice di legittimità avverso provvedimenti cautelari reai è consentito soltant per motivi attinenti alla violazione di legge nella cui nozione rientrano, oltre agli errores in iudicando o in procedendo, anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (SE:1. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093).
Sono, conseguentemente, inammissibili tutti i motivi che, direttamente o sotto l’ombrello della violazione di legge o della assenza o mera apparenza della motivazione, intendono censurare la tenuta logica del provvedimento impugnato (come si vedrà meglio in appresso).
Ciò premesso, il primo motivo di ricorso, che concerne il fumus commissi delicti, è inammissibile sotto diversi profili.
3.1. In primo luogo, esso è inammissibile in quanto la questione del fumus boni juris è preclusa dall’avvenuto esercizio dell’azione penale.
Come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, il Collegio evidenzia che il procedimento penale in ordine al quale è stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca si trova attualmente in fase dibattimentale, anche con riferimento alla posizione del COGNOME (perciò imputato), con tutte le conseguenze in termini di effettività dell’accertamento del fumus boni iuris contestato. Ed infatti, questa Corte ritiene (Sez. 3, n. :35715 del 17/09/2020, Riccardi, Rv. 280694 – 03) che, in tema di riesame del provvedimento che dispone il sequestro preventivo, «l’emissione del decreto di rinvio a giudizio o del decreto che dispone il giudiz immediato preclude la proponibilità della questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti, essendovi, in tali casi, una preventiva verifica giurisdizionale sulla consistenza de fondamento dell’accusa».
3.2. In secondo luogo, il motivo è inammissibile avendo l’odierno ricorrente rinunciato al proposto riesame.
Sul punto, se è vero che le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 46201 del 31/05/2018, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 274092 – 01) hanno ritenuto che «la mancata tempestiva proposizione, da parte dell’interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di un misura cautelare reale non ne preclude la revoca per la mancanza RAGIONE_SOCIALE condizioni di applicabilità, neanche in assenza di fatti sopravvenuti; ne consegue che è ammissibile l’appello cautelare avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca, non potendosi attribuire al mancata attivazione del riesame la valenza di una rinuncia all’impugnazione», tuttavia è stato successivamente precisato (Sez. 2, n. 12364 del 13/01/2023, COGNOME, Rv. 284475 – 01) che «la rinuncia al riesame proposto avverso il provvedimento di sequestro preventivo preclude la possibilità di svolgere, attraverso l’appello, censure attinenti ai presupposti genetici de misura».
Ed infatti, in tale circostanza, la Corte ha precisato (con motivazione che il Collegio condivid e ribadisce) che il concetto di rinuncia all’impugnazione equivale sostanzialmente ad un nolo contendere sulla censura a proposito dei presupposti genetici della misura, proprio perché lo strumento del riesame, attesa la sua natura integralmente devolutiva, equivale all’attivazione di un meccanismo che tende ad un controllo giurisdizionale di tipo «pieno» proprio su quei presupposti.
Ne consegue che la rinunzia a quello specifico rimedio non può non ridondare sulla preclusione a riproporre censure attinenti a quei presupposti genetici la cui sussistenza deve dunque ritenersi preclusa.
Si tratta, in sostanza, di una «abdicazione» al tipico rimedio processuale intervenuta dopo la sua attivazione.
3.3. Il ricorso è, altresì, inammissibile in quanto contesta non già la «esistenza» di un motivazione, bensì la sua mera «apparenza», di fatto insussistente in presenza di un percorso motivazionale relativo alla nozione di «alterità» (o meno) dei due procedimenti, tutt’altro ch apparente o mancante, ma che al contrario risulta conforme alla giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 43193 del 03/05/2018, Lazzi, Rv. 273944 – 01), secondo cui, in tema di revoca RAGIONE_SOCIALE misure cautelari, non può costituire «elemento nuovo», idoneo a rimuovere l’effetto preclusivo provocato dal c.d. «giudicato cautelare», neppure la «riunione» (neppure esistente nel caso di specie), nella fase RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari, del procedimento in cui è stata adottata la misu con quello in cui è intervenuta la una decisione della Corte che muta indirizzo giurisprudenziale, posta la natura meramente organizzativa del provvedimento di riunione, privo di qualsiasi stabilità e significatività ai fini del mutamento del quadro accusatorio.
Il motivo è quindi, per tutti i motivi anzidetti, inammissibile.
Il secondo motivo è del pari inammissibile per le ragioni enunciate al paragrafo 3.3, che precede.
A pag. 7 dell’ordinanza impugnata, i giudici precisano che nel presente procedimento è stato contestato al COGNOME un reato non oggetto del vaglio del GIP di Firenze, per cui l’aggravante dell’agevolazione mafiosa non può essere elisa sulla base RAGIONE_SOCIALE sue considerazioni.
Anche in questo caso, il ricorrente contesta una motivazione esistente, e non apparente; inoltre, anche la sussistenza dell’aggravante non può essere rimessa in discussione per effetto della rinuncia al ricorso, come visto al paragrafo che precede.
Il Collegio aggiunge che, in ogni caso, il ricorrente non ha interesse a coltivare tale motiv posto che la confisca del profitto è obbligatoria per il delitto di cui all’articolo 452-quaterdecies, indipendentemente dalla sussistenza o meno dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis.1 cod. pen..
Il motivo è quindi inammissibile anche sotto il profilo della carenza di interesse.
5. Il terzo motivo è doppiamente inammissibile.
5.1. In primo luogo, ancora una volta la censura contesta, apertis verbis, la motivazione offerta dai giudici del riesame, lamentando persino una scorretta valutazione del contenuto di una intercettazione telefonica, e tenta di rimettere in discussione il fumus commissi delicti, stavolta sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, risultando di talchè doppiamen inammissibile.
5.2. Inoltre, questa Corte (Sez. 3, n. 13363 del 28/02/2012, COGNOME, n.m.) ha in via generale chiarito che dall’esame degli artt. 188, 193 e ss. del d.lgs n. 152/2006 emerge che tutti i soggetti che intervengono nel circuito della gestione dei rifiuti, sono responsabili non della regolarità RAGIONE_SOCIALE operazioni da essi stessi posti in essere, ma anche di quelle dei soggett che precedono o seguono il loro intervento mediante l’accertamento della conformità dei rifiuti a quanto dichiarato dal produttore o dal trasportatore, sia pure tramite la verifica della regolar degli appositi formulari, nonché la verifica del possesso RAGIONE_SOCIALE prescritte autorizzazioni da par del soggetto al quale i rifiuti sono conferiti per il successivo smaltimento.
Vero è che l’art. 193, così come modificato dal d.lgs. n. 116/2020, comma 17, stabilisce che «nella compilazione del formulario di identificazione, ogni operatore è responsabile RAGIONE_SOCIALE informazioni inserite e sottoscritte nella parte di propria competenza. Il trasportatore non responsabile per quanto indicato nel formulario di identificazione dal produttore o dal detentore dei rifiuti e per le eventuali difformità tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva consistenza, fatta eccezione per le difformità riscontrabili in base alla comune diligenza»; tuttavia, nel caso di specie, a fronte di analoga censura proposta con il riesame, il Tribunal COGNOME argomenta la correità del COGNOME non già sulla base di argomentazioni di diritto, bensì alla luce del tenore di alcune conversazioni intercettate (pag. 10 ordinanza), elemento non suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità.
Il motivo è pertanto inammissibile.
Il quarto motivo, che si articola in diverse sotto-censure, è in parte inammissibile e parte manifestamente infondato.
6.1. Il primo profilo di doglianza contesta la motivazione offerta dall’ordinanza impugnata, ed è pertanto inammissibile per quanto sopra evidenziato.
6.2. Il secondo profilo di doglianza è manifestamente infondato.
La Corte ha osservato (Sez. U, n. 26654 del 27/0:3/2008, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, Rv. 239924 – 01) che il termine «confisca» è utilizzato, nelle varie fattispecie in cui è inserito, in ma meramente enunciativa, assumendo quindi un’ampia «latitudine semantica», da colmare in via interpretativa (in dottrina si parla, infatti, di nozione «polisemica»).
Né, tanto meno, la normativa contiene una specificazione del tipo di profitto, in termini d «profitto lordo» o «profitto netto», concetti, questi, sui quali s’incentra la doglianz ricorrente.
La dottrina, dal canto suo, ritiene che la nozione di «profitto confiscabile» debba essere determinata con riferimento alle differenti forme di confisca presenti nel nostro ordinamento, salvo poi circoscriverla ulteriormente in considerazione della precipua funzione di politic criminale perseguita dalla specifica forma di confisca in considerazione.
L’opinione largamente dominante ritiene che la confisca del profitto del reato, piuttosto che perseguire una finalità repressiva, risponde ad una finalità di «compensazione» o di «riequilibrio» dell’ordine economico violato, riportando la situazione patrimoniale del reo nelle condizioni in cu si trovava prima della consumazione del reato, e così impedendo al medesimo di godere del frutto della sua attività, in base al principio fondamentale che il crimine non rappresenta in u Stato di diritto un legittimo titolo di acquisto di beni.
Tale opinione è stata confermata da questa Corte nella sua massima composizione (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264436), la quale ha chiarito che il profitto del reato identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito e la relativa confisca «ha la finalità di ripristinare lo status quo ante così da sterilizzare, in funzione essenzialmente preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescin dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo autore».
La pronuncia è stata resa in riferimento alla confisca di cui all’articolo 19 d. Igs. 231/200 ma la Corte ritiene che, proprio perché ciò che deve essere confiscato è il «profitto del reato» i generale, non vi è alcuna ragione che giustifichi, in relazione agli enti, l’adozione di una nozio di profitto di reato diversa da quella di cui all’art. 240 c.p. (v. Sez. 2, Ord. n. 401 23/01/2008, RAGIONE_SOCIALE).
In entrambi i casi, infatti, l’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di privare l’auto reato dei vantaggi economici che derivano dal reato (Sez. 6, n. 34290 del 17/05/2023, COGNOME, Rv. 285175 – 01); in tal modo l’ordinamento viene a sottrarre al circuito economico-sociale legale le cose ricollegabili all’attività criminale e, come tali, a vario titolo, potenzialmente crimino
(come osservato in dottrina, la confisca del profitto viene a condurre l’imputato nella «situazion zero»).
Tale funzione «riequilibratrice» dello status quo economico antecedente alla consumazione del reato della confisca del profitto, contrasta con la tesi del profitto – sostenuta dal ricorr quale «utile netto».
La citata sentenza RAGIONE_SOCIALE ha in proposito precisato che, nel linguaggio penalistico, termine «profitto» ha assunto sempre un significato oggettivamente più ampio rispetto a quello economico o aziendalistico, non essendo stato mai inteso come espressione di una grandezza residuale o come reddito di esercizio, determinato attraverso il confronto tra componenti positive e negative del reddito.
Secondo la Corte, il criterio del «profitto netto» finirebbe per riversare sullo Stato il ri di esito negativo del reato e consentirebbe al responsabile di sottrarsi al «rischio economico del reato», mettendo a repentaglio l’applicabilità della misura nelle ipotesi di reati «in perdita» (S 2, Ord. n. 4018 del 23/01/2008, RAGIONE_SOCIALE, cit.).
Da tale osservazione discende la conclusione secondo cui non devono essere detratti dal profitto del reato i costi sostenuti dal reo per la realizzazione dell’attività criminos intrinsecamente leciti, in quanto, ai fini della determinazione del profitto, non sono utilizz parametri valutativi di tipo aziendalistico, come il criterio del profitto netto (Sez. 3, n. 48 04/12/2018, dep. 2019, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, Rv. 274851 – 02).
Tale conclusione appare attraversare trasversalmente tutta l’area del diritto penale.
Questa Corte ha infatti ritenuto (in via meramente esemplificativa):
in tema di cessione di sostanze stupefacenti, che è profitto del reato la somma ricavata dalla vendita della droga (Sez. 6, n. 6131 del 10/03/1994, Tomasello, Rv. 199714), al lordo di quanto speso per acquistare la droga poi rivenduta;
in tema di lottizzazione abusiva, che sono profitto del reato le somme ricavate dalla vendita dei terreni lottizzati abusivamente, senza che vengano in considerazione le spese sostenute per la realizzazione (Sez. 3, n. 1630 del 15/10/1984, COGNOME, Rv. 166552);
in materia di insider trading che aveva dato luogo ad un’operazione di compravendita di azioni da cui erano derivati ricavi di gran lunga superiori a quelli conseguibili attraverso u normale cessione – si è ritenuto legittimo il sequestro per equivalente anche con riferimento al valore corrispondente alle somme trattenute dalle RAGIONE_SOCIALE acquirenti a titolo di «retrocessione» (Sez. 6, n. 24558 del 22/05/2013, Mezzini, Rv. 256812 – 01).
In tutte le anzidette ipotesi non sono stati ammessi in deduzione, rispetto alla somma da confiscare, i costi sostenuti, a conferma della correttezza della interpretazione sposata dall Corte, che il Collegio intende ribadire.
6.3. Tale soluzione ermeneutica trova conferme anche nella normativa sovranazionale.
L’articolo 2 della direttiva 2014/42/UE, relativa a sequestro e confisca (c.d. «seize and freeze»), che trova applicazione negli Stati membri anche per i reati non inclusi nel catalogo di
cui all’articolo 3 (v. il 14° considerato, o whereas, secondo cui « occorre che … il concetto di «provento» quale definito nella presente direttiva sia interpretato in modo simile con riferiment ai reati non contemplati dalla presente direttiva), definisce il provento del reato come «proceed» (e non come «profit») consistente in «ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati».
Esso, prosegue la norma, «può consistere in qualsiasi bene e include ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile», in ciò manifestando una chiara preferenza per un concetto di provento che non sia limitato all’utile netto ma abbia una latitudine più vasta possibile.
6.4. Si deve pertanto concludere nel senso che la nozione di profitto del reato di cui all’articolo 452-quaterdecies cod. pen. non può essere ridotta al solo «utile netto», dovendosi invece ritenere, in conformità con la natura «riequilibratrice» di tale confisca (ed a differenz quella dello «strumento del reato»), come riferita a tutto ciò che consegue in via immediata e diretta al reato, senza considerare gli eventuali costi sostenuti, la cui detrazione sottrarrebb colpevole al rischio economico del reato.
6.5. Il ricorrente lamenta, inoltre, la difficoltà, se non l’impossibilità, evidenziata da AVV_NOTAIO, di stabilire a quale parte dei profitti abbia materialmente concorso.
La deduzione non coglie nel segno.
Ed infatti, a fronte di un illecito (anche solo «eventualmente») plurisoggettivo deve applicars il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l’imputazio dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente.
Tale conclusione trova giustificazione, a livello dogmatico, ove si osservi che, per la teori «monistica» cui è ispirata la disciplina del concorso di persone nel reato, ciascun concorrente, la cui attività si sia inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, rispon anche degli atti posti in essere dagli altri compartecipi e dell’evento delittuoso nella sua global che viene considerato come l’effetto dell’azione combinata di tutti.
Principio solidaristico, questo, che si riflette anche come «solidarietà nella pena» (Sez. 2, 22073 del 17/03/2023, Fiodigigli, Rv. 284740 – 01) e, si ritiene, nelle misure di sicurezz patrimoniali.
La suddetta tesi è stata recepita dalla giurisprudenza di questa Corte nella citata sentenza RAGIONE_SOCIALE, secondo cui «nel caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il princ solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecit sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione no può essere duplicata o comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello stesso».
Questa Corte ha anche ritenuto che, in caso di pluralità di indagati, il sequestro preventiv funzionale alla confisca non può eccedere per ciascuno dei concorrenti la misura della quota di profitto del reato a lui attribuibile, sempre che, tuttavia, tale quota sia individuata o chiaramente individuabile. Tuttavia, «ove la natura della fattispecie c:oncreta e dei rappor economici ad essa sottostanti non consenta d’individuare, allo stato degli atti, la quota di profi concretamente attribuibile a ciascun concorrente o la sua esatta quantificazione, il sequestro preventivo deve essere disposto per l’intero importo del profitto nei confronti di ciascun logicamente senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra concorrenti» (così, testualmente, Sez. U., n. 26654/2008, RAGIONE_SOCIALE, cit.), logicament senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti (Sez 6, n. 6607 del 21/10/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 281046 – 01).
Deve quindi concludersi nel senso che, in tema di sequestro finalizzato alla confisca del profitto del delitto di cui all’articolo 452-quaterdecies cod. pen., ove la natura della fattis concreta e dei rapporti economici ad essa sottostanti non consenta d’individuare la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente, o la sua esatta quantificazione, sequestro preventivo deve essere disposto per l’intero importo del profitto nei confronti d ciascuno, pur senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della :solidarietà interna tra concorrenti.
6.6. Quanto al terzo aspetto censurato, il mancato rispetto del principio di proporzionalit della misura, esso è inammissibile in quanto risulta dedotto solo in RAGIONE_SOCIALEzione, non avendo il ricorrente contestato il riepilogo dei motivi di appello operato dal Tribunale del riesame.
Esso, quindi, è inammissibile per tardività ai sensi dell’articolo 606, comma 3, cod. proc. pen..
Ad ogni buon conto, esso è anche manifestamente infondato.
Come evidenziato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (sent. 28/06/2018, RAGIONE_SOCIALE e altri c. Italia), l’articolo 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla CEDU richiede, per qua ingerenza nella sfera privata (e anche patrimoniale) di un soggetto, un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Jahn e altri c. Germania , nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §§ 83-95, CEDU 2005-VI).
Questo giusto equilibrio è rotto se la persona interessata deve sostenere un onere eccessivo ed esagerato (Sporrong e Liinnroth sopra citata, §§ 69-74, e Maggio e altri c. Italia, nn 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 57, 31 maggio 2011).
Nel caso in esame, l’applicazione del principio solidaristico non determina l’apprensione di somme superiori a quelle del complessivo profitto del reato, ciò che lederebbe il principio di proporzionalità, ma determina la mera possibilità di apprensione dell’intero profitto a carico d ciascuno dei concorrenti, nel rispetto dei canoni della solidarietà interna (v., sul punto, anc Sez. 2, n. 47066 del 03/10/2013, Pieracci, Rv. 257968 – 01).
Quanto al quinto motivo, i primi due profili di doglianza sono inammissibili in quanto, anche se formalmente volti a contestare il vizio di violazione di legge, sono evidentemente volti a censurare vizi di motivazione, di cui lamentano l’irragionevolezza, l’illogicità contraddittorietà con gli atti del procedimento, profili che, come dianzi evidenziato, non son suscettibili di scrutinio da parte della Corte.
Quanto al terzo profilo, esso è inammissibile per genericità, non confrontandosi con il provvedimento impugnato, secondo cui le somme predette sarebbero costituite dallo svincolo, avvenuto nel mese di aprile 2023, RAGIONE_SOCIALE polizze in parola, allo stato congelato, e non risultand altri elementi patrimoniali in capo al COGNOME.
Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende. Così deciso il 06/03/2024.