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Confisca profitto reato: si calcola il lordo o il netto?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore contro un sequestro preventivo per traffico illecito di rifiuti. La sentenza ribadisce due principi fondamentali sulla confisca del profitto del reato: primo, il profitto da confiscare è il vantaggio economico lordo, senza detrarre i costi sostenuti per l’attività illecita; secondo, in caso di concorso di persone, l’intero profitto può essere sequestrato a un singolo concorrente in base al principio solidaristico.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca del profitto del reato: la Cassazione stabilisce che si calcola al lordo dei costi

Con la sentenza n. 11617 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di misure cautelari reali: la confisca del profitto del reato. Il caso, originato da un’indagine per traffico illecito di rifiuti, ha offerto alla Suprema Corte l’opportunità di ribadire con fermezza la nozione di profitto confiscabile e le modalità di applicazione del sequestro in caso di reati commessi da più persone. La decisione chiarisce che il profitto da aggredire è il vantaggio economico lordo, senza alcuna deduzione per i costi sostenuti per commettere l’illecito.

I fatti del caso

La vicenda processuale ha inizio con un’ordinanza del Tribunale del riesame di Potenza, che confermava il rigetto di un’istanza di revoca di un sequestro preventivo per un importo superiore a 250.000 euro. Il sequestro era stato disposto nei confronti di un socio di una società di trasporti, accusato del reato di traffico illecito di rifiuti, aggravato dall’agevolazione mafiosa.

La difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando diverse censure. Tra le più significative, vi era la contestazione sulla quantificazione del profitto, sostenendo che si sarebbe dovuto calcolare il ricavo ‘netto’, depurato cioè delle spese sostenute, e non quello ‘lordo’. Inoltre, si lamentava la violazione del principio di proporzionalità e la difficoltà, evidenziata dallo stesso GIP, di individuare la parte di profitto materialmente conseguita dall’imputato rispetto agli altri concorrenti nel reato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla confisca del profitto del reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni dettagliate che consolidano un orientamento giurisprudenziale ormai granitico.

In primo luogo, la Corte ha respinto le censure di natura procedurale, evidenziando come la questione del fumus commissi delicti fosse preclusa dal fatto che il procedimento si trovasse già in fase dibattimentale. L’emissione del decreto di rinvio a giudizio, infatti, implica una verifica giurisdizionale sulla consistenza dell’accusa che assorbe la valutazione sommaria tipica della fase cautelare.

Il cuore della sentenza risiede però nell’analisi del quarto motivo di ricorso, relativo alla confisca del profitto del reato. La Corte ha ribadito con forza che la nozione di profitto confiscabile deve essere intesa come il vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione dell’illecito. Tale vantaggio deve essere calcolato al lordo dei costi sostenuti per la sua realizzazione. Le ragioni di questa interpretazione sono molteplici:

1. Funzione riequilibratrice: La confisca non ha una finalità punitiva, ma mira a ripristinare lo status quo ante, ovvero la situazione patrimoniale del reo precedente alla commissione del reato. L’obiettivo è sterilizzare qualsiasi utilità derivante dal crimine, che non può mai costituire un legittimo titolo di arricchimento.
2. Rischio economico del reato: Ammettere la detrazione dei costi significherebbe far ricadere sullo Stato una parte del rischio economico dell’attività criminosa. Se l’operazione illecita si rivelasse ‘in perdita’, lo Stato non potrebbe confiscare nulla, di fatto socializzando le perdite e privatizzando i profitti dell’illegalità.
3. Nozione penalistica di profitto: Il termine ‘profitto’ in ambito penale ha un significato più ampio rispetto a quello aziendalistico. Non si tratta di un utile netto di esercizio, ma di qualsiasi vantaggio patrimoniale conseguito tramite l’azione delittuosa.

La Corte ha inoltre affrontato la questione del sequestro in caso di concorso di persone nel reato, applicando il principio solidaristico. Secondo tale principio, che informa la disciplina del concorso, l’intera azione delittuosa e il suo effetto sono imputabili a ciascun concorrente. Di conseguenza, una volta che il profitto illecito perde la sua individualità storica, il sequestro e la confisca possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto accertato. Questo non viola il principio di proporzionalità, a condizione che l’espropriazione complessiva non superi l’ammontare totale del profitto stesso.

Le conclusioni

La sentenza in esame si pone in linea di continuità con la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite. Essa riafferma in modo inequivocabile che la confisca del profitto del reato deve colpire il vantaggio economico lordo, senza alcuna deduzione. Lo scopo è privare l’autore del reato di qualsiasi utilità economica derivante dalla sua condotta illecita, ristabilendo l’ordine economico violato. La decisione rafforza l’efficacia dello strumento della confisca come misura essenziale per contrastare la criminalità, soprattutto quella a sfondo economico, impedendo che ‘il crimine paghi’. Inoltre, il richiamo al principio solidaristico garantisce che, anche in contesti plurisoggettivi complessi, lo Stato possa efficacemente aggredire i patrimoni illeciti nella loro interezza.

Nella confisca del profitto del reato, i costi sostenuti per commettere l’illecito possono essere detratti?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il profitto da confiscare è il vantaggio economico lordo. I costi sostenuti per realizzare l’attività criminosa, anche se intrinsecamente leciti, non possono essere dedotti, poiché lo scopo della confisca è ripristinare la situazione patrimoniale antecedente al reato e non far partecipare lo Stato al rischio economico dell’illecito.

In un reato commesso da più persone, il sequestro può colpire un solo soggetto per l’intero profitto?
Sì. In applicazione del principio solidaristico, quando la quota di profitto attribuibile a ciascun concorrente non è chiaramente individuabile, il sequestro preventivo può essere disposto per l’intero importo del profitto nei confronti di ciascuno dei concorrenti, fermo restando che l’espropriazione totale non può superare l’ammontare complessivo del profitto stesso.

È possibile contestare il ‘fumus commissi delicti’ di un sequestro preventivo quando il processo è già in fase di dibattimento?
No. Secondo la Corte, l’emissione del decreto di rinvio a giudizio preclude la possibilità di contestare la sussistenza del fumus commissi delicti in sede cautelare. L’avanzamento del processo alla fase dibattimentale implica una verifica giurisdizionale sulla consistenza dell’accusa che supera la valutazione sommaria richiesta per il sequestro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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