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Confisca profitto reato: quando è legittima?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro la confisca di 500 euro, ritenuti provento di spaccio. La sentenza sottolinea come la somma, corrispondente al prezzo della cessione di stupefacenti, costituisca inequivocabilmente il profitto del reato. La decisione conferma che la confisca del profitto del reato è una misura correttamente applicata quando il denaro è il diretto risultato dell’attività illecita, anche in caso di patteggiamento, e la motivazione può essere basata sulla stessa descrizione del fatto contestato.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca profitto reato: la Cassazione conferma la linea dura

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nella lotta ai crimini patrimoniali: la confisca del profitto del reato è una conseguenza diretta e necessaria dell’accertamento della colpevolezza. Il caso in esame, relativo alla vendita di sostanze stupefacenti, offre uno spunto chiaro su come la giustizia affronti il recupero dei guadagni illeciti, anche quando la motivazione del provvedimento sembra concisa. Analizziamo insieme la vicenda e le sue implicazioni.

Il caso: la contestazione della confisca di 500 euro

La vicenda trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Urbino. Un soggetto, imputato per la cessione di cocaina, si vedeva applicare la pena concordata e, contestualmente, la confisca della somma di 500 euro. Tale importo era stato identificato come il corrispettivo ricevuto dall’acquirente per la droga.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. A suo dire, la sentenza non avrebbe spiegato adeguatamente le ragioni per cui quella specifica somma di denaro dovesse essere considerata profitto del reato e, di conseguenza, confiscata.

La decisione della Corte sulla confisca del profitto del reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la censura sollevata dall’imputato manifestamente infondata. Secondo i giudici di legittimità, il Tribunale aveva correttamente argomentato la sua decisione, anche se in modo sintetico.

Il collegamento tra la somma di 500 euro e il reato contestato era, infatti, evidente dalla stessa descrizione del capo di imputazione. L’accusa specificava che l’imputato aveva ceduto la sostanza stupefacente “dietro corresponsione del prezzo di euro 500,00”. Di conseguenza, tale somma non poteva che essere il profitto diretto del reato commesso.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha chiarito che la motivazione della confisca era pienamente coerente e sufficiente. Il giudice di merito ha correttamente ritenuto che il denaro fosse il profitto del reato contestato al capo 4 della rubrica, come descritto nell’art. 73, comma 1, del d.P.R. 309/90. La confisca, disposta in conformità con la previsione dell’art. 73, comma 7-bis, dello stesso decreto, era quindi sostenuta da una motivazione logica e aderente ai fatti.

L’inammissibilità del ricorso ha comportato non solo la conferma della confisca, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso palesemente infondato.

Le conclusioni

Questa pronuncia rafforza un orientamento consolidato: quando il nesso tra una somma di denaro e l’attività illecita è diretto e inequivocabile, la sua confisca è un atto dovuto. Non sono necessarie complesse argomentazioni per giustificarla, essendo sufficiente il riferimento alla descrizione del fatto-reato. La decisione serve da monito, evidenziando che i tentativi di contestare misure patrimoniali evidenti, basandosi su presunte carenze motivazionali, sono destinati all’insuccesso e possono comportare ulteriori conseguenze economiche per il ricorrente.

La somma di denaro ricevuta dalla vendita di sostanze stupefacenti può essere confiscata?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la somma di denaro ricevuta come corrispettivo per la cessione di stupefacenti costituisce il profitto del reato e, come tale, deve essere confiscata.

È sufficiente che il capo d’imputazione indichi una somma come prezzo del reato per giustificarne la confisca?
Sì, secondo l’ordinanza, se il capo di imputazione descrive chiaramente che una determinata somma di denaro è il prezzo pagato per l’illecito (in questo caso, la vendita di droga), tale descrizione costituisce una motivazione sufficiente per disporre la confisca di quella somma come profitto del reato.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) da versare alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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