Confisca profitto reato: la Cassazione conferma la linea dura
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nella lotta ai crimini patrimoniali: la confisca del profitto del reato è una conseguenza diretta e necessaria dell’accertamento della colpevolezza. Il caso in esame, relativo alla vendita di sostanze stupefacenti, offre uno spunto chiaro su come la giustizia affronti il recupero dei guadagni illeciti, anche quando la motivazione del provvedimento sembra concisa. Analizziamo insieme la vicenda e le sue implicazioni.
Il caso: la contestazione della confisca di 500 euro
La vicenda trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Urbino. Un soggetto, imputato per la cessione di cocaina, si vedeva applicare la pena concordata e, contestualmente, la confisca della somma di 500 euro. Tale importo era stato identificato come il corrispettivo ricevuto dall’acquirente per la droga.
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. A suo dire, la sentenza non avrebbe spiegato adeguatamente le ragioni per cui quella specifica somma di denaro dovesse essere considerata profitto del reato e, di conseguenza, confiscata.
La decisione della Corte sulla confisca del profitto del reato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la censura sollevata dall’imputato manifestamente infondata. Secondo i giudici di legittimità, il Tribunale aveva correttamente argomentato la sua decisione, anche se in modo sintetico.
Il collegamento tra la somma di 500 euro e il reato contestato era, infatti, evidente dalla stessa descrizione del capo di imputazione. L’accusa specificava che l’imputato aveva ceduto la sostanza stupefacente “dietro corresponsione del prezzo di euro 500,00”. Di conseguenza, tale somma non poteva che essere il profitto diretto del reato commesso.
Le motivazioni
La Corte Suprema ha chiarito che la motivazione della confisca era pienamente coerente e sufficiente. Il giudice di merito ha correttamente ritenuto che il denaro fosse il profitto del reato contestato al capo 4 della rubrica, come descritto nell’art. 73, comma 1, del d.P.R. 309/90. La confisca, disposta in conformità con la previsione dell’art. 73, comma 7-bis, dello stesso decreto, era quindi sostenuta da una motivazione logica e aderente ai fatti.
L’inammissibilità del ricorso ha comportato non solo la conferma della confisca, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso palesemente infondato.
Le conclusioni
Questa pronuncia rafforza un orientamento consolidato: quando il nesso tra una somma di denaro e l’attività illecita è diretto e inequivocabile, la sua confisca è un atto dovuto. Non sono necessarie complesse argomentazioni per giustificarla, essendo sufficiente il riferimento alla descrizione del fatto-reato. La decisione serve da monito, evidenziando che i tentativi di contestare misure patrimoniali evidenti, basandosi su presunte carenze motivazionali, sono destinati all’insuccesso e possono comportare ulteriori conseguenze economiche per il ricorrente.
La somma di denaro ricevuta dalla vendita di sostanze stupefacenti può essere confiscata?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la somma di denaro ricevuta come corrispettivo per la cessione di stupefacenti costituisce il profitto del reato e, come tale, deve essere confiscata.
È sufficiente che il capo d’imputazione indichi una somma come prezzo del reato per giustificarne la confisca?
Sì, secondo l’ordinanza, se il capo di imputazione descrive chiaramente che una determinata somma di denaro è il prezzo pagato per l’illecito (in questo caso, la vendita di droga), tale descrizione costituisce una motivazione sufficiente per disporre la confisca di quella somma come profitto del reato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) da versare alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 546 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 546 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE nato il 08/05/1984
avverso la sentenza del 09/06/2022 del GIP TRIBUNALE di URBINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto a mezzo del difensore da COGNOME COGNOME avvero la sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Urbino, in epigrafe indicata.
Rilevato che il ricorrente si duole della disposta confisca della somma di euro 500,00, lamentando la carenza di motivazione in sentenza.
Considerato che la censura è manifestamente infondata, avendo il giudice correttamente argomentato sul punto: la somma, invero, è stata ritenuta profitto del reato contestato al capo 4 della rubrica (art. 73, comma 1, d.P.R. 309/90), in cui si legge che l’imputato ricorrente ha ceduto ad un acquirente sostanza stupefacente del tipo cocaina dietro corresponsione del prezzo di euro 500,00.
Considerato che il provvedimento, adottato in conformità alla previsione di cui all’art. 73, comma 7-bis. d.P.R. 309/90, è sostenuto da conferente motivazione. .
Ritenuto, pertanto. che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 ottobre 2023
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Il Consigliere estensore
Il Presidente