Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22594 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22594 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Polonia il 24/07/1981
avverso la sentenza del 28/11/2023 del TRIBUNALE di Bergamo
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria difensiva pervenuta telematicamente dall ‘ avv. NOME COGNOME con cui ha insistito per l ‘ accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 novembre 2023, il Tribunale di Bergamo applicava ex art. 444, cod. proc. pen., a NOME , esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 -bis , cod. pen., e riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla residua aggravante e ritenuta la continuazione sotto il più grave reato di cui al capo 1), la pena condizionalmente sospesa di anni 2 di reclusione, considerata la diminuente di rito, disponendo la confisca diretta del profitto del reato sino alla concorrenza della somma di euro 495.894,64.
Avverso la predetta sentenza COGNOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo due motivi, di seguito enunciati ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 240, cod. pen., nella parte in cui ha ritenuto il profitto dei reati di cui all’imputazione conseguito dal ricorrente sottoponibile alla confisca diretta nell’ammontare sopra indicato, e correlato vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui quantifica il profitto di reato come imputabile al ricorrente in tale importo.
In sintesi, si duole la difesa del ricorrente in quanto la confisca disposta nei confronti del medesimo si riferirebbe all’intero profitto derivante da tutti i reati -fine di cui all’imputazione, derivante dall’omesso versamento dell’imposta di consumo sull’olio lubrificante e prodotti assimilati, introdotto in Italia e venduto ai clienti indicati nei capi di imputazione da 2 a 27. Trattandosi di confisca diretta, la stessa concerne il profitto direttamente riconducibile al reato e, in quanto tale deve essere disposta nei confronti di coloro che ne abbiano in concreto beneficiato e nella misura da ciascuno trattenuta. Secondo la difesa, il risparmio di spesa derivante da ll’omesso pagamento dell’imposta di consumo sull’olio lubrificante di provenienza comunitaria non costituirebbe alcun profitto per il ricorrente, ma degli acquirenti/clienti, come chiaramente individuati nei capi di imputazione. A tal proposito, ricorda co me ai sensi dell’art. 61, d. lgs. 504 del 1995, l’obbligo di pagare l’imposta di consumo sui prodotti di provenienza comunitaria, diversamente dall’accisa, grava sui soggetti che effettuano la prima immissione in consumo. Ne discende che l’imposta evasa av rebbe dovuto essere pagata dai singoli acquirenti del prodotto di cui ai capi di imputazione, quali acquirenti dell’olio lubrificante o clienti o destinatari, unici ad aver tratto profitto dal reato, non essendo stato infatti il ricorrente beneficiario di tale risparmio di spesa. Ricorda, a tal proposito, come mentre l’art. 61, comma 4, d. lgs. n. 504 del 1995, prevede che, nel caso di omesso pagamento dell’imposta di consumo, la sanzione si applichi solo al soggetto obbligato a pagare l’imposta, diversamen te, nelle ipotesi di omesso versamento delle accise, le sanzioni si applicano sia al soggetto che omette il versamento ma anche alle altre figure indicate nell’art. 44, comma 1, d. lgs. citato, e non solo al soggetto passivo dell’imposta. Si aggiunge, anco ra, che l’iscrizione dell’intero profitto al ricorrente sarebbe ulteriormente ingiustificata ed illegittima nella parte in cui non considera che alla condotta criminosa hanno partecipato 21 imputati, come risulta dall’ordinanza custodiale nella parte in cu i quantifica l’importo del profitto. Si osserva come la confisca del profitto del reato commesso in forma concorsuale può avvenire pro-quota laddove la natura della concreta fattispecie ed i rapporti economici ad essa sottostanti consentono di individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto in concreto conseguita dai singoli concorrenti. Essendo l’obbligazione tributaria chiaramente individuata negli importi e nei singoli soggetti
passivi, la confisca avrebbe dovuto essere disposta nei confronti di tali soggetti pro-quota e non per l’intero nei confronti del ricorrente, non avendo questi conseguito alcun risparmio/profitto indicato in sentenza come imposta evasa, non essendo tenuto al pagamento dell’imposta di consumo sulle singole vendite.
Infine, ad integrazione del primo motivo di ricorso, la difesa del ricorrente ha depositato memoria con motivi nuovi (su cui v. infra ), con cui, in particolare, a conferma del fatto che il Legierski non è soggetto obbligato al pagamento tanto dell’imposta di consumo quanto dell’accisa, sottolinea che l’accisa diventa esigibile all’atto di immissione al consumo , richiamando a tal proposito quanto afferma l’art. 2, d. lgs. n. 504 del 1995, sostenendo che l’importazione cui si riferisce la norma riguarderebbe un’importazione da un Pase Terzo e non un’importazione tra Stati membri, conseguendone che l’ipotesi di cui all’art.2 lettera c) del TUA, non si applica alla circolazione tra diversi Stati membri, per i quali troverebbe invece applicazione l’art. 7 del citato decreto, sostenendo pertanto che il responsabile primo del pagamento dell’accisa nell’ambito nazionale è il gestore dell’impianto che immette il prodotto in consumo .
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 7 CEDU ed all’art. 1, Primo protocollo addizionale alla CEDU.
In sintesi, premessa una sintetica ricognizione della giurisprudenza convenzionale, sostiene la difesa che la confisca disposta per l’intero a carico del solo ricorrente e non anche nei confronti dei coimputati pro-quota non rispetti i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte EDU in tema di proporzionalità, prevedibilità e personalità. Avendo natura sanzionatoria, la confisca deve essere commisurata al grado di partecipazione al profitto d ciascun concorrente, senza dunque eccedere la quota di prezzo o profitto a ciascuno attribuibile, sicché, in assenza di elementi diversi, sarebbe legittima la suddivisione pro-quota del complessivo importo. Ove si ritenesse diversamente, si chiede a questa Corte di proporre domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla corretta interpretazione dell’art. 240, cod. pen. alla luce dell’art. 6 TUE e dell’art. 7 CEDU e dell’art. 49, CDFUE.
In data 20.03.2024 la difesa del ricorrente ha fatto telematicamente pervenire motivi nuovi, di seguito sintetizzati.
3.1. Con il primo motivo nuovo ha dedotto il vizio di violazione di legge in relazione a ll’art.240 , comma primo, cod. pen., e del principio di legalità nella parte in cui applica la confisca diretta anche al valore corrispondente al risparmio di spesa costituita dall’intera imposta evasa dai coimputati .
In sintesi, richiamata la giurisprudenza di questa Corte (segnatamente quanto affermato dalle Sezioni Unite ‘Coppola’, n. 42415/2021, che, pur qualificando la confisca
del denaro come una confisca diretta, ribadisce la sua limitazione alla somma di denaro effettivamente conseguita per effetto dalla violazione commessa), sostiene che l’imposta non versata, anche qualora volesse ritenersi che il COGNOME fosse un soggetto passivo dell’imposta di consumo/accisa, non costituisce una somma entrata nel suo patrimonio a causa della commissione dell’illecito , ritenendo tali solo quelle costituite esclusivamente dalla ‘provvigione’ che questi riceveva a titolo di corrispettivo per l’attività di intermediazione/interpretazione tra il COGNOME NOME e i singoli autisti dei mezzi che portavano il prodotto a destinazione indicata proprio da COGNOME, allegando ai motivi aggiunti un ‘informativa di polizia giudiziaria del 29.04.2020 , n.247860/20 ed evidenziando quanto emergente da una richiesta di intercettazioni telefoniche del 19.09.2018, n.559358/18, e sottolineando quanto dichiarato in sede confessoria dal ricorrente , a fondamento dell’istanza di applicazione della pena su richiesta, avendo il COGNOME confermato di aver svolto l’attività di intermediario/interprete per gli autisti di origine polacca. La sentenza sarebbe illogica e contraddittoria, in quanto, nel quantificare il profitto confiscabile (accrescimento economico conseguito da COGNOME) avrebbe omesso di considerare gli elementi di prova che dimostrano il reale profitto conseguito dal ricorrente, ossia la provvigione trattenuta sulle singole vendite, per imputargli invece un profitto costituito dall’intera imposta evasa (che dovevano invece versare i distributori finali – singoli acquirenti del prodotto indicati nella stessa imputazione). In definitiva, considerato che dalla singola cessione del 14.09.2018 COGNOME avrebbe percepito 850,00 euro risulta evidente per la difesa che il profitto avrebbe potuto essere quantificato prendendo come riferimento tale somma moltiplicata per il numero delle singole cessioni di cui al capo di imputazione (850X26), ossia la somma di 22.600 euro. La sentenza impugnata dovrebbe quindi ritenersi illegittima nel punto relativo alla confisca diretta per l’intera imposta evasa in quanto trasforma una misura di sicurezza (avente natura ripristinatoria) in un sanzione/pena che impone al Legierski un sacrificio maggiore al vantaggio conseguito, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto (si cita, ad esempio, Cass. 12.4.2022, dep. 18/05/2022, n. 19561). Inoltre sarebbe illegittima applicando, di fatto, alla confisca diretta (l’unica ammissibile nel caso concreto) i principi e i criteri elaborati nell’individuazione dell’oggetto della confisca per equivalente , in quanto non solo il reale incremento monetario viene ritenuto corrispondere ad un valore (valore dell’imposta evasa) , ma all’imputato COGNOME viene ascritto il peso del profitto conseguito da tutti i coimputati convolti, acquirenti del prodotto energetico che avrebbero dovuto invece versare l’imposta : tale estensione della confisca si applica per la difesa solo nella confisca per equivalente, che assume i connotati della pena, ma non alla confisca diretta, che si limita a sottrare al reo il vantaggio monetario effettivamente conseguito dallo stesso per effetto dell’attività illecita. La confisca diretta facoltativa applicabile all’imputato COGNOME poteva riguardare solo l’effettivo accrescimento
patrimoniale monetario di derivazione diretta dal reato e non un risparmio di spesa conseguito dai soggetti passivi dell’imposta, coimputati.
3.2. Con un secondo motivo nuovo deduce il vizio di violazione di legge in relazione a ll’art.444 cod. proc. pen., con particolare riferimento a ll’accordo raggiunto tra il pubblico ministero e l’imputato e violazione del principio del contraddittorio.
In sintesi, si sostiene che il rispetto del principio del contraddittorio, anche in ordine alla sanzione applicata, visto il tenore del comma 2 dell’art. 444 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150/2022, avrebbe dovuto indurre il Giudice ad interloquire con le parti in ordine alla confisca nel momento in cui lo stesso ha ravvisato i presupposti per la sua applicazione; un contraddittorio esteso anche alla quantificazione del profitto confiscabile. Il mancato rispetto di quanto statuito dall’art. 444 citato, comporta l’annullamento della sentenza.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 19/03/2025, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso in quanto manifestamente infondato.
In sintesi, ritiene il PG, con riferimento al primo motivo, necessario innanzitutto rilevare che non è possibile condividere quanto viene affermato dal ricorrente a proposito dell’illegittimità del calcolo della somma sottoposta a confisca perché coincidente con l’intero profitto dei reati contestati per tutti i concorrenti. Al contrario, la sentenza impugnata specifica chiaramente che il profitto del complesso di tutti i delitti-scopo dell’associazione per delinquere dovuta all’evasione dell’imposta di consumo ammonta ad euro 2.264.851, ragione per cui risulta evidente che la somma di euro 495.494,64 oggetto di confisca a danno del ricorrente, appartenente all’associazione con un ruolo apicale, corrisponde alla sua quota individuale. Il ricorso, del resto, si limita a sostenere che la prima somma corrisponda all’intero profitto dei reati, senza specificare dal punto di vista quantitativo quale sarebbe stata la quota individuale del ricorrente. Poi, per quanto riguarda la contestazione della qualificazione in sé del denaro non versato a titolo di imposta come profitto dei concorrenti, nella misura in cui le accise sarebbero gravate non su questi ultimi ma sui loro acquirenti, l’argomentazione proposta non risulta condivisibile ed è frutto di un’errata rappresentazione del fenomeno in questione. È necessario premettere innanzitutto che l’imposta non pagata, e qualificata dalla decisione come profitto ai fini della confisca, non è il risultato della percentuale applicata al prezzo che astrattamente i consumatori avrebbero dovuto pagare se avessero comprato la merce oggetto del traffico illecito attraverso vie legali, ma al contrario quella applicata al prezzo comunque pagato da questi ultimi nel caso di specie. La circostanza che siano i primi consumatori e non gli appartenenti all’associazione del ricorrente i destinatari dell’imposta non osta al riconoscimento di un profitto, perché sono comunque questi
ultimi i soggetti destinatari dell’obbligo di versare materialmente tali somme al Fisco. Per quanto, infatti, il prezzo dell’accisa sia a carico dell’acquirente a valle, è colui che a monte della catena di vendita riceve tale somma che deve poi assolvere l’onere di trasferirla all’ente pubblico competente. Tale somma, limitatamente alla propria quota, non è mai stata versata dal ricorrente. Motivo per cui è possibile ritenere che una simile elusione delle disposizioni fiscali costituisca un profitto legittimamente sottoponibile a confisca. Il secondo motivo, allo stesso modo, deve ritenersi manifestamente infondato. La giurisprudenza di legittimità ha infatti da tempo chiarito che quando la confisca assume una valenza sanzionatoria oltre che preventiva la sua compatibilità con i principi costituzionali ed europei dev’essere valutata attraverso il parametro della proporzionalità rispetto al vantaggio patrimoniale conseguito dal destinatario della misura (tra le tante Cass., Sez. 2, Sent. n. 21820 del 26/04/2022 Cc., dep. 06/06/2022, Rv. 283364; Cass., Sez. 3, Sent. n. 39168 del 07/09/2021 Cc., dep. 29/10/2021, Rv. 282479; Cass., Sez. 2, Sent. n. 37590 del 30/04/2019 Cc., dep. 11/09/2019, Rv. 277083). Posto che sono già state esposte le ragioni in virtù delle quali deve ritenersi che nel caso in esame il profitto oggetto di confisca è effettivamente quello riconducibile al ricorrente, il suddetto principio può ritenersi rispettato, e non residuano dubbi interpretativi sufficienti a legittimare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea .
5. I n data 5 maggio 2025, l’Avv. NOME COGNOME ha fatto pervenire telematicamente memoria difensiva, con cui, insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso principale e nuovi, ha sostenuto che la violazione di legge commessa dal Tribunale di Bergamo troverebbe conferma nella sentenza di questa Corte, a Sezioni Unite, n.13785/25 del 26.09.2024 che ha confermato che la confisca diretta può essere applicata solo in relazione al vantaggio effettivamente conseguito dal reo che deve anche costituire una derivazione causale dal reato.
Ricorda la difesa che la sentenza ha escluso la solidarietà passiva, imponendo l’accertamento in concreto nel corso del processo, con l’onere a carico dell’accusa, del profitto effettivamente conseguito. La sentenza del Tribunale di Bergamo sarebbe pertanto erronea in quanto sostiene essere entrato nel patrimonio del ricorrente un risparmio di spesa, che, come esposto nel ricorso e nei motivi nuovi, non poteva essere ascritto a COGNOME non trattandosi di un soggetto passivo dell’imposta di consumo sull’olio lubrificante di provenienza comunitaria, violando i principi riguardanti la confisca diretta confermati da questa Corte. Ai sensi dell’art. 61 T .U. Accise, nella versione applicabile al momento dei fatti, il soggetto passivo è, in particolare, il soggetto che effettua la prima immissione in consumo per i prodotti di provenienza comunitaria. Certamente non si tratta di consumatori (sui quali grava solo il peso dell’imposta), ma di soggetti che pongono in vendita ai consumatori, o comunque in quanto distributori ricevono, l’olio lubrificante o altri prodotti soggetti all’imposta. Il ricorrente non assumeva
nessuna di queste qualifiche e, pertanto, non era obbligato a pagare l’imposta evasa dai singoli distributori/fornitori. Peraltro, secondo la difesa, non può escludersi che in caso di vendita presso i singoli destinatari finali (stazioni di servizio o distributori) questi non abbiano provveduto al pagamento, previa imputazione di tale costo al prezzo del prodotto offerto ai consumatori finali. Nella sentenza ‘ Coppola ‘ viene infatti specificato che ‘alla confisca diretta (…) è estranea qualunque forma di presunzione ed è l’accusa a dover dimostrare l’effettivo conseguimento del prezzo o del profitto monetario del reato da parte del suo autore’ (Cass. Coppola , cit. punto 19). La sentenza del Tribunale di Bergamo risulterebbe priva di motivazione sul punto, in quanto si limiterebbe ad indicare una tabella utilizzata in sede di adozione delle misure cautelari riguardanti ulteriori cessioni dell’olio lubrificante o di altri prodotti, non considerate nell’atto di imputazione (richiesta di rinvio a giudizio), e, pertanto, si è pure proceduto alla confisca del profitto riguardante i reati non contestati poi all’imputato COGNOME. Nemmeno la tabella richiamata dal Tr ibunale indica l’importo di € 495.894,64 per il quale è stata disposta la confisca nei confronti del COGNOME. Peraltro, ammesso e non concesso che il profitto ascrivibile al ricorrente fosse costituito dall’imposta evasa, nemmeno sommando gli importi di imposta indicati nei singoli reatifine si ottiene tale somma (l’importo di imposta evasa con i reati fine di cui all’imputazione ammonta ad € 460.527,00). Costituirebbe, poi, una mera ipotesi priva di riscontro l’asserzione del Procuratore Generale che il Tribunale abbia suddiviso l’intero profitto tra i promotori dell’associazione e ascritto a COGNOME solo una quota, perché non vi è traccia di tale calcolo che peraltro non è corretto giuridicamente e matematicamente. Inoltre, sarebbe priva di fondamento l’asserzione che il profitto del reato conseguito dal reato associativo e dai reati fine debba essere suddiviso solo tra i soggetti in posizione apicale e non anche tra i partecipanti all’associazione. Il Procuratore Generale sostiene che il COGNOME era gravato dall’obbligo di pagare l’imposta di consumo evasa non in quanto destinatario finale ma in quanto partecipante all’associazione. Delle due una. Se anche l’imposta dovesse gravare su tutti gli associati (sul punto però si richiama quanto esposto nel ricorso e nei motivi nuovi in ordine al soggetto obbligato a pagare l’imposta di consumo da non confondere con il soggetto obbligato a pagare l’accisa), il profitto doveva essere distribuito tra tutti i coimputati -associati e non solo tra i soggetti in posizione apicale, per cui doveva essere se mai suddiviso, quantomeno, tra 21 imputati. Parimenti, precisa la memoria, questa difesa ha precisato, contrariamente da quanto sostenuto dal Procuratore Generale, che le somme che eventualmente avrebbero potuto, invece, ritenersi entrate nel patrimonio dell’imputato COGNOME per effetto dei reati contestati siano quelle costituite esclusivamente dalla ‘provvigione’ che questi riceveva a titolo di corrispettivo per l’attività di intermediazione/interpretazione tra il COGNOME NOME e i singoli autisti dei mezzi che portavano il prodotto a destinazione indicata proprio da COGNOME. A tal fine si avrebbe dovuto considerare quanto emergeva dagli atti delle indagini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Deve, preliminarmente, premettersi che del presente ricorso era stato differito l’esame , originariamente fissato per l’udienza dell’11 aprile 2024, in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sulla questione ‘ se, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascun concorrente, indipendentemente da quanto ognuno abbia effettivamente percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno; o, ancora, in quest’ultimo caso, se la confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base al grado di responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali ‘ .
Tale questione è stata risolta nel senso che «In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confisca, per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti» (Sez. Un., 8 aprile 2025, n. 13783).
3. Tanto premesso, deve essere rilevata l’inammissibilità del secondo motivo nuovo, con cui viene dedotta la violazione dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen., in quanto non collegato ai motivi del ricorso originario che avevano attinto la sentenza di patteggiamento esclusivamente con riferimento alla statuizione accessoria della confisca. È infatti pacifico che i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame, ai sensi dell’art. 581, comma primo, lett. a), cod. proc. pen. (per tutte: Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, COGNOME ed altri, Rv. 210259 -01; nella giurisprudenza successiva, cfr. Sez. 6, n. 27325 del 20/05/2008, Rv. 240367 -01).
In merito a quanto dedotto con il primo motivo del ricorso originario e con il primo motivo nuovo, va invece osservato quanto segue.
Risulta dalla sentenza impugnata che il ricorrente, unitamente ad altri soggetti, ha patteggiato la pena per il delitto associativo contestato al capo 1) nonché per una serie di reati-fine, contestati ai capi da 2) a 27).
5.1. Secondo quanto argomentato nella sentenza impugnata e risultante dalle stesse imputazioni, al medesimo è stato contestato di aver svolto, all’interno del sodalizio criminoso, il ruolo di fiduciario di tale COGNOME nonché di organizzatore della struttura associativa, trait d’union , detentore di contatti diretti sia con il fornitore del prodotto energetico illecitamente introdotto che con gli autisti deputati al trasporto del medesimo sino al territorio italiano. In particolare, per quanto emerge dagli atti, l’associazione di cui il ricorrente è organizzatore era stata costituita per realizzare un flusso continuo di illegali importazioni sul territorio italiano di prodotto energetico per complessivi 3.382.200 litri circa, prodotto da sottoporsi ad imposta di consumo ed assimilabile sotto il profilo fiscale e doganale ad olio lubrificante, in evasione della predetta imposta per un importo di oltre 2 milioni di euro. Secondo la descrizione fattuale emersa, l’acquisto del prodotto veniva effettuato in territorio belga e polacco, lo stoccaggio temporaneo veniva effettuato in una località tedesca, in due località austriache ed in una località olandese. Lo stesso veniva poi trasportato su gomma o su rotaia a mezzo cisterne sino ai luoghi di stoccaggio temporaneo in territorio italiano. Infine, il prodotto veniva commercializzato a favore di società o ditte che provvedevano al prelievo a mezzo di proprie autocisterne ed al successivo trasporto sino ai luoghi di destinazione finale, ubicati nel centro-sud Italia, ove veniva distribuito in maniera fraudolenta, clandestina e parallela alle reti di fornitura autorizzate.
5.2. Così descritta l’attività del sodalizio, al medesimo ricorrente sono stati ascritti in concorso i predetti reatifine, aventi ad oggetto l’evasione dell’imposta di consumo di tale prodotto illecitamente importato, per i quantitativi e gli importi meglio descritti nei singoli capi di imputazione. I reatifine contestati, dunque, sono quelli di cui all’art. 61, in relazione all’art. 40, comma 4, d.lgs. n. 504 del 1995.
5.3. Nel caso in esame, il T ribunale, nell’accogliere la pena proposta in sede di applicazione ex art. 444, cod. proc. pen., ha giustificato, a norma dell’art. 240, cod. pen., la confisca del profitto dei reati -fine, pari all’importo complessivo delle imposte indirette evase, ritenendolo correttamente quantificato dalla Guardia di Finanza attraverso l’applicazione, con riferimento alle varie tipologie di prodotto energetico di contrabbando in trattazione, delle relative aliquote di imposta vigenti nel settore delle accise. La confisca, si legge in sentenza, è stata applicata sino a concorrenza dell’imposta evasa per ciascuna introduzione dei prodotti energetici sul territorio nazionale, ammontante complessivamente ad euro 495.894,64.
5.4. La difesa del ricorrente ha impugnato la disposta confisca del profitto dei reati-fine ritenendo che il proprio assistito fosse soggetto non obbligato al pagamento dell’imposta, sostenendo che l’imposta di consumo avrebbe dovuto essere corrisposta dai
singoli acquirenti del prodotto comunitario, unici ad aver tratto profitto, non essendo stato il ricorrente beneficiario di tale risparmio di spesa.
La doglianza difensiva merita di essere accolta, dovendosi svolgere alcune precisazioni in ordine alla quantificazione del profitto confiscabile.
6.1. Occorre, invero, operare un preliminare distinguo tra la disciplina in tema di accise e quella in tema di imposta di consumo, che riguarda il caso sottoposto all’esame della Corte, dovendosi solo operare una correzione alla impostazione difensiva suggerita nella memoria depositata in limine litis circa l’individuazione della normativa applicabile in quella dell’art. 7, d. lgs. n. 504 del 1995.
6.2. Anzitutto, la disciplina normativa dettata in tema di accise.
L’accisa è un’imposta applicata sulla fabbricazione e sul consumo di determinate merci. È un tributo indiretto che colpisce: a) i prodotti energetici, in particolare gli oli minerali derivanti dalla distillazione e raffinazione del petrolio (quali benzina, gasolio, gas metano, ecc.); b) l’energia elettrica; c) i prodotti alcolici (alcole e bevande alcoliche); d) i tabacchi lavorati. Il processo di armonizzazione delle accise è stato avviato con la direttiva 92/12/CEE, successivamente sostituita dalla direttiva 2008/118/CE, con cui l’Unione europea ha istituito il regime generale delle accise gravanti su prodotti energetici ed elettricità, alcole e bevande alcoliche e tabacchi lavorati, uniformando le aliquote e le modalità applicative. La disciplina specifica per l ‘accisa sui prodotti petroliferi è contenuta nella direttiva 2003/96/CE, relativa a prodotti energetici ed elettricità. l legislatore italiano ha recepito la normativa europea attraverso il “Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative”, approvato, come detto, con D.lgs. 26.10.95, n. 504 (Testo Unico Accise – TUA) e successive modifiche , l’ultima delle quali intervenuta con il D.lgs. 26 settembre 2024, n. 141 (recante ‘ Disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione e revisione del sistema sanzionatorio in materia di accise e altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi ‘ ).
6.3. Tanto premesso, per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione, compresa l’estrazione dal sottosuolo qualora l’accisa sia applicabile, ovvero della loro importazione (art. 2 del T.U. Accise). L’accisa è esigibile all’atto della immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato. L’art. 2, comma 4, lett. c), del medesimo D.lgs., nella formulazione antecedente alla modifica normativa operata dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 3.3), D.lgs. 5.11.2021 n. 180 (pubblicato in G.U. 29.11.2021 n. 284) -che ai sensi del successivo art. 3, comma 1, ha efficacia a decorrere dal 13.2.2023 -stabili(va) che l’obbligato al pagamento dell’accisa ‘ relativamente all’importazione di prodotti sottoposti ad accisa ‘ (dunque, come nella specie, i prodotti energetici di cui si discute), è il ‘ debitore dell’obbligazione doganale individuato in base alla relativa normativa e, in caso di importazione irregolare, in solido,
qualsiasi altra persona che ha partecipato all’importazione ” (tale disposizione, si noti, è stata oggi modificata nel senso di estendere anche al caso di ingresso irregolare, oltre che all’ipotesi originaria dell’importazione, il regime di solidarietà). Dunque, per i prodotti soggetti ad accisa, vige il regime di solidarietà in caso di importazione irregolare.
6.4. Tale regime, tuttavia, non è estensibile all’imposta di consumo ex art. 61, D.lgs. n. 504 del 1995, che ha una disciplina derogatoria, posto che la normativa (art. 61, D.lgs. 26.10.1995, n. 504), prevede, al comma 1, che obbligato al pagamento dell’imposta di consumo è, per quanto qui rileva – considerato che i prodotti venivano acquistati dal Belgio e dalla Polonia (entrambi Stati membri UE) -, ‘ il soggetto che effettua la prima immissione in consumo per i prodotti di provenienza comunitaria ‘ (comma 1, lett. b), n. 2). La stessa disposizione specifica che l’immissione in consumo si verifica ‘ per i prodotti di provenienza comunitaria, all’atto del ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente ovvero nel momento in cui si considera effettuata, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, la cessione, da parte del venditore residente in altro Stato membro, a privati consumatori o a soggetti che agiscono nell’esercizio di una impresa, arte o professione ‘ (comma 1, lett. c), n. 2).
È , infine, l’art. 61, comma 4, d. lgs. n. 504 del 1995 a stabilire che ‘ Per le violazioni all’obbligo del pagamento dell’imposta si applicano le sanzioni stabilite dagli articoli 40 e 44 ‘. Nella specie, è l’art. 40, comma 4, D.lgs. n. 504 del 1995, a stabilire che ‘ Se la quantità di prodotti energetici è superiore a 2.000 chilogrammi la pena è della reclusione da uno a cinque anni, oltre la multa ‘, mentre l’art. 44, come è noto, disciplina la confisca di prodotti, materie prime e mezzi comunque utilizzati per commettere il reato. Il comma 2 dell’art. 61 citato non richiama, ‘p er i tributi disciplinati dal presente titolo ‘ la disposizione dell’art. 2: dunque il regime di solidarietà, in caso di importazione, non trova applicazione nei confronti di qualsiasi altra persona che ha partecipato all’importazione dei prodotti soggetti ad imposizione indiretta ex art. 61.
6.5. L’interpretazione fornita dalla difesa del ricorrente è quindi conforme alla disciplina normativa che obbliga al pagamento dell’imposta, per i prodotti di provenienza comunitaria, il soggetto che effettua la prima immissione in consumo, precisando che la prima immissione, per i predetti prodotti, si verifica ‘ all’atto del ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente ovvero nel momento in cui si considera effettuata, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, la cessione, da parte del venditore residente in altro Stato membro, a privati consumatori o a soggetti che agiscono nell’esercizio di una impresa, arte o professione ‘.
Dunque, obbligati al pagamento dell’imposta di consumo sono, come sostenuto dalla difesa, i singoli acquirenti del prodotto comunitario, intesi quali clienti o destinatari del prodotto illecitamente importato, atteso che l’obbligato al pagamento dell’impos ta di consumo è il soggetto che ha effettuato la prima immissione in consumo dei prodotti
petroliferi, momento individuato, ex lege , in quello del ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente.
Il relativo profitto del reato ex art. 40, comma 4, D.lgs. n. 540 del 1995 non è quindi ascrivibile in capo al ricorrente, soggetto non obbligato al pagamento dell’imposta, ma in capo all’acquirente del prodotto energetico, nei cui confronti sorge l’obbligazione all’atto del ricevimento della merce, momento di prima immissione in consumo, fatto generatrice dell’obbligazione doganale, che ha conseguito un illegittimo profitto, in termini di risparmio di spesa (evasione dell’imposta di consumo) acquistando, per la successiva commercializzazione, i prodotti energetici illecitamente importati.
6.6. La lettura dei capi di imputazione consente di determinare l’ammontare dell’imposta evasa e i singoli soggetti passivi (COGNOME Antonio, per il capo 2; COGNOME NOME, per i capi 3) e 4); COGNOME NOME, per i capi 5), 6), 7), 8) e 9; COGNOME NOME, per i capi 10), 11) 12) e 13); COGNOME NOME, per i capi 14), 15), 16), 17), 18) e 19); NOME COGNOME, per i capi 20), 21), 22), 23), 24), 25), 26) e 27).
La confisca diretta del profitto dei reati-fine , corrispondente all’imposta da ciascun soggetto obbligato evasa, deve quindi essere disposta nei confronti di ciascuno di essi, pro-quota , seguendo l’insegnamento delle Sezioni Unite, oggetto della richiamata sentenza 8 aprile 2025, n. 13783. Trova, infatti, applicazione il principio, affermato dalle richiamate Sezioni Unite di questa Corte secondo cui «In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confisca, per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti».
6.7. Seguendo quanto correttamente evidenziato dal ricorrente nel primo motivo nuovo, dunque, il ricorrente deve subire la confisca diretta del profitto dei reati-fine personalmente conseguito, pari alla somma entrata nel suo patrimonio a causa della commissione dell’illecito , dovendosi ritenere tali solo quelle costituite esclusivamente dalla ‘provvigione’ che questi riceveva a titolo di corrispettivo per l’attività di intermediazione tra il COGNOME NOME e i singoli autisti dei mezzi che portavano il prodotto a destinazione.
Il profitto confiscabile, pertanto, dovrà essere determinato facendo riferimento all ‘importo previsto per la singola cessione, moltiplicato per il numero delle singole cessioni di cui ai capi di imputazione relativi ai reati-fine contestati. Trattandosi di accertamento di merito, si impone, pertanto, l ‘annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Bergamo in diversa composizione personale.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso originario e del primo motivo nuovo esime pertanto dall’esaminare il secondo motivo del ricorso originario, da ritenersi assorbito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente al punto concernente la confisca con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Bergamo, in diversa persona fisica. Così deciso, il 16/05/2025