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Confisca profitto reato associativo: calcolo e limiti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20227/2024, chiarisce i criteri per la determinazione della confisca del profitto del reato associativo a carico di una società. Viene riaffermato il principio di irretroattività, secondo cui il calcolo deve basarsi esclusivamente sulle condotte illecite poste in essere dopo l’introduzione del reato di associazione per delinquere nel novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti (D.Lgs. 231/2001). La Corte ha rigettato il ricorso di una società di costruzioni, confermando la correttezza del calcolo effettuato dalla Corte d’Appello, che aveva tenuto conto sia della condotta associativa successiva alla novella legislativa del 2009, sia dei profitti dei reati-fine commessi nello stesso periodo.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Profitto Reato Associativo: La Cassazione e il Principio di Irretroattività

La responsabilità amministrativa degli enti, introdotta dal D.Lgs. 231/2001, rappresenta uno strumento cruciale nella lotta alla criminalità d’impresa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20227/2024) offre importanti chiarimenti su un aspetto nevralgico: la confisca del profitto del reato associativo. La decisione sottolinea il rigoroso rispetto del principio di irretroattività, stabilendo che il profitto confiscabile può derivare solo dalle condotte illecite poste in essere dopo che il reato di associazione per delinquere è stato ufficialmente inserito nel catalogo dei reati presupposto. Analizziamo insieme i dettagli di questo complesso caso.

Il Caso: Un Complesso Schema di Frode Fiscale

La vicenda giudiziaria ha origine da un’indagine che ha smascherato una complessa organizzazione criminale finalizzata alla commissione di gravi reati fiscali. Al vertice di questa struttura si trovava una nota società di costruzioni, appaltatrice di importanti opere pubbliche. L’associazione a delinquere si avvaleva di una rete di società “cartiere” create appositamente per emettere fatture per operazioni inesistenti. Questo meccanismo permetteva alla società principale di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, generando profitti illeciti.

L’amministratore della società di costruzioni è stato ritenuto responsabile dei reati tributari e del reato di associazione per delinquere. Di conseguenza, anche la società stessa è stata chiamata a rispondere ai sensi del D.Lgs. 231/2001 per l’illecito amministrativo derivante dal reato associativo, commesso nel suo interesse e a suo vantaggio.

Il Lungo Percorso Giudiziario e la Confisca del Profitto

Il percorso processuale è stato lungo e articolato, con diverse sentenze e ricorsi in Cassazione. Il punto focale del contendere è sempre stato la quantificazione del profitto da sottoporre a confisca. Inizialmente, il calcolo includeva i profitti derivanti da condotte associative antecedenti all’agosto 2009. Tuttavia, il reato di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) è stato introdotto come reato presupposto nel D.Lgs. 231/2001 solo con la Legge n. 94 del 2009, entrata in vigore proprio in quella data.

La Corte di Cassazione, in un precedente annullamento con rinvio, aveva stabilito un principio di diritto (dictum) chiaro: la Corte d’Appello avrebbe dovuto ricalcolare il profitto confiscabile tenendo conto esclusivamente delle condotte associative successive all’entrata in vigore della nuova legge. Questo per rispettare il fondamentale principio di irretroattività della legge penale (e delle sanzioni amministrative da essa dipendenti).

La Decisione della Cassazione sulla Confisca del Profitto del Reato Associativo

Nell’ultima sentenza, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla società, ritenendo che la Corte d’Appello di Brescia, in sede di rinvio, avesse correttamente applicato il principio di diritto indicato. I giudici di merito avevano infatti limitato il calcolo del profitto al periodo successivo all’agosto 2009, determinando l’importo da confiscare sulla base dei reati-fine (i delitti tributari) commessi in quel lasso di tempo come “proiezione patrimoniale” del programma criminoso dell’associazione.

La difesa sosteneva che il profitto del reato associativo dovesse essere calcolato in modo diverso e autonomo da quello dei singoli reati-fine. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che, sebbene il profitto del reato associativo sia autonomo, è costituito proprio dal complesso dei vantaggi direttamente conseguiti dall’insieme dei reati-fine, che rappresentano la concreta realizzazione del piano criminale.

Le Motivazioni della Corte: Irretroattività e Calcolo del Profitto

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri fondamentali.

1. Stretto Rispetto del Principio di Irretroattività: La Corte ribadisce che, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 231/2001, un ente non può essere sanzionato per un fatto che, al momento della sua commissione, non era previsto come presupposto per la sua responsabilità. Pertanto, tutte le condotte associative anteriori all’agosto 2009 dovevano essere escluse dal calcolo del profitto, poiché solo da quella data il reato di associazione per delinquere è diventato rilevante ai fini del decreto 231.

2. La Nozione di “Proiezione Patrimoniale”: Per calcolare il profitto della confisca del profitto del reato associativo, i giudici devono considerare le “proiezioni patrimoniali del programma criminoso”. Questo significa che, pur non rispondendo l’ente dei singoli reati-fine (se non previsti nel catalogo), il vantaggio economico che ne deriva è considerato come la manifestazione concreta del profitto del reato associativo. Di conseguenza, è corretto quantificare tale profitto basandosi sulla somma dei profitti dei reati-fine commessi nel periodo di vigenza della norma incriminatrice.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa sentenza consolida un principio di legalità e certezza del diritto fondamentale per le imprese. Le aziende devono sapere con chiarezza quali reati possono far scattare la loro responsabilità amministrativa e da quale momento. La decisione conferma che le sanzioni, inclusa la pesante misura della confisca, non possono avere effetto retroattivo. Al tempo stesso, essa evidenzia come il profitto derivante da un’associazione criminale venga identificato nel complesso dei vantaggi economici ottenuti attraverso i reati compiuti in attuazione del programma illecito, fornendo un criterio chiaro per la sua quantificazione ai fini della confisca.

Come si calcola il profitto da confiscare a una società per il reato di associazione per delinquere?
Il profitto si calcola tenendo conto delle “proiezioni patrimoniali del programma criminoso”. Ciò significa che viene quantificato sulla base dei vantaggi economici derivanti dai singoli reati-fine commessi in attuazione del patto associativo. Può quindi coincidere con la sommatoria dei profitti dei singoli reati-fine.

La responsabilità di un ente per un reato presupposto può essere applicata retroattivamente?
No. La sentenza riafferma con forza il principio di irretroattività sancito dall’art. 2 del D.Lgs. 231/2001. La responsabilità dell’ente e le relative sanzioni, come la confisca, si applicano solo se il fatto è stato commesso dopo l’entrata in vigore della legge che lo ha qualificato come reato presupposto.

Il profitto del reato associativo coincide sempre con la somma dei profitti dei singoli reati-fine?
Non necessariamente, ma può coincidere. La Cassazione chiarisce che il profitto del reato di associazione è autonomo, ma è costituito dal “complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme dei reati fine”. Pertanto, individuare il profitto nella sommatoria dei profitti dei reati-fine è un procedimento corretto, in quanto rappresenta la concreta realizzazione del vantaggio economico derivante dal programma criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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