Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5719 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 5719 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a CATANIA il 06/06/1985
avverso la sentenza del 29/06/2023 della CORTE di APPELLO di CATANIA
Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto annullare la statuizione relativa alla confisca, determinando direttamente l’ammontare della confisca in misura equivalente al profitto singolarmente conseguito dalla ricorrente, e dichiarare nel resto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO
Con sentenza del 29/06/2023 la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza emessa il 17/01/2019 dal GUP di Catania che, procedendo con giudizio abbreviato, aveva riconosciuto NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, dipendenti dell’istituto musicale “Vincenzo Bellini”, con sede in Catania, con le mansioni e gli incarichi per ciascuna descritti nell’imputazione, responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti ovvero, la Marino, dei fatti di peculato cui ai capi 2), la Matta dei fatti di peculato di cui capo 3), la Romano dei fatti di peculato di cui al capo 7), la Distefano delle condotte
di riciclaggio di cui ai capi 20) e 21) per cui, riconosciute a tutte le imputate circostanze attenuanti generiche, aveva condannato la COGNOME e la COGNOME alla pena complessiva di anni 5 di reclusione, la COGNOME alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 3.000 di multa, la Romano alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione, così quantificate all’esito della riduzione per la scelta del rito premiale; aveva condannato le stesse al pagamento delle spese processuali ed applicato le pene accessorie conseguenti alla entità e natura delle pene principali concedendo alla sola Distefano il beneficio della sospensione condizionale; aveva, infine, condannato le imputate al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile; da ultimo, aveva disposto la confisca delle somme giacenti sui conti correnti, depositi e qualsiasi altro tipo di rapporto bancario intestato o cointestato o comunque riconducibile alle imputate ovvero, in via equivalente, su beni di loro pertinenza, sino a concorrenza di euro 2.332.562,77 per la Motta; euro 2.257.087,50 per la Marino; euro 200.129,22 quanto alla Distefano.
1.1. A seguito di ricorso per cassazione della Marino, della COGNOME e della COGNOME, all’udienza del 2 luglio 2024 sono state definite le posizioni delle prime due, disponendosi la separazione di quella della Distefano, con formazione di autonomo fascicolo processuale e rinvio a nuovo ruolo.
Il ricorso di NOME COGNOME, oggetto del presente giudizio, proposto dal difensore di fiducia e procuratore speciale, è articolato in tre motivi, con i quali s eccepisce:
la violazione di legge (art. 648-bis cod. pen.) con riferimento alla contestata condotta di riciclaggio, mancando la finalità di ostacolare la provenienza delittuosa del danaro (la negoziazione dei due assegni contestata al capo 20 era avvenuta sul proprio conto corrente, su mandato dal marito, il quale aveva a sua volta ricevuto i titoli dal fratello; quanto alle somme percepite dall’impresa COGNOME, di cu al capo 21, si trattava anche in questo caso di assegni di esiguo importo, negoziati su richiesta del cognato, al fine di monetizzarli);
la violazione di legge (art. 62 n. 4 cod. pen.) circa il diniego della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, basato su una valutazione globale della condotta e non già, esclusivamente, sul pregiudizio di carattere patrimoniale causato alla persona offesa;
l’erronea applicazione della normativa in tema di confisca, in quanto la confisca per equivalente poteva essere disposta solo con riferimento al vantaggio patrimoniale conseguito dal riciclatore – e, quindi, all’importo degli assegni in contestazione – e non sull’intera somma ricavata dal reato.
RITENUTO IN DIRITTO
Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono privi della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., costituendo
reiterazione di censure sottoposte all’esame del giudice di appello e correttamente definite in quella sede, con argomentazioni con le quali la ricorrente non si confronta.
La COGNOME insiste, infatti, nell’insussistenza del dolo anche nella forma eventuale con riferimento al capo 20), assumendo la propria buona fede nella monetizzazione degli assegni di cui al capo 21).
Le censure non tengono conto della ricostruzione della condotta delittuosa effettuata dai giudici di merito, alla stregua delle risultanze processuali, sintetizzata alle pagine 9 e 10 della sentenza impugnata (per il capo 20, il consistente importo elargito dall’RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE in assenza di alcun rapporto negoziale, e le operazioni in uscita in favore anche della RAGIONE_SOCIALE; per il capo 21, i mandati di pagamento emessi in favore della Impresa RAGIONE_SOCIALE, pur in mancanza di prestazioni in favore dell’Istituto, con successive operazioni in uscita, tramite assegni intestati alla ricorrente). Pur non contestandosi la provenienza illecita del denaro, l’imputata ha riproposto la questione dell’elemento soggettivo del reato, alla quale, tuttavia, la corte di merito ha dato adeguato riscontro, previa confutazione delle giustificazioni addotte a riguardo dalla difesa; in particolare, è stata valorizzata l’assenza di un rapporto negoziale con le società traenti e l’inconsistenza della tesi secondo lui le operazioni sarebbero state effettuate in buona fede, su richiesta del marito e del cognato (circostanza, quest’ultima, che non ha trovato riscontro negli atti acquisiti al processo in ragione del rito).
Circa la dedotta non ipotizzabilità, nel caso di specie, del reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. in presenza di una completa rintracciabilità degli assegni, la Corte d’Appello ha correttamente richiamato il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui integra il delitto in esame anche la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita, poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito (Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, Venuti, Rv. 271530).
2. In riferimento al secondo motivo di ricorso, con il quale la difesa si duole della mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4, cod. pen., la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui l’attenuante del danno di speciale tenuità presuppone un giudizio complesso che prenda in considerazione tutti gli elementi della fattispecie concreta necessari per accertare non il solo danno patrimoniale, ma il danno criminale nella sua globalità (Sez. 5, n. 344 del 26/11/2021,vGhirasam, Rv. 282402-01).
Inoltre, per costante orientamento della giurisprudenza, deve osservarsi come la valutazione circa la sussistenza della speciale tenuità del danno rientri nella
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discrezionalità del giudice di merito ed è, dunque, insindacabile, quando risulti adeguatamente motivata attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, dovendosi a tal proposito ricordare che la circostanza attenuante de qua presuppone che il danno arrecato abbia avuto una «rilevanza 2,1″( minima» e dovendosi onsiderare il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, la cui consistenza va apprezzata in termini oggettivi e nella globalità degli effetti, comprensivi anche di quelli non immediati (ex plurimis: Sez. 5, n. 344 del 26/11/2021; COGNOME, Rv. 282402-01; Sez. 3, n. 18013 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 275950-01).
In termini corretti, pertanto, è stata valorizzata la circostanza che la condotta dell’imputata non solo è stata reiterativa, in quanto consistita nel riciclaggio di ben quattro assegni circolari, ma ha altresì cagionato un danno patrimoniale di entità non trascurabile (pari a 4.600 euro).
3. È invece fondato il terzo motivo di ricorso.
La difesa censura l’applicazione della confisca fino a concorrenza di euro 200.129,22 anziché di euro 4.600, ovvero per la specifica quota di profitto effettivamente conseguita.
Occorre dare atto che, all’epoca della decisione impugnata,era esistente un contrasto giurisprudenziale inerente alla questione se, in caso di illecito commesso da una pluralità di coimputati, la misura ablativa della confisca possa interessare ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto, in applicazione del principio solidaristico, ovvero debba avere ad oggetto unicamente la quota di profitto individuale.
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno aderito al primo dei due orientamenti, richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di concorso di persone nel medesimo reato, è legittima la confisca per equivalente, di cui all’art. 648-quater cod. pen., disposta per l’intera entità del prezzo o profitto accertato nei confronti anche di un solo concorrente, indipendentemente dalla quota personalmente percepita, in quanto il principio solidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa in capo a ciascun concorrente e, quindi, solidarietà nella pena e nelle misure a carattere sanzionatorio, quale la confisca per equivalente (ex multis, Sez. 2, n. 9102 del 24/11/2020).
Viceversa, la difesa sostiene che, nel caso di specie, avrebbe dovuto trovare applicazione l’opposto principio in forza del quale in tema di riciclaggio, la confisca per equivalente del profitto del reato è applicabile solo con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal “riciclatore” e non sull’intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall’autore del reato
presupposto, poiché, non essendo ipotizzabile alcun concorso fra i responsabili dei diversi reati, la misura ablativa non può essere disposta per un importo superiore al provento del reato contestato, richiamando a sostegno di tale motivo specifici precedenti di questa Corte (Sez. 2, n. 2166 del 06/12/2022; Sez. 2, n. 50982 del 20/09/2016).
Sulla questione oggetto di contrasto si è di recente pronunciata la giurisprudenza di legittimità nella sua più autorevole composizione (Sez. U, ric. COGNOME, R.G. n. 31775/2023, ud. 26/9/2024, di cui allo stato si dispone solo della informazione provvisoria n. 12/2024), affermando che, in caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali.
La decisione dà continuità alla giurisprudenza di questa Corte che in numerosi e recenti precedenti aveva affermato che la misura ablatoria della confisca deve avere ad oggetto esclusivamente quanto conseguito dal singolo concorrente (si richiama, in particolare, la sentenza della Sez. 2, n. 34266 del 17/04/2018, che aveva chiarito che la confisca per equivalente ha ad oggetto il valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall’autore del reato, assolvendo in tal modo ad una sostanziale funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata a seguito della commissione del reato, sicché il giudice, nell’applicare il provvedimento ablatorio, deve determinare la somma di denaro costituente il prezzo, il prodotto o il profitto/vantaggio effettivamente ottenuti dall’attività illecita; in tal senso anche Sez. 2, n. 37590 del 30/04/2019, Giulivi, Rv. 27708301, secondo la quale la confisca di valore, avendo natura sanzionatoria, partecipa del regime delle sanzioni penali e quindi non può essere applicata per un valore superiore al profitto del reato, travalicando, in caso contrario, il confine della pena illegale).
Nel caso di specie, la somma conseguita dal singolo concorrente a titolo di profitto del reato è stata determinata con precisione. Dagli accertamenti svolti sul conto corrente dell’Istituto Musicale Vincenzo Bellini, è emerso che la società “RAGIONE_SOCIALE” ha beneficiato nell’anno 2012 di pagamenti da parte dell’ente per un ammontare complessivo di euro 90.750,00; a seguito della ricezione di tale somma, risulta che la RAGIONE_SOCIALE ha effettuato diverse operazioni in uscita a favore di un gran numero di soggetti, tra i quali figura anche l’odierna ricorrente, a favore della quale sono stati emessi due assegni circolari, uno di euro 900 in data 21/3/2012 e uno di euro 1.700 in data 5/4/2012, per un totale di euro 2.600.
Similmente, sempre dalla disamina del conto corrente intestato all’Istituto Bellini, è emerso che la ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE“, nel periodo intercorrente tra il 17/05/2012 ed il 08/01/2013, ha beneficiato di pagamenti da parte dell’ente per un ammontare complessivo di euro 109.379,22; anche in questo caso, è stato accertato che, a seguito della ricezione della predetta somma, l’impresa ha effettuato diverse operazioni in uscita, tra cui l’emissione in data 17/05/2012 di due assegni di 1.000 euro ciascuno in favore dell’imputata.
Alla luce di tali acquisizioni probatorie, è possibile affermare che la quota di profitto conseguita dalla RAGIONE_SOCIALE sia stata determinata nel suo preciso ammontare (4.600 euro), contrariamente a quanto affermato dalla sentenza di primo grado, nella quale si legge testualmente che “né, d’altra parte, sulla scorta degli elementi raccolti sarebbe possibile una precisa ripartizione tra gli imputati della quota di profitto attribuibile a ciascuno”.
Pertanto, in applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite, richiamato in precedenza, deve ritenersi che i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto irrilevante la reale e concreta entità del profitto di cui l’imputata ha goduto quale responsabile dei delitti di riciclaggio da lei commessi, e della quale, al contrario, avrebbero dovuto tener conto nella determinazione della somma suscettibile di confisca.
La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio, limitatamente alla questione relativa alla confisca, potendosi determinare in sede di legittimità senza margine di discrezionalità, ai sensi dell’art. 620, lett. I, cod. proc. pen. la riduzione della confisca di somme di danaro o di beni fino alla concorrenza del suddetto importo di euro 4.600.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulla confisca, riducendo l’importo in euro 4.600,00. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 16/01/2025
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