Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23994 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23994 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona dei legali rappresentanti avverso il decreto emesso il 28/11/2024 dalla Corte di appello di Roma
Visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 28 novembre 2024 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello proposto ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen. da “RAGIONE_SOCIALE, volto a ottenere la revoca della confisca di prevenzione del terreno meglio specificato nel provvedimento impugnato, disposta nei confronti di NOME COGNOME
Avverso l’anzidetto decreto ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’anzidetta società, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e, segnatamente, dell’art. 28 d.lgs. n. 159/2011. La Corte di appello avrebbe dovuto attribuire rilevanza al diritto di proprietà formale e non fittizio in capo a RAGIONE_SOCIALE degli immobili oggetto di confisca, mentre il possesso di NOME COGNOME sarebbe stato conseguito in modo illecito e contro la volontà della proprietaria. Il mero possesso del terreno era stato esercitato, nel corso del tempo, da diversi soggetti fino ad arrivare a NOME COGNOME, che vi aveva realizzato fabbricati e presentato anche domanda di condono. Secondo la ricorrente, il provvedimento di confisca sarebbe stato emesso senza la necessaria partecipazione del terzo proprietario, ossia RAGIONE_SOCIALE, e risultava pregiudizievole delle ragioni della stessa, che era risultata vittoriosa anche nel giudizio instaurato dagli occupanti del terreno per ottenerne la proprietà. La Corte di appello di Roma, infatti, con sentenza n. 3043/2020, aveva confermato quella del Tribunale della stessa città, che non solo aveva rigettato le domande, proposte dagli occupanti, di trasferimento dei lotti, ma aveva anche accolto la domanda riconvenzionale della società di rilascio dei medesimi beni. Inoltre, con citazione notificata a RAGIONE_SOCIALE il 9 luglio 2013, i presidenti dei consorzi Colle Regillo e Due Colli avevano chiesto il trasferimento di alcuni lotti di terreno della società e tra i firmatari di tale atto vi era anche NOME COGNOME. Il che significava che egli non aveva alcun titolo né alcun diritto reale su tale immobile. Avrebbe errato, quindi, la Corte di appello nel ritenere insussistente la buona fede della società e ciò non solo perché la stessa non ha mai aderito all’attività criminosa di Casamonica, ma anche perché ha utilizzato gli strumenti giuridici previsti dall’ordinamento per contrastare tale illecita occupazione.
2.2. Violazione dell’art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380/2001. La Corte di appello avrebbe dovuto non considerare o, comunque, disapplicare l’acquisizione al patrimonio di Roma Capitale del terreno e dei fabbricati, ivi insistenti, per omessa notifica alla società proprietaria dell’ordine di demolizione. La mancata notifica al proprietario dell’ordine di demolizione non inficia la legittimità dello stesso, ma preclude l’emanazione del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale ex art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380/2001, come confermato dalla giurisprudenza amministrativa. La Corte di appello avrebbe errato, quindi, nel ritenere che la società RAGIONE_SOCIALE non avesse interesse alla proposizione del ricorso, in quanto il terreno è stato acquisito al patrimonio di Roma Capitale in conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di ripristino, notificato a NOME COGNOME. Peraltro, le opere oggetto di ingiunzione di demolizione erano solo alcune di quelle presenti sul terreno di proprietà della società, ma non tutte. Sarebbe errata anche l’affermazione secondo cui NOME COGNOME aveva
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acquisito il terreno non clandestinamente o abusivamente, ma in forza di un contratto preliminare di vendita, stipulato regolarmente con altro possessore. Ciò in quanto quest’ultimo non aveva alcun titolo per il possesso del bene, ma era un mero occupante abusivo.
2.3. Violazione dell’art. 934 cod. civ., non avendo la Corte di appello applicato il principio dell’accessione e riconosciuto il diritto di proprietà in capo alla società ricorrente. I principi di diritto, richiamati nel decreto impugnato, sarebbero inapplicabili nel caso in questione, poiché farebbero riferimento al proposto, proprietario del terreno acquisito lecitamente, e non al terzo, e poiché non si sarebbe in presenza di un compiacente proprietario del terreno, ma di un terzo in buona fede, come dimostrato dai numerosi contenziosi giudiziari, che avevano coinvolto anche NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La ricorrente non ha posto in discussione che, come è risultato anche dagli accertamenti svolti, i fabbricati che insistono sul terreno, formalmente intestato a RAGIONE_SOCIALE, sono stati realizzati da NOME COGNOME; né ha contestato che il loro valore è pari a euro 3.434.000,00. Ha dedotto, invece, che il Collegio di appello avrebbe dovuto attribuire rilevanza al diritto di proprietà formale, vantato da RAGIONE_SOCIALE, degli immobili oggetto di confisca e avrebbe errato nel ritenere applicabili al caso in esame i principi enunciati da questa Corte con riguardo alla confisca di prevenzione di un bene immobile realizzato con somme di denaro di illecita derivazione su un terreno di provenienza lecita.
Siffatte deduzioni difensive non sono decisive.
2.1. In effetti, in virtù del principio superficies solo cedit, disciplinato dagli artt. 934 e ss. cod. civ., l’opera costruita su un determinato suolo appartiene al proprietario di questo immobile, salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge e a meno che non sia stato costituito dal proprietario del suolo un diritto di superficie ai sensi dell’art. 952 cod. civ.
Questa Corte ha affermato che, in sede di procedimento di prevenzione, il principio civilistico dell’accessione riceve un’applicazione di segno inverso, dovendosi dare rilievo al bene di maggior valore economico, essendo necessario colpire i beni prodotti in conseguenza dell’accaparramento di profitti illeciti e in forza del reimpiego di detti profitti proprio nella realizzazione dei fabbricati (magari su terreni legittimamente appartenenti a terzi). Il che impedisce, sul
piano economico e funzionale, di scindere l’unitaria valutazione, rendendo i beni costruiti insuscettibili di una separata utilizzazione, posto che, in siffatti casi, i terreno, quando il valore dei fabbricati è superiore, accresce di valore per effetto dell’edificazione, sebbene abusiva dei manufatti che su di esso insistono, con la conseguenza che una meccanica applicazione del principio di accessione determinerebbe l’aggiramento della disciplina penalistica diretta a colpire i patrimoni illeciti (ex multis, Sez. 6, n. 16151 del 4/02/2014, COGNOME, Rv. 259763 – 01; Sez. 6, n. 18807 del 30/10/2012, dep. 2013, Martino, Rv. 255091 – 01).
A questo proposito, la giurisprudenza di legittimità, nella sua più autorevole composizione, ha affermato che il sequestro preventivo di un edificio confiscabile a norma dell’art. 12-sexies, commi primo e secondo, D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modif. nella L. 8 agosto 1992 n. 356, si estende alle pertinenze dell’edificio e al suolo, sul quale è stato realizzato, ancorché la provenienza del suolo sia legittima (Sez. U, n. 1152 del 25/09/2008, dep. 2009, Petito, Rv. 241886 – 01), precisando che può essere disposta la confisca di un bene immobile, realizzato con somme di denaro di illecita provenienza su terreno di provenienza lecita, in quanto i due beni, sul piano economico e funzionale devono essere valutati unitariamente, non potendo essere suscettibili di un’utilizzazione separata, dovendosi dare maggior rilievo, in ambito penalistico, al superiore valore economico del fabbricato – bene principale – del quale il terreno, indipendentemente dalla sua estensione, segue il regime giuridico, in conformità agli scopi della disciplina di prevenzione.
Si è rimarcato, quindi, che tale conclusione è conforme e risponde agli scopi della disciplina in tema di misure di prevenzione reali, perché diretta a colpire gli investimenti, anche se leciti, di risorse finanziarie prodotte da attività illecite, sicché l’inversione, in sede di prevenzione penale, del principio civilistico dell’accessione fa sì che il bene, che possiede un valore economico preminente, non possa essere valutato a prescindere dal suolo. Quest’ultimo bene, benché non possa ovviamente considerarsi una pertinenza degli edifici, svolge una funzione strumentale e servente rispetto agli stessi (Sez. 6, n. 18807 del 30/10/2012, cit., in motiv.).
A tali principi si è conformata, nel caso in esame, la Corte di appello capitolina, che, quindi, incontestato che la società ricorrente fosse intestataria formale solo del terreno, è pervenuta alla conclusione della mancanza di titolo da parte di RAGIONE_SOCIALE per opporsi alla confisca di prevenzione, disposta nei confronti di NOME COGNOME, che su quel terreno aveva realizzato fabbricati di valore ingente e di gran lunga superiore rispetto a quello del terreno.
2.2. A fronte di tali argomentazioni può aggiungersi che, a ben vedere, l’aspetto rilevante, al fine della disamina della domanda posta dalla ricorrente, non è la proprietà formale dei beni in questione ma la disponibilità degli stessi.
Possono, infatti, essere sottoposti a confisca di prevenzione i beni di cui il soggetto socialmente pericoloso ha la disponibilità: nozione, questa, assolutamente ampia e aperta a qualsiasi figura giuridica, come si desume chiaramente dall’art. 20 e dal successivo art. 24 del D.L.vo 159/2011, laddove si riferiscono a beni di cui il proposto “risulti titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo…” (così l’art. 24) e a beni di cui il predetto “risulta poter disporr direttamente o indirettamente …” (così l’art. 24).
Al riguardo questa Corte ha già avuto modo di rilevare che, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, la “disponibilità” dei beni – che costituisce il presupposto per la confisca in capo alla persona pericolosa di quelli di cui si sospetta la provenienza illecita – non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto possa di fatto utilizzarli, anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne fosse il vero proprietario (Sez. 2, n. 4916 del 5/12/1996, dep. 1997, COGNOME, Rv. 207118 – 01).
Si è aggiunto che il concetto di disponibilità indiretta non può ritenersi limitato alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene, ma va esteso, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri (Sez. 1, n. 18423 del 22/03/2013, Commisso e altro, Rv. 257394). Si è anche rilevato che l’immissione di capitali, privi di legittima provenienza da parte del soggetto socialmente pericoloso, in direzione di un cespite formalmente e anche sostanzialmente di proprietà di un terzo determina la disponibilità sostanziale dello stesso in capo al proposto, utile a giustificare l’ablazione in prevenzione, laddove gli investimenti si rivelino assorbenti in tutto o in gran parte rispetto al valore del bene (Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, COGNOME, Rv. 254282 01).
Partendo da tale dato, è evidente che stabilire se i beni oggetto di confisca siano di proprietà formale di NOME COGNOME o della società ricorrente non è un aspetto dirimente.
Ciò che rileva è, dunque, la disponibilità e, nel caso in esame, non può negarsi che NOME COGNOME, avendo costruito fabbricati di importo considerevole sul terreno intestato alla società ricorrente e avendo presentato domanda di condono, ha utilizzato il terreno come se ne fosse proprietario, così esercitando un potere qualificabile in termini di possesso. Situazione giuridica, questa, configurabile anche in assenza di un titolo legittimo, come si evince
dall’art. 1140 cod. civ., che, nel definire il possesso come il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro
diritto reale, delinea il possesso come una relazione di fatto, intercorrente tra un soggetto e un bene, a prescindere dalla sussistenza, in capo al soggetto stesso,
della titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.
Del resto, la stessa ricorrente ha affermato che il possesso del terreno è
stato esercitato da diversi soggetti fino ad arrivare a NOME COGNOME, così
che, pur aggiungendo che era stata acquisita in modo illegitimo, ha riconosciuto che il proposto aveva la disponibilita del bene
de quo.
Disponibilità, peraltro, che la società non ha inteso contrastare efficacemente, come risulta dalle stesse sue deduzioni, atteso che ella, pur
avendo sottolineato di essere risultata vittoriosa nel giudizio civile in cui ha proposto domanda riconvenzionale, tesa ad ottenere il rilascio del terreno, non
ha parimenti dedotto di avere intrapreso azione esecutiva volta a dare attuazione al
dictum giudiziale a sé favorevole.
Alla luce di quanto precede deve riconoscersi che l’intero bene, ossia il terreno e i fabbricati ivi insistenti, era nella disponibilità di NOME COGNOME, così che correttamente ne è stata disposta la confisca.
In definitiva, il ricorso è inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in fav re della Cassa delle ammende.
Così deciso il 5 giugno 2025
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Il Consigliere estensore