Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25936 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25936 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ingegnoso NOMECOGNOME nato a Gela il 24/07/1975
Ingegnoso NOMECOGNOME nato a Gela il 14/03/1971
avverso la sentenza del 20/11/2024 della Corte di appello di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; udite le conclusioni del difensore, Avv. NOME COGNOME in difesa delle parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME, e in qualità di sostituto processuali dell’Avv. NOME COGNOME COGNOME in difesa della parte civile COGNOME NOME (in proprio e n.q. di legale rappresentante ditta “RAGIONE_SOCIALE“), che si è riportata alle conclusioni scritte chiedendo la
conferma della sentenza impugnata;
udite le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME NOME e NOME NOMECOGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Caltanissetta, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte di cassazione, a seguito del gravame interposto dagli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza emessa il 27 giugno 2019 dal Tribunale di Gela, in parziale riforma della decisione, ha disposto la confisca di quanto già in sequestro e degli ulteriori beni, denaro e altre utilità dei quali NOME COGNOME abbia la disponibilità fino alla concorrenza dell’importo di euro 387.950,16, confermando nel resto la sentenza impugnata con la quale i predetti imputati sono stati riconosciuti responsabili dei reati di usura di cui ai capi 1, 2 e 3 rispettivamente loro ascritti e condannati a pena di giustizia.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo del loro difensore, con due distinti ma sovrapponibili atti coni quali si deducono i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. in relazione all’art. 644, comma 6, cod. pen. per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla corretta determinazione e valutazione del tasso-soglia usurario e, quindi, senza l’esatta e concreta individuazione del prodotto, profitto o prezzo del reato, nonché in ordine alla valutazione dell’apporto tecnico peritale e consulenziale. La sentenza non ha sciolto il tema devoluto dalla sentenza rescindente – non avendo dato conto dei rilievi difensivi contenuti nella memoria 4 depositata in sede di discussione -ixr5n avendo dimostrato, anche per la disposta perizia, la misura della confisca pari a 387.950,16 euro per come compiutamente osservato dalla consulenza di parte per dott. COGNOME la quale aveva messo in evidenza l’errata applicazione, nel secondo elaborato peritale, della formula per la determinazione del tasso effettivo per ogni operazione di finanziamento e la quantificazione degli interessi oltre il limite-soglia del capo 2 della imputazione, nonché la errata rideterminazione degli interessi e del TAEG, con riguardo al capo 3 della imputazione, con riferimento alle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura provenienti dalla Banca d’Italia. Invero, il risultato della perizia, così come successivamente integrata, in uno a quella della parte civile, tenuto conto dei riferimenti all’indicato quadro normativo, non risultava appagante come quello prospettato dalla consulenza per dott. COGNOME posto che il perito non aveva giustificato adeguatamente le ragioni
della modificazione delle sue precedenti conclusioni. Cosicché risultano svigorite le motivazioni del giudice di appello nella parte in cui hanno acriticamente condiviso le metodologie e le conclusioni peritali che hanno determinato l’entità della confisca, non rispettando il tema devoluto dalla sentenza rescindente in ordine alla “effettiva delimitazione della confisca entro il rigorosi limiti di cui al 644, comma sesto, cod. pen.”. L’assunto peritale, secondo il quale la somma di euro 387.950 era quella che gli imputati solidalmente sono riusciti ad ottenere, non poteva fondarsi su considerazioni contabili e normative eccentriche e imprecise, poiché il consulente della difesa non aveva affatto concluso per un “interesse del 10% mensile pari al 120% annuo, il che conferma le conclusioni del perito, suffragate da quelle esposte dal CT della parte civile” (cfr. pg . 3 della sentenza), ma, anzi, aveva richiamato le istruzioni della Banca d’Italia per la corretta applicazione della formula finanziaria ai fini del calcolo del tasso effetti applicato dall’imputato, contestando l’errata metodologia (formula del tasso di interesse semplice) utilizzata dal perito, riportandosi in ricorso le pg. 10, 11, 1 15, 16 e 17 della relazione del consulente di parte, trattandosi della prova travisata, essendosi fatto uso di una informazione che non esisteva nel processo.
2.2. Con il secondo motivo violazione dell’art. 627 cod. proc. per). in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. ì risultando del tutto congetturale il giudizio di equivalenza tra le circostanze, non palesandosi le ragioni per le quali gli elementi positivi, già individuati dal Tribunale di Gela, non sollecitavano un diverso giudizi ai sensi dell’art. 69 cod. pen. e tenuto conto – quale elemento ulteriore – che gl importi definiti dalla sentenza di appello risultano comunque dimezzati rispetto a quelli individuati dalla prima decisione.
2.3. Sono stati depositati motivi nuovi nell’interesse degli imputati in relazion a violazione dei principi in materia di valutazione della prova, segnatamente con riguardo alla consulenza per dott. COGNOME alla consulenza della difesa che – al contrario di quanto si assume – aveva contestato la metodologia adottata dal perito, al vizio di motivazione /non avendo la Corte di appello spiegato le ragioni per le quali ha preferito le conclusioni del perito, disponendo una confisca sproporzionata rispetto ai calcoli tecnici correttamente eseguiti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
La sentenza rescindente ha disposto l’annullamento con rinvio della precedente sentenza di appello nei confronti degli attuali ricorrenti limitatamente al bilanciamento tra le circostanze eterogenee concorrenti, nonché nei confronti di
Ingegnoso NOME limitatamente alle statuizioni di confisca. Quanto a quest’ultimo punto, osservava che «è accaduto che il Tribunale di Gela, pur avendo diffusamente discettato dei presupposti della confisca di cui all’art. 644, comma sesto, cod. pen., aveva poi rinviato al provvedimento del GIP che, come si è visto, era stato adottato su presupposti normativi e, di conseguenza, fattuali, tutt’affatto differenti perché, per l’appunto, riferiti alla ontologicamente differente ipotesi confisca di cui all’attuale art. 240-bis cod. pen. La Corte di appello, dal canto suo, ha liquidato la questione limitandosi a segnalare che la difesa non aveva contestato la quantificazione del profitto del reato per cui era intervenuta la condanna ma soltanto il vincolo di pertinenzialità tra quest’ultimo ed i beni attinti dalla mis patrimoniale; ma, in tal modo, omettendo di confrontarsi con il tema che era stato devoluto con l’atto di appello che era quello della effettiva delimitazione del sequestro e della confisca entro i rigorosi limiti della confisca di cui all’art. 6 comma sesto, cod. pen. a fronte del “rinvio” operato dal giudice di primo grado alla misura cautelare adottata in funzione della confisca “per sproporzione”».
3 . La sentenza impugnata, sulla base della perizia disposta in dibattimento, ha premesso che il profitto confiscabile ai sensi dell’art. 644 cod. pen., identificandosi nell’effettivo arricchimento patrimoniale già conseguito in rapporto di immediata e diretta derivazione causale dalla condotta illecita concretamente contestata, coincide con gli interessi usurari concretamente corrisposti fl correttamente rilevato che – al contrario di quanto rilevato dalla difesa – non poteva mettersi in discussione la natura usuraria degli interessi corrisposti dalle parti offese agli imputati in ragione del prestiti da questi erogati. Ha, quindi individuato il profitto maturato in relazione al capo 1 in euro 5.450,16, quello relativo al capo 2 in euro 20.499,99 e quello di cui al capo 3 in euro 362.000,00, per il complessivo importo di euro 387.950,00. Dopo aver esposto i risultati della perizia e i criteri da essa adottati, la sentenza ha rilevato che « i consulenti di parte hanno concordato sulla determinazione degli interessi usurari con riguardo ai parametri fissati dai Decreti Ministeriali e pubblicati dalla Banca d’Italia, come peraltro confermato dallo stesso dott. COGNOME nel corso del suo esame avanti alla Corte e, rispetto alle conclusioni del perito, come osservato dal CPT delle parti civili, non può che rilevarsi che a fronte di un interesse del 10% non può che corrispondere un tasso annuale del 120%» ed ha escluso fondamento alle osservazioni del consulente di parte dott. COGNOME segnatamente con riguardo alla asserita erroneità delle conclusioni del perito nella parte in cui non avrebbe applicato la formula finanziaria della attualizzazione dei tassi di interesse con le restituzioni periodiche. A tal riguardo il Giudice di appello ha osservato che « tale assunto non appare fondato sia perché non vi è prova delle restituzioni tenuto conto, peraltro, che lo scambio di assegni indicato ad esempio nel capo 3 della
rubrica, non ha comportato, fino a prova contraria, restituzione di capitale ma solo novazione del credito. E, peraltro, anche tenuto conto delle considerazioni del dott. COGNOME, dalle tabelle redatte dal CT di parte, e riportate alle pag. 14, 15, 16 e 17 della sua relazione, si eVince un interesse del 10% mensile pari al 120% annuo, il che conferma la correttezza delle conclusioni del perito, suffragate da quelle esposte dal CT della parte civile»(v. pg. 3 della sentenza).
/q. Il primo motivo dei ricorsi.
4 .1..Il motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile, non avendo il devoluto rescindente riguardato la posizione di tale ricorrente.
k 1.2. Il motivo proposto da NOME COGNOME è inammissibile in quanto genericamente proposto, rispetto alle ragioni sopra esposte, esenti da vizi logici e segnatamente con riguardo alla mancanza di prova delle avvenute restituzioni, sulle quali il consulente COGNOME basava le sue censure, dovendosi ribadire il principio secondo il quale, in tema di valutazione della prova, atteso il principio della libertà di convincimento del giudice e della insussistenza di un regime di prova legale, il presupposto della decisione è costituito dalla motivazione che la giustifica. Ne consegue che il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai periti e dai consulenti di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, purché illustri le ragioni della scelta operata (anche per rapporto alle altre prospettazioni che ha ritenuto di disattendere) in modo accurato attraverso un percorso logico congruo che il giudice di legittimità non può sindacare nel merito (Sez. 4, n. 46359 del 24/10/2007, COGNOME, Rv. 239021 – 01).
5 7I1 secondo motivo è genericamente proposto per ragioni in fatto rispetto al corretto esercizio dei poteri discrezionali demandati al giudice di merito che, senza incorrere in vizi logici e giuridici, ha confermato il giudizio di equivalenza considerazione dell’ammontare degli interessi corrisposti e alla mancanza di elementi positivi ulteriori rispetto a quelli già valorizzati dal Tribunale.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. I ricorrenti, inoltre, devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che si stima congruo liquidare in complessivi euro 3.100,00 oltre accessori di legge, nonché dalle parti civili COGNOME Francesco, COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME, che del pari congruo si stima dover liquidare per ciascuno in complessivi euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME
NOMECOGNOME che liquida in complessivi euro 3.100,00 oltre accessori di legge, nonché dalle parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME, Salerno
NOME e NOME COGNOME che liquida per ciascuno in complessivi euro 3.686,00
oltre accessori di legge.
Così deciso il 21/05/2025.