Confisca per sproporzione e spaccio: quando il denaro è sospetto
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nella lotta alla criminalità: la confisca per sproporzione del denaro trovato in possesso di soggetti dediti ad attività illecite, anche quando si tratta di reati di lieve entità come lo spaccio. Questa decisione conferma come la mancanza di un’attività lavorativa lecita, unita al possesso di somme di denaro non giustificate, costituisca un presupposto sufficiente per l’applicazione di questa incisiva misura patrimoniale. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante provvedimento.
I fatti del caso
Due individui venivano condannati dal Tribunale di Genova per spaccio di sostanze stupefacenti. Nel corso delle operazioni, veniva sequestrata una somma di denaro contante pari a 950 euro. Il Tribunale, oltre alla condanna per il reato, disponeva la confisca di tale somma ai sensi dell’art. 240-bis del codice penale.
Contro questa decisione, gli imputati proponevano ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge. Sostenevano, in sostanza, che la confisca non fosse legittima. La questione è quindi giunta al vaglio della Suprema Corte per una decisione definitiva sulla legittimità della misura applicata dal giudice di merito.
La confisca per sproporzione dopo la riforma
Il cuore della questione ruota attorno alla confisca per sproporzione, o confisca allargata, prevista dall’art. 240-bis del codice penale. Questa norma consente allo Stato di confiscare beni di cui il condannato non possa giustificare la legittima provenienza e il cui valore risulti sproporzionato rispetto al proprio reddito o alla propria attività economica.
Un punto chiave della decisione della Cassazione è il richiamo a una recente modifica normativa (D.L. n. 123/2023, convertito con L. n. 159/2023). Questa riforma ha ampliato l’elenco dei ‘reati presupposto’ che consentono l’applicazione della confisca per sproporzione, includendovi anche l’ipotesi di spaccio di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. n. 309/1990).
La valutazione della sproporzione
La Corte ha ritenuto la decisione del Tribunale corretta e ben motivata. La sproporzione è stata valutata non in astratto, ma in concreto, mettendo a confronto la somma di denaro sequestrata (950 euro) con la situazione economico-personale degli imputati. È emerso che entrambi erano privi di qualsiasi attività lavorativa lecita e che la loro principale fonte di sostentamento era proprio l’attività di spaccio di stupefacenti. In questo contesto, anche una somma relativamente modesta come 950 euro è stata considerata del tutto sproporzionata rispetto a un reddito lecito inesistente.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi manifestamente infondati e, di conseguenza, inammissibili. Gli Ermellini hanno sottolineato come gli appellanti non si siano confrontati con la motivazione logica e coerente del Tribunale, che aveva correttamente applicato la normativa vigente.
La Corte ha ribadito che la confisca ex art. 240-bis c.p. non richiede la prova di un nesso di causalità diretto tra il bene sequestrato e lo specifico reato per cui si è condannati. È sufficiente dimostrare la sproporzione tra il bene e il reddito lecito del soggetto, unitamente alla condanna per uno dei reati presupposto. Di fronte all’assenza di redditi leciti e alla dedizione allo spaccio, la provenienza illecita del denaro è stata logicamente presunta.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri: l’applicazione della nuova normativa e la logicità del ragionamento del giudice di merito. La recente estensione della confisca per sproporzione ai reati di spaccio di lieve entità ha reso l’azione del Tribunale pienamente legittima. Inoltre, la motivazione con cui è stata accertata la sproporzione è stata giudicata ineccepibile: il Tribunale ha correttamente rilevato che gli imputati, essendo privi di un’attività lavorativa legale, non potevano giustificare il possesso di quasi mille euro in contanti se non attraverso la loro attività illecita. La Cassazione ha specificato che i ricorrenti, nei loro appelli, non hanno offerto argomentazioni valide per contrastare questa logica conclusione.
Le conclusioni
In conclusione, l’ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. La confisca per sproporzione si conferma uno strumento potente per colpire i patrimoni di origine illecita, anche quando derivano da attività criminali considerate ‘minori’. La decisione chiarisce che l’assenza di un reddito documentato rende sospetto il possesso di qualsiasi somma di denaro, che può essere quindi soggetta a confisca se il possessore è condannato per un reato presupposto. Questo principio rappresenta un forte deterrente e rafforza l’azione di contrasto allo spaccio e alle altre forme di criminalità che generano profitti illeciti.
Quando può essere disposta la confisca per sproporzione del denaro?
La confisca può essere ordinata quando una persona, condannata per specifici reati (in questo caso, spaccio di lieve entità), possiede denaro o beni di valore sproporzionato rispetto al proprio reddito o alla propria attività lavorativa lecita, facendo presumere che derivino da attività illegali.
È necessario provare che il denaro sequestrato derivi da un singolo e specifico episodio di spaccio?
No, l’ordinanza chiarisce che non è necessario. La confisca si basa sulla sproporzione complessiva tra il denaro posseduto e le condizioni economiche lecite della persona. Nel caso specifico, l’assenza totale di un lavoro legale è stata sufficiente a giustificare la misura.
Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato, il ricorrente viene condannato a pagare le spese del procedimento e una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11552 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11552 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOMECUI CODICE_FISCALE nato il 15/02/1995
NOME COGNOMECUI 04DHQAZ) nato il 30/11/1983
avverso la sentenza del 15/10/2024 del TRIBUNALE di GENOVA
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che i ricorsi proposti, con separati atti, nell’interesse di NOME COGNOME e di COGNOME rThairri, che deducono, entrambi, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. relazione agli artt. 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990 e 240-bis cod. pen., è manifestament infondato, in quanto il Tribunale ha correttamente disposto la confisca del denaro in sequestro ai sensi dell’art. 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – nel testo risultate dall’art. 4, comma 3 bis d.l. 15 settembre 2023, n. 123, come modificato dalla legge di conversione 13 novembre 2023, n. 159 -, che ha incluso la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del inclusa fra i delitti presupposto della confisca per sproporzione ex art. 240-bis cod. pe rilevando, con motivazione che non presta il fianco a censure e con la quale non si confrontano i ricorrenti, che la somma sequestrata agli imputati, pari a 950 euro in contanti, risult tutto sproporzionata rispetto alle condizioni di vita degli imputati medesimi, privi di at lavorativa lecita, essendosi, per contro, costoro dedicati essenzialmente all’attività di spacci sostanze stupefacenti;
a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna de ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della cassa dell ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali della somma di € 3.000,00 in favore della Lassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2025.