Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3705 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3705 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LIVORNO( ITALIA) il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 09/11/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con decreto in data 9 novembre 2022, la Corte di appello di Firenze ha confermato, nei riguardi di NOME COGNOME, la misura patrimoniale della confisca del compendio patrimoniale a lui intestato o, comunque, riconducibile, costituito da due autovetture e diversi orologi e gioielli.
Il proposto è, secondo i giudici del merito, iscrivibile nelle categorie criminologiche tipizzate dagli artt. 1 e 4 d.lgs. n. 159 del 2011, giudicate astrattamente compatibili con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), a patto che il relativo giudizio, in uno con il riliev dell’attualità di pericolosità sociale, sia fondato su precisi elementi di fatto e no su illazioni o congetture.
Segnatamente, si sono in proposito evidenziati sia profili di pericolosità generica (quale soggetto che vive abitualmente con proventi di attività delittuose (art 4 comma 1, let. c).e art. 1 let. b) d.lgs n. 159 del 2011, sia profili pericolosità qualificata ai sensi dell’art. 4, comma 1, let. b), quale soggetto indiziato del delitto di cui all’art. 12-quinques, comma 1, d.lgs 306de1 1992, oggi 512-bis cod. pen.
Richiamate le considerazioni svolte dal giudice di primo grado in punto di pericolosità, la Corte di appello evidenziava altresì la significativa sproporzione calcolata sulla base dei flussi finanziari – tra i redditi percepiti e gli acquisti proposto e del suo nucleo familiare.
Il giudice di appello si faceva poi carico di disattendere la doglianza difensiva secondo la quale il provvedimento di confisca sarebbe stata fondato su una motivazione apparente, siccome riproduttiva delle stesse argomentazioni svolte nel decreto di sequestro, ponendo per un verso in risalto l’esaustività dell’articolata motivazione (contenuta nelle p. da 10 a 26) spesa dal Tribunale per l’inquadramento di COGNOME quale soggetto sotto più profili pericoloso e, per altro verso, dando ampio conto delle imputazioni elevate nei suoi riguardi e delle motivazioni dei provvedimenti giurisdizionali che l’avevano interessato e che ne delineavano il cennato profilo di pericolosità.
Era, poi, superata anche la seconda censura, con la quale si era lamentata, limitatamente alla confisca dei preziosi, la mancata considerazione della prova addotta dalla difesa sulla legittima provenienza della provvista per il loro acquisto e, segnatamente, la somma di netta di 24.000,00 euro, percepita da COGNOME a titolo di risarcimento di un danno nell’anno 2013. A tale proposito, il Giudice di secondo grado evidenziava come il Tribunale non avesse trascurato tale dato, ma l’avesse correttamente ritenuto recessivo rispetto alla sproporzione comunque sussistente tra i redditi e gli impegni economici accertati.
Ricorre per cassazione il proposto, tramite il difensore di fiducia AVV_NOTAIO, mediante due motivi.
2.1. Con il primo deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 let. e), cod. proc. pen. con riferimento all’assenza o, comunque, alla carenza di motivazione del decreto.
Il decreto, secondo il ricorrente, è «elusivo dell’obbligo motivazionale, con particolare riguardo all’apprezzamento degli elementi di fatto suscettibili di valutazione alternativa, altrettanto, se non più, logica di quella implicitamente ritenuta in decreto, oltre a quegli elementi del fatto giustificativi di un decreto d accoglimento».
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’articolo 24 d.lgs. n. 159 del 2011, con riguardo alla giustificazione della legittima provenienza del denaro impiegato per l’acquisto dei beni preziosi oggetto del provvedimento.
La difesa, dopo avere dettagliatamente elencato i gioielli oggetto del provvedimento di confisca, censura l’omessa considerazione dell’accrescimento del valore dei beni tra il momento dell’acquisto (2013) e quello in cui è stata fatta la valutazione (2020), ribadendo l’assunto secondo il quale sarebbe stata fornita ‘ la prova che tali beni erano stati acquistati con la provvista lecit costituita dalla somma percepita a titolo di risarcimento del danno.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con requisitoria scritta depositata il 31 luglio 2023, ha prospettato l’inammissibilità del ricorso.
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La difesa, in data 10 settembre 2023, ha depositato conclusioni scritte con le quali si è riportata integralmente ai motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deduce censure in parte non consentite e in parte manifestamente infondate ed è, pertanto, inammissibile.
Non è superfluo ricordare che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto degli artt. 10 e 27 d.lgs. n. 159 del 2011.
Ciò significa che il sindacato di legittimità rinviene contenuto e cornice di definizione nella motivazione inesistente o apparente (art. 125, comma 3, cod. proc. pen.). È scrutinabile, quindi, dinanzi alla Corte di cassazione quella carenza del percorso di giustificazione della decisione che sia tale da tradursi nella redazione di una motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza
e logicità o, ancora, di un testo del tutto inidoneo a far comprendere lo svolgimento del ragionamento seguito dal giudice (tra le altre: Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365).
Né può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o, comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Tanto premesso, nessuno dei motivi di ricorso supera il vaglio di ammissibilità.
2.1. Il primo motivo COGNOME che, pur riguardando l’asserita assenza di motivazione, siccome apparente, richiama impropriamente l’art. 606 comma 1 let. e), cod. proc. pen. – è inammissibile per a-specificità e non si confronta con la congrua motivazione, riportata nella premessa del presente provvedimento, con la quale il Giudice di appello ha superato la censura di carenza della motivazione del decreto di confisca.
2.2. Inammissibilmente avanzata deve ritenersi anche la doglianza concernente l’asserita mancata valutazione da parte del Tribunale del dato del conseguimento, da parte del sottoposto, della somma a titolo di risarcimento del danno. Doglianza che, oltre a presentarsi come diretta a censurare soltanto pretese illogicità di motivazione, devolve a questa Corte una questione esaurientemente trattata dal Giudice di appello, ossia la sproporzione tra i redditi leciti del proposto e il suo patrimonio e le modalità di acquisto dei beni ablati.
La Corte territoriale ha, in particolare, puntualmente richiamato la motivazione del provvedimento del Tribunale (p. 29 e s.) secondo cui, all’affermazione sulla idoneità della documentazione allegata dalla difesa a provare l’avvenuta percezione di tali somme e alla conseguente “correzione” della voce totale “fonte -redditi” per l’anno 2013, era seguita la considerazione che, nonostante l’inserimento dei nuovi . dati, permaneva ugualmente la consistente sproporzione tra i redditi accertati e gli impegni economici del proposto, anche in considerazione dell’ingente differenza negativa accumulata negli anni precedenti.
Nessuna violazione di legge è, dunque, dato cogliere nel ragionamento dei giudici di merito che hanno proceduto (p. 4 del decreto della Corte di appello e p. 30 e s. di quello del Tribunale) ad ampia disamina e correlato raffronto tra il valore dei beni ragionatamente ricostruito e le risorse economiche a disposizione, concludendo consequenzialmente per la palese sussistenza del requisito della sproporzione. Le censure difensive al riguardo sono state diffusamente
esaminate e confutate nel decreto impugnato, che dà analitico conto del relativo convincimento.
6. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cos sentenza n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13 settembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente