Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21525 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21525 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a BARLETTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/12/2023 del TRIBUNALE di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 11.12.2023 il Tribunale di Milano, pronunciandosi quale giudice del rinvio dopo la sentenza di questa Corte n. 276 del 2023 che aveva annullato la sentenza n. 9398 del 14.9.2022 emessa dal Tribunale ‘di Milano di applicazione della pena su richiesta delle parti in ordine al reato di cui all’art. 73 comma 1 bis e 4 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 per avere detenuto sostanza stupefacente del tipo hashish e marijuana i limitatamente alla confisca, ha disposto la confisca del denaro in sequestro in relazione all’art. 85 d.p.r. n. 309 del 1990.
2.Ripercorrendo in sintesi la vicenda processuale:
il Tribunale di Milano, con sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., in data 14 settembre 2022, ha applicato a COGNOME NOME, imputato in ordine al reato di cui all’art. 73, commi 1-bis e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990 per avere detenuto a fine di spaccio sostanza stupefacente del tipo hashish e marjuana, la pena concordata fra le parti e ritenuta adeguata dal giudice; con la medesima sentenza il Tribunale ha, altresì, disposto la confisca, oltre che della sostanza stupefacente della quale è ordinata la distruzione, anche della somma di danaro, pari ad euro 14.690,00, rinvenuta presso l’abitazione del prevenuto;
proposto ricorso per cassazione avverso detta pronuncia, questa Corte, Sez. 3, con sentenza n. 276 del 2023, ritenendo fondata la doglianza avente ad oggetto la disposta confisca della somma di danaro in giudiziale sequestro atteso che, come risultante dalla sentenza impugnata, la confisca è stata giustificata dal Tribunale di Milano quale effetto dell’art. 73, comma 7-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990 e dell’art. 240-bis cod. pen. , trattandosi di disposizioni ambedue non pertinenti rispetto alla contestazione mossa all’attuale ricorrente posto che allo stesso è stata ascritta la violazione dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, per avere questi detenuto, a fine di spaccio, un non modesto compendio di sostanze stupefacenti del tipo hashish e del tipo marijuana, ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla confisca per un nuovo esame.
Il giudice del rinvio, con la sentenza oggi impugnata, esclusa l’applicabilità nel caso di specie dell’art. 73, comma 7 bis d.p.r. n. 309 del 1990 secondo le indicazioni del giudice di legittimità, ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per disporre la misura ablatoria ai sensi dell’art. 240 bis cod.pen. sull’inter somma di denaro, pari ad Euro 14.690,00, rinvenuta nella cassaforte posta nella camera da letto del COGNOME, ritenendo che l’imputato non avesse fornito una
giustificazione idonea a provare la provenienza della somma che si riteneva sproporzionata rispetto alla sua capacità economica. In particolare, oltre all’ammissione da parte dell’imputato che parte della somma fosse provento di reato, in ogni caso quanto documentato (ovvero tre fatture) non era ritenuto idoneo a provare un’effettiva e redditizia attività commerciale né utile ad individuare l’effettivo profitto della stessa.
Avverso detta sentenza l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione,articolato in un motivo con cui deduce ex art. 606 lett. b) ed e) I cod.proc.pen. l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 240 bis cod.pen. nonché la mancanza, la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla disposta confisca.
Si censura l’apparato argomentativo della sentenza impugnata laddove ha ritenuto la somma unicamente riconducibile al COGNOME, pur avendo l’imputato assolto all’onere di dimostrare la legittima provenienzis’di detta somma.
La Procura generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.11 ricorso è manifestamente infondato.
Va premesso che in caso di condanna per il reato di cui all’art. 73 comma 1 Dpr. 309/90 è anche prevista come possibile la “confisca per sproporzione”, o “allargata”, di cui all’art. 240 bis co. 1 cod. pen. – per lungo tempo disciplinat dall’art. 12 sexies del dl. 8 giugno 1992, n. 3061 -richiamato, in relazione al delitto di cui all’art. 73 DPR 309/90, dall’art. 85 bis DPR 309/90.
L’art. 85 Dpr. 309/90, inserito dall’art. 6 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21 concernente “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, con decorrenza dal 06/04/2018, prev prevede, infatti, che: “1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall’articolo 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, si applic l’articolo 240 bis del codice penale”.
E l’art. 240 bis cod.pen., a sua volta, anch’esso inserito dall’art. 6 del D. Lgs. 1/03/2018, n. 21 con decorrenza dal 6/04/2018 prevede che “è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in val sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
Nella specie il Tribunale ha compiutamente motivato le ragioni poste a base della confisca dell’intera somma sequestrata. In particolare ha posto in rilievo che, per ammissione dello stesso imputato, parte della somma era provento di reato; inoltre, quanto al denaro proveniente da un’asserita attività lavorativa, le tre fatture prodotte non sono idonee a provare un’effettiva e redditizia attività commerciale né tantomeno il profitto dalla stessa derivante.
Pertanto, come correttamente ritenuto dal giudice del rinvio, difetta una giustificazione circa la provenienza del denaro, peraltro non esigua, evidentemente sproporzionata rispetto alla capacità economica del prevenuto.
In conclusione il ricorso manifestamente infondato,va dichiarato inammissibile.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
9 chiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12.4.2024