Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20037 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20037 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 giugno 2023, la Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione presentata da NOME COGNOME avverso la declaratoria di inammissibilità della richiesta di revoca della confisca della somma di 12.490 euro, disposta nei suoi confronti con sentenza irrevocabile.
Ha rilevato, a supporto della decisione, che la confisca è stata pronunciata, in sede di cognizione, ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen. ed in ragione della sproporzione delle entrate lecite di COGNOME, condannato quale esponente di un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, rispetto all’accertata acquisizione patrimoniale, da ritenersi frutto della lucrosa attività illecita da l commessa in attuazione del programma associativo.
Ha, dunque, disatteso il contrario assunto dell’opponente, a cui dire il provvedimento ablativo – emesso sul presupposto che quella determinata somma di denaro, sequestrata 1’11 gennaio 2007, costituisse provento di condotte delittuose dalle quali egli è stato assolto, per non aver commesso il fatto, dalla Corte di appello, con sentenza resa in sede di rinvio dalla Corte di cassazione – non avrebbe potuto essere emesso, versandosi in ipotesi diversa da quelle che, ai sensi dell’art. 240, secondo comma, cod. pen., consentono la confisca anche in assenza di condanna.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione, sul rilievo che la confisca per sproporzione disposta dal giudice della cognizione riguardava beni diversi da quelli di cui egli invoca, oggi, la restituzione e che, invece, erano stati, illo tempore, sequestrati perché ritenuti profitto di reato, oggetto di specifica ed autonoma imputazione, per il quale egli è stato assolto, ciò che, avuto riguardo alla facoltatività dell’ablazione, impone la revoca di un provvedimento ablativo adottato in radicale carenza di titolo.
Aggiunge di avere, comunque, giustificato la disponibilità del contante de quo agitur, garantitagli dalla comprovata percezione di trattamento pensionistico per invalidità.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censura manifestamente infondata.
Risulta dalla motivazione della sentenza di primo grado, emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli nei confronti, tra gli altri di NOME COGNOME, l’8 febbraio 2011, che quell’autorità giudiziaria dispose (cfr. pagg. 3017-3021) la confisca dei beni sequestrati agli imputati (con l’unica eccezione di NOME COGNOME e, quindi, COGNOME compreso) a prescindere dalla verifica del nesso diretto di pertinenzialità o di derivazione tra i medesimi beni ed i reati e, piuttosto, in ragione della sproporzione, non superata da contrarie allegazioni degli interessati, tra le risorse di fonte lecita e gli impieghi e acquisizioni, intervenuti in un ambito temporale ragionevolmente parametrato alle accertate manifestazioni antisociali.
La predetta statuizione, univocamente espressiva dell’essere stata disposta la confisca ai sensi dell’art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, cui oggi corrisponde la previsione dell’art. 240-bis cod. pen., attiene, per quanto è dato evincersi dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza, a tutti i beni in sequestro, ivi compresi, pertanto, quelli che sono stati sequestrati, in pregiudizio di COGNOME, 1’11 gennaio 2007, che l’odierno ricorrente mette in correlazione con le condotte ascrittegli ai capi J), K), W) e X), con riferimento alle quali egli venne, nell’occasione, condannato.
In questo contesto, la successiva liberazione da quegli addebiti, conseguente a provvedimento adottato nel 2017, non giova alla causa di COGNOME, il quale non risulta avere censurato, nella competente sede di merito, la confisca dell’intero compendio di beni sequestratigli – e, di conseguenza, anche dei 12.490 euro dei quali egli invoca, oggi, la restituzione – in forza di decisione sulla quale si è ormai formato il giudicato.
La sequenza degli accadimenti processuali ha, in altri termini, sterilizzato, privandole di rilevanza, le ragioni che, originariamente, avevano determinato il sequestro del denaro de quo agitur, la cui confisca, va qui ribadito, è stata disposta, come correttamente enunciato dal giudice dell’esecuzione, in ragione della sproporzione tra le entrate lecite di COGNOME e l’incremento del suo patrimonio, ovvero in forza di un percorso argomentativo che avrebbe dovuto essere censurato mediante la proposizione di rituale impugnazione.
Dall’inerzia, sul punto, dell’interessato è discesa l’irrevocabilità de provvedimento, la cui legittimità – tanto più in assenza di sopravvenienze di portata potenzialmente decisiva – non può essere rimessa in discussione
mediante l’attivazione dello strumento dell’incidente di esecuzione; tanto, in perfetto ossequio al consolidato e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «La statuizione, contenuta in una sentenza divenuta irrevocabile, con cui sia stata disposta la confisca fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione» (Sez. 1, n. 4096 del 24/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276163 – 01; Sez. 1, n. 3311 del 11/11/2011, dep. 2012, Lonati, Rv. 251845 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte > costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/01/2024.