Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20182 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20182 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nata a TARANTO il 01/05/1990
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione del Cons. NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, il GUP presso il Tribunale di Taranto ha applicato, ai sensi degli artt. 444 e ss., cod.proc.pen., nei confronti di NOME COGNOME imputata del reato previsto dall’art.73, comma 1 e 80, lett.g, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (in concorso con NOME COGNOME la pena di anni quattro di reclusione ed € 18.000,00 di multa, così determinata previa esclusione della contestata aggravante e con diminuzione determinata dalla scelta del rito; ha altresì disposto la confisca e la devoluzione all’Erario del denaro in sequestro e la confisca e distruzione di tutto quanto altro ancora in sequestro.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. -la manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui non era giunta a una valutazione critica e analitica dei mezzi di prova.
Con il secondo motivo ha censurato la sentenza gravata nel punto inerente alla confisca della predetta somma di denaro.
Ha dedotto che il giudice aveva disposto il provvedimento ablatorio in totale assenza di motivazione, da ritenersi necessaria in considerazione della mancanza di un accordo tra le parti sullo specifico punto; ha esposto che non sussisteva prova della correlazione tra il denaro sequestrato e la sostanza stupefacente rinvenuta in possesso dell’imputata, deducendo come non fossero confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e siano destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come “strumento”, né quale “prodotto”, “profitto” o “prezzo” del reato.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo, attinente alla dedotta omessa valutazione della prove -in implicito riferimento alla carenza di motivazione in ordine alla sussistenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito -è manifestamente infondato.
Difatti, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, in tema di patteggiamento, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod., atteso che l’art. 448, comma 2 bis , cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278337; Sez. F, Ordinanza n. 28742 del 25/08/2020, Messnaoui, Rv. 279761).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto estrinsecamente aspecifico.
In ordine al profilo di diritto dedotto nel motivo, deve quindi essere premesso che -sulla base dell’arresto espresso da Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348 – la sentenza di patteggiamento che abbia applicato una misura di sicurezza è ricorribile per cassazione nei soli limiti di cui all’art. 448, comma 2 bis , cod. proc. pen., ove la misura sia stata oggetto dell’accordo tra le parti, diversamente essendo ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall’art. 606 cod. proc. pen. ; conseguendone l’astratta ammissibilità del motivo che, come nel caso di specie e sul presupposto della mancata formazione dell’accordo in ordine alle det erminazioni inerenti alla confisca (in relazione al vigente testo dell’art.444, comma 2, cod.proc.pen., come modificato dall’art.25, comma 1, lett.a), n.2), d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150), deduca il vizio di motivazione in ordine a tale specifico profilo.
Peraltro, le ragioni di doglianza sviluppate nell’esposizione del motivo attengono al dedotto vizio di correlazione tra la ascritta condotta di detenzione di sostanza stupefacente e il denaro sequestrato; il tutto in implicita correlazione con i principi affermati da questa Corte in base ai quali -qualora venga contestata la condotta di detenzione di sostanze stupefacenti -non è consentito ricorrere alla confisca del denaro rinvenuto nella disponibilità del detentore in relazione all’art.240 cod.pen., non sussistendo il necessario nesso tra il denaro oggetto di ablazione e il reato di mera detenzione per cui è affermata la responsabilità (Sez. 4, n. 20130 del 19/04/2022, COGNOME, Rv. 283248; in senso conforme anche Sez. 6, n. 2762 del 19/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285899).
Tuttavia, nel caso in esame, il giudice a quo ha motivato sul punto inerente alla confisca ritenendo ravvisabili le differenti condizioni previste dall’art.240 bis cod.pen. -espressamente richiamato dall’art.85 bis T.U. stup. con riferimento alle condotte sanzionate ai sensi dell’art.73 – in base al quale, in caso di sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, è disposta la confisca «del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito».
Nel caso in esame, il giudice procedente ha espressamente giustificato la confisca in relazione ai predetti presupposti, attesa l’ingente somma trovata nella disponibilità degli imputati (€ 8.140,00 in denaro contante), priva di plausibile giustificazione e ritenuta sproporzionata rispetto ai possibili incassi giornalieri dell’attività commerciali dagli stessi esercitata.
Ne consegue che risulta manifestamente infondata la doglianza inerente alla dedotta carenza grafica della motivazione e che, in riferimento alle ragioni poste
alla base del punto della decisione, non risulta svolta alcuna effettiva censura, dovendosi quindi ravvisare l’evidente aspecificità del motivo.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso, il 22 maggio 2025