Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10780 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10780 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOMECOGNOME nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 7/11/1971 FOTI NOMECOGNOME nata a Barcellona Pozzo di Gotto il 15/10/1972
avverso l’ordinanza della Corte d’Assise d’Appello di Messina del 29/11/2023
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 29.11.2023, la Corte d’Assise d’Appello di Messina ha provveduto sul ricorso in opposizione proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME avverso il provvedimento di confisca di beni loro riconducibili disposto dalla stessa Corte d’Assise d’Appello di Messina in data 21.11.2017.
1.1 L’ordinanza premette che si tratta di giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento, disposto dalla Quinta Sezione della Corte di Cassazione con sentenza del 5.12.22, dell’ordinanza della Corte d’Assise d’Appello di Messina dell’8.7.2021, pronunciata sul ricorso in opposizione del proposto COGNOME Domenico
e del terzo interessato, la moglie COGNOME NOMECOGNOME avverso la confisca adottata il 21.11.2017 in sede esecutiva dopo la condanna del primo per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa.
Quindi, l’ordinanza riporta un ampio stralcio della sentenza di annullamento, la quale ricostruisce in questi termini la vicenda:
con sentenza irrevocabile il 17.10.2011, NOME NOME viene condannato per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa;
il 15.7.2015 viene disposto un sequestro a fini di confisca ex art. 12 D.L. n. 306 del 1992, in sede esecutiva;
il 17.11.2015 viene accolta l’opposizione proposta nell’interesse della sola Foti e viene ordinata invece la confisca di due appartamenti acquistati dalla stessa Foti il 22.1.2008 al prezzo, rispettivamente, di 40.000 e di 3.000 euro, nonché di un immobile acquistato da Ofria il 12.4.2000 per 118.000.000 di lire;
il 21.11.2017 viene emessa in sede esecutiva la decisione di confisca;
il 3.3.2020 la Corte d’Appello di Assise di Messina rigetta l’opposizione di COGNOME e della COGNOME avverso la decisione di confisca;
il 15.12.2020 la Prima Sezione della Corte di Cassazione annulla con rinvio l’ordinanza del 3.3.2020, quanto alla Foti, perché, a fronte della sua riconosciuta capacità reddituale e tenuto conto del non elevato valore degli immobili, afferma apoditticamente che le sue risorse furono destinate all’integrale consumo per sostentamento senza analisi della composizioneTl GLYPH siorie . del nucleo familiare e dell’apporto dell’altro coniuge, e quanto a Ofria, perché, pur essendo state riconosciute alcune entrate leciti, non spiega perché il bene sia stato confiscato per intero;
decidendo in sede di rinvio, la Corte d’Assise di Appello di Messina con ordinanza dell’8.7.2021 ritiene, quanto alla COGNOME, che i suoi redditi da lavoro e gli ulterior proventi allegati dalla difesa non potevano giustificare gli acquisti, neppure considerando le somma percepite da NOME per il decesso del fratello, in quanto già valutate ai fini del primo dissequestro, e, quanto ad NOME, sconfessa la tesi secondo cui l’acconto di 21.000.000 di lire per l’acquisto di uno degli immobili sarebbe stato versato dal padre con effetti cambiari, in quanto l’atto notarile fa riferimento invece a pagamento in contanti.
1.2 La sentenza con cui il 5.12.2022 la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza della Corte d’Assise d’Appello di Messina dell’8.7.2021 ha ritenuto innanzitutto che il provvedimento fondasse la propria decisione su argomentazioni contraddittorie, relativamente alle disponibilità reddituali della Foti, giacché, dopo avere richiamato la decisione con la quale era stata disposta, in sede di opposizione il 17.11.2015, la restituzione alla ricorrente di alcuni cespiti, in quanto giustificata dalla compatibilità degli acquisiti con i reddit
da lavoro dalla stessa percepiti nell’anno di riferimento, ha poi negato che possano essere considerati, ai fini del giudizio di proporzione, gli importi percepiti dal coniuge a titolo di risarcimento danni per il decesso dei fratelli, in quanto somme “già tenute ampiamente in conto per dissequestrare quanto già restituito agli aventi causa”.
In secondo luogo, è stato ritenuto che l’ordinanza impugnata finisse per replicare l’analogo errore di valutazione già censurato, laddove aveva omesso di scrutinare adeguatamente, alla luce del principio di diritto specificamente evocato nella sentenza rescindente, la possibilità di un parziale ridimensionamento della confisca, alla luce della capacità reddituale documentata dalla difesa dei ricorrenti. In particolare, la Corte messinese aveva omesso di considerare quegli importi – di entità affatto trascurabile, nell’ottica di una confisca parziale – in quanto ritenut già “consumati” ai fini del disposto dissequestro in favore della COGNOME, di fatto sottraendo l’intera somma, percepita da Ofria a titolo di risarcimento per il decesso dei fratelli, alla valutazione dell’eventuale sua rilevanza, anche parziale o nella sua parte residua ai fini della determinazione della sproporzione, rispetto al valore dei beni oggetto di misura e quindi della decisione di confisca.
La sentenza ha concluso, indicando alla Corte d’Assise d’Appello di Messina di tenere conto nel giudizio di rinvio della “segnalata contraddittorietà della ordinanza impugnata, a confronto con le allegazioni difensive concernenti la capacità reddituale degli interessati al momento degli acquisti, tenendo conto, ai fini del giudizio sul requisito della completa sproporzione, dei redditi legittimamente riconducibili all’Ofria, e chiarendo se sussista una effettiva attenuazione della sproporzione, di conseguenza, determinandosi in merito alla possibilità di una ablazione solo parziale dei beni dei ricorrenti”.
1.3 L’ordinanza impugnata del 5.12.2022, innanzitutto, richiama quanto agli accertamenti relativi alla Foti, un’informativa della Guardia di Finanza di Messina del 2015, da cui risulta il nucleo familiare, costituito dai coniugi e da tre figli, cui viene individuata la soglia di povertà assoluta dal 1999 al 2013 come individuata dall’Istat.
Quanto agli accertamenti relativi a Ofria, la Corte d’Assise d’Appello procede a una ricostruzione sinottica della situazione finanziaria e patrimoniale della famiglia del ricorrente, che considera, conformemente alle indicazioni della sentenza rescindente, il calcolo per intero del risarcimento ricevuto per la morte dei fratelli e delle altre entrate di natura lecita.
La Corte riconferma la conclusione dell’ordinanza dell’8.7.2021 circa l’impossibilità di considerare l’acconto di 21.000.000 di lire per l’acquisto della casa dell’importo di 118.000.000 di lire come corrisposto con effetti cambiari a firma del padre, sulla base della considerazione, non smentita da documentazione di
segno contrario, che nell’atto notarile risulta che l’acconto sia stato pagato in contanti dall’acquirente.
Ciò detto, l’ordinanza rappresenta che la ricostruzione sinottica, benché più favorevole per i ricorrenti rispetto ai precedenti provvedimenti, impone tuttavia di escludere che la famiglia abbia avuto risorse di origine lecita sufficienti per gli acquisti immobiliari in questione.
Nel 2000 c’è stato un esborso di 21.000.000 di lire a fronte di entrate familiari per 5.681,13 euro e di un risparmio familiare stimato in meno di 1.000 euro nell’anno precedente, pur considerando le entrate dei risarcimenti corrisposti nel 1997 e nel 1998 (16.139,27 euro per il 1997 e 14.848,13 euro per il 1998), che è realistico ritenere siano state quasi interamente consumate per il mantenimento della famiglia, la quale non disponeva di altre entrate in quegli anni. Negli anni successivi, il valore del risparmio familiare è sempre stato negativo fino al 2004 (dunque, il pagamento delle rate del mutuo non poteva essere effettuato con denaro di provenienza lecita) e lo è stato anche nel 2006, cioè prima dell’acquisto delle case della Foti del 2007 per 43.000 euro, nonostante le entrate familiari fossero pari a poco meno di 13.000 euro e con risparmio negativo pari a – 3,994 euro. Lo stesso vale per l’acquisto della Foti del 2008 di 1.250 euro.
Più complesso, invece, è il ragionamento in ordine alla disponibilità della somma di 4.800 euro per l’acquisto di due terreni nel 2010. Il consulente della difesa conteggia 27.500 euro derivanti dalla vendita di due autoveicoli, ma non indica il costo sostenuto per l’acquisto, dato rilevante perché l’elemento positivo di reddito non è costituito dall’intero ricavo, bensì dalla differenza con il costo sostenuto; sicché in assenza di dati attendibili, anche ipotizzando ottimisticamente che i veicoli siano stati venduti ad un prezzo superiore a quello di acquisto, in ogni caso la famiglia non avrebbe avuto disponibilità sufficienti per l’acquisto del 2010.
L’ordinanza aggiunge che la circostanza che tra il 1997 e il 2013 entrambi i ricorrenti abbiano percepito risarcimenti per sinistri la cui natura non è stata chiarita getta un’ombra sulla possibilità di computare queste entrate come lecite nella loro interezza.
Sulla base di questi complessivi elementi, dunque, la Corte d’Assise d’Appello rigetta l’opposizione.
Avverso la predetta ordinanza, hanno proposto ricorso congiuntamente NOME e COGNOME NOME, articolando un unico motivo, con cui deducono la violazione degli artt. 12 -sexies D.L. n. 306 del 1992 e 627 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione.
Il ricorso lamenta, in primo luogo, che sia manifestamente illogica la motivazione relativa all’immobile acquistato nel 2000. L’ordinanza riporta a pag.
6 le dichiarazioni del padre di NOME sull’acconto di 21.000.000 di lire e quelle di COGNOME che le riscontrano. In questo modo, la difesa aveva adempiuto al proprio onere di allegazione di fatti idonei a indicare la provenienza lecita dei beni, sicché è illogica la motivazione dell’ordinanza quando stigmatizza la mancata produzione documentale delle cambiali, così come è illogica quando richiama quello che risulta dall’atto notarile, ove si impiega una locuzione generalista largamente utilizzata all’epoca in sede di rogito.
La Corte territoriale, in secondo luogo, ha omesso di considerare che per sei annualità (2004, 2005, 2010, 2011, 2012, 2013) il risparmio familiare è comunque risultato positivo – quindi, ha coperto le uscite della rata annuale del mutuo – e che il totale del risparmio dal 1997 al 2013 è stato di oltre 46.000 euro, dunque superiore alle rate del mutuo di 30.000 euro circa (depurate dall’acconto di 21.000.000 di lire imputabile al padre).
Quindi, il ricorso censura l’individuazione della soglia di povertà assoluta dell’Istat, che è una valutazione statistica e, dunque, una presunzione, in assenza di circostanze di natura fattuale e soggettiva cui ancorare la presunzione stessa. Questo incide sulla valutazione della capacità reddituale della Foti, sulla quale non grava la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale. In definitiva, l’ordinanza non spiega le ragioni del ritenuto carattere fittizio dell’intestazione alla Foti.
Con requisitoria scritta trasmessa il 9.11.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, rilevando che non si confronti compiutamente con l’ordinanza impugnata e riproponga questioni già sottoposte al vaglio di legittimità, rispetto alle quali la Corte di Cassazione non ha evidenziato particolari vizi di motivazione. Il giudice di rinvio ha sanato il vizio rilevato dall sentenza rescindente e ha proceduto alla ricostruzione della situazione finanziaria e patrimoniale dei coniugi COGNOME tenendo presente i dati indicati dagli stessi consulenti di parte, incluse le somme percepite a titolo di risarcimento. Quanto, poi, all’acconto di 21.000.000 di lire, l’ordinanza offre logiche e congrue ragioni della non riconducibilità di quella somma ad un esborso del genitore del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
Quanto alla posizione di COGNOME NOME, la sentenza rescindente aveva chiesto di verificare, per un verso, il carattere fittizio della intestazione degli immobili che le erano stati confiscati e, per l’altro, la “completa” sproporzione tra reddito e investimento.
Sotto questo profilo, i criteri di valutazione sono stati precisamente delineati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la presunzione relativa di illecita accumulazione patrinnoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 12-sexies, legge 7 agosto 1992, n. 356, non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un terzo che si assume fittizio interposto della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata, incombendo, in tal caso, sull’accusa l’onere di dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata dallo stesso, da valutarsi con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti (Sez. 5, n. 53449 del 16/10/2018, Rv. 275406 – 01).
E’ necessaria, cioè, la dimostrazione dell’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca (Sez. 5, n. 13084 del 6/3/2017, Rv. 269711 – 01).
Ciò detto, l’ordinanza impugnata, in modo immune da illogicità, ha affermato, rifacendosi alla attendibile ricostruzione della situazione patrinnoniale familiare ben rappresentata nel prospetto sinottico riportato anche graficamente nel corpo del testo, che sia possibile escludere che le entrate della Foti negli anni precedenti alla compravendita degli immobili (cioè, dal 2004 al 2007 complessivi 15.339 euro) possano aver contribuito anche solo parzialmente agli acquisti del 2007 (per 43.000 euro complessivi).
La Corte territoriale, infatti, ha, in maniera congruente, valutato implausibile che prima del 2007 fosse disponibile un risparmio familiare, il che equivale a dire che tutte le entrate erano da ritenersi destinate all’ordinario fabbisogno familiare e non potessero dare vita ad un accantonamento da utilizzare successivamente per investimenti di tipo immobiliare.
Questo ultimo aspetto fornisce una risposta anche al secondo punto che aveva costituito oggetto del precedente annullamento con riferimento alla posizione della COGNOME.
Esso atteneva alla verifica della possibilità di un parziale ridimensionamento della confisca, alla luce del principio secondo cui, in tema di confisca allargata di cui all’art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, ai fini della sussistenza del requisito della disponibilità di un bene formalmente intestato a terzi in capo al responsabile del reato presupposto, è necessario che il bene sia riconducibile all’iniziativa economica di tale soggetto, sicché, qualora questi abbia contribuito solo in parte all’acquisto del bene, questo non può essere considerato nella sua
integrale disponibilità e, conseguentemente, non può esserne disposta la confisca per l’intero, ma soltanto per la quota corrispondente all’entità del contributo dal predetto fornito (Sez. 1, n. 35762 del 4/6/2019, Rv. 276811 – 01).
In realtà, per quanto accertato in base ai dati acquisiti dalla Guardia di Finanza, si può ragionevolmente ritenere che la Foti e COGNOME non disponessero, né singolarmente né congiuntamente come nucleo familiare, di risorse economiche lecite nella misura necessaria ad acquistare tra il 2007 e il 2008 gli immobili formalmente intestati alla prima.
Di conseguenza, il più approfondito vaglio degli elementi reddituali dei ricorrenti, operato dalla Corte d’Assise d’Appello di Messina in sede di rinvio, legittima adeguatamente la conclusione che, in primo luogo, la COGNOME fosse una intestataria fittizia dei beni, prestatasi a figurarne titolare solo per preservare i coniuge, effettivo titolare, dal rischio di sottrazione degli immobili, e che, in secondo luogo, per l’acquisto dei predetti beni fossero state utilizzate interamente risorse di provenienza illecita, così da non potersi prendere in considerazione l’ipotesi di una confisca limitata ad una quota eventualmente corrispondente ad un contributo illecito solo parziale.
2. Quanto alla posizione di NOME COGNOME la sentenza rescindente aveva chiesto, con riferimento all’acquisto da lui direttamente effettuato nel 2000, di verificare la eventuale «attenuazione» della sproporzione pure a fronte di entrate lecite riconosciute come esistenti e di spiegare perché, nel caso di una eventuale attenuazione della sproporzione, il bene dovesse essere confiscato per l’intero.
Su questo aspetto, l’ordinanza impugnata argomenta appropriatamente, alla luce delle stesse risultanze degli accertamenti patrimoniali eseguiti dalla Guardia di Finanza già valutate per la Foti, che le entrate consistenti nelle somme percepite da Ofria nel 1997 e nel 1998 a titolo di risarcimento per il decesso dei due fratelli sono state verosimilmente impiegate, nella quasi totalità, per il mantenimento della famiglia: la circostanza è attendibilmente ipotizzabile in base al fatto che il ricorrente non abbia fruito nel medesimo periodo di alcuna altra entrata e che il reddito della moglie, pari in quel periodo complessivamente a un quarto circa di quello percepito da NOME, fosse stato parimenti destinato a fare fronte ai bisogni annuali, peraltro calcolati in rapporto alla soglia di povertà individuata dall’Istat.
Di conseguenza, la motivazione è del tutto congrua quando esclude che Ofria abbia utilizzato quelle risorse di origine lecita per l’esborso nell’anno 2000 di circa 21 milioni di lire alla stipula dell’atto notarile, in quanto prima ancora impiegate per coprire le spese minime di sostentamento familiare.
Affermata per tale via la sproporzione tra i guadagni e il patrimonio immobiliare del condannato, scatta una presunzione “iuris tantum” d’illecita
accumulazione patrinnoniale, che può essere superata dall’interessato, specialmente nel caso di confusione tra risorse di provenienza lecita e illecita, sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene confiscato attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (Sez. 2, n. 43387 dell’8/10/2019, Rv. 277997 – 04; Sez. 4, n. 51331 del 13/9/2018, Rv. 274052 – 01; Sez. 2, n. 29554 del 17/6/2015, Rv. 264147 01).
In questo contesto, la giustificazione deve consistere nella prova della positiva liceità della provenienza dei beni e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (Sez. 1, n. 54156 del 27/4/2018, Rv. 274550 – 01; Sez. 1, n. 10756 del 18/2/2009, Rv. 242896 – 01).
Ora, il ricorrente aveva ed ha opposto – anche attraverso dichiarazioni testimoniali di terzi – che l’acconto per l’acquisto dell’immobile nel 2000 gli sia stato corrisposto dal padre a mezzo di effetti cambiari.
L’allegazione di questa circostanza, tuttavia, è stata ritenuta non credibile dalla Corte d’Assise d’Appello di Messina sulla base della considerazione, non solo che le dichiarazioni del padre di NOME sul punto erano state generiche e non circostanziate, ma anche e soprattutto che nell’atto redatto dal notaio risultasse che la somma di 21 milioni di lire era stata pagata in contanti.
Di conseguenza, la motivazione su questo specifico aspetto dell’acconto dell’immobile acquistato nel 2000 è senza dubbio adeguata: in particolare, il riferimento all’atto notarile è idoneo a superare allegazioni difensive sprovviste del supporto di qualsivoglia documentazione, che pure sarebbe stato piuttosto agevole fornire.
Altrettando idonea è l’ordinanza quando esclude che anche i redditi leciti degli anni successivi al 2000 potessero considerarsi sufficienti a coprire le rate annuali del mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile in questione, tenuto conto che il valore del risparmio familiare era risultato spesso negativo in assoluto; sicché, sulla base del completo giudizio contabile cui si è sopra fatto riferimento, la Corte territoriale correttamente non ha preso in considerazione nemmeno l’ipotesi di una eventuale ablazione parziale.
In definitiva, l’ordinanza impugnata offre una ricostruzione logica della situazione patrimoniale dei ricorrenti e della impossibilità di ricondurre gli acquisti degli immobili confiscati ai modesti redditi leciti dei ricorrenti, confrontandosi con le contrarie prospettazioni difensive e superandole sulla base di ragionevoli argomentazioni.
La relativa motivazione, dunque, è esente da censure, tenuto conto che, in tema di confisca cd. allargata conseguente a condanna per uno dei reati di cui
all’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, modifiche, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (attualmente art. 240-bis cod. pen. non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi de nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudite di m9rit con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adegua razionale confronto con le avverse deduzioni difensive (Sez. 3, n. 1555 de 21/9/2021, dep. 2022, Rv. 282407 – 02).
Ne consegue, pertanto, che il ricorso di NOME NOME e COGNOME NOME deve essere rigettato, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spes processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3.12.2024