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Confisca per sproporzione: onere della prova

Un individuo si oppone alla confisca di un’ingente somma di denaro, sostenendo che derivi da risparmi e doni nuziali. La Corte di Cassazione respinge il ricorso, riaffermando il principio della confisca per sproporzione: di fronte a beni sproporzionati rispetto al reddito, spetta all’imputato dimostrarne l’origine lecita con prove concrete, non essendo sufficienti mere dichiarazioni verbali.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per sproporzione: la Cassazione chiarisce l’onere della prova

In una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di confisca per sproporzione, fornendo chiarimenti cruciali su chi debba dimostrare l’origine del denaro e quali prove siano necessarie. La vicenda riguarda il sequestro di una somma superiore a 170.000 euro in contanti, trovata nell’abitazione di un imputato, e la sua successiva confisca a causa della manifesta sproporzione rispetto ai redditi dichiarati. Analizziamo la decisione per comprendere i principi applicati.

I Fatti di Causa: Il ritrovamento e la difesa

Il caso ha origine dal ritrovamento, durante una perquisizione, di una somma di 174.070,00 euro nell’armadio della camera da letto di un individuo. L’uomo, che viveva con i genitori e il fratello, ha ammesso di essere coinvolto in attività di spaccio, ma ha cercato di giustificare il possesso di quel denaro.

La sua difesa si basava su due punti principali:
1. Provenienza lecita: Una parte della somma (circa 28.000 euro) sarebbe derivata da doni nuziali, mentre il resto sarebbe stato il frutto di risparmi accumulati dal 2016 grazie a un’attività lavorativa che gli garantiva un reddito mensile di circa 1.800 euro.
2. Dubbi sulla titolarità: La circostanza che la camera fosse condivisa con il fratello e l’abitazione con l’intero nucleo familiare avrebbe dovuto, secondo la difesa, sollevare dubbi sulla reale appartenenza del denaro.

I giudici di merito avevano tuttavia disposto la confisca, ritenendo le giustificazioni fornite dall’imputato del tutto inverosimili e prive di qualsiasi riscontro documentale.

La decisione della Corte: Il ricorso dichiarato inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione dei giudici dei gradi precedenti. Gli Ermellini hanno ritenuto la motivazione della sentenza impugnata adeguata, logica e immune da vizi.

In primo luogo, è stato sottolineato come l’argomento della coabitazione fosse irrilevante, dal momento che l’imputato stesso, in sede di interrogatorio, aveva ammesso che il denaro rinvenuto fosse nella sua piena disponibilità. Di conseguenza, ogni dubbio sulla titolarità era stato fugato dalla sua stessa ammissione.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che la giustificazione sulla provenienza lecita del denaro era stata correttamente giudicata non credibile, essendo basata su mere affermazioni verbali non supportate da alcuna prova documentale, né per i presunti doni nuziali né per i risparmi derivanti dall’attività lavorativa.

Le motivazioni e il principio cardine della confisca per sproporzione

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione del principio della confisca per sproporzione (art. 240-bis c.p.). La Corte ha chiarito che, una volta che l’accusa dimostra l’esistenza di una palese sproporzione tra i beni posseduti e il reddito dichiarato, scatta una presunzione iuris tantum (cioè, fino a prova contraria) di illecita accumulazione patrimoniale.

A questo punto, l’onere della prova si inverte. Non è più lo Stato a dover dimostrare l’origine illecita di ogni singolo euro, ma è l’imputato a dover giustificare, in modo concreto e oggettivo, la provenienza legittima dei suoi beni. Questo si fonda sul principio della “vicinanza della prova”: è l’interessato, e non altri, a possedere gli elementi (documenti, contratti, testimonianze) per dimostrare come ha legittimamente accumulato quel patrimonio.

Nel caso specifico, l’imputato non ha fornito alcun elemento concreto a sostegno delle sue affermazioni, limitandosi a dichiarazioni generiche che i giudici hanno ritenuto insufficienti a superare la presunzione di illegittimità.

Le conclusioni: Le implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale in materia di misure patrimoniali. Le implicazioni pratiche sono chiare: chiunque si trovi in possesso di beni o somme di denaro significativamente sproporzionate rispetto alla propria capacità economica non può limitarsi a fornire spiegazioni verbali. Per evitare la confisca, è indispensabile produrre prove concrete, documentali e verificabili che attestino in modo inequivocabile l’origine lecita di tali ricchezze. In assenza di una giustificazione robusta e provata, la presunzione di provenienza illecita prevale, legittimando l’acquisizione dei beni da parte dello Stato.

Chi deve provare l’origine lecita dei beni in caso di confisca per sproporzione?
In base al principio della ‘vicinanza della prova’, una volta accertata la sproporzione tra beni e reddito, l’onere di dimostrare la legittima provenienza dei beni ricade sull’interessato, il quale deve fornire elementi di prova concreti e oggettivi.

Basta una semplice dichiarazione verbale per giustificare il possesso di una grossa somma di denaro?
No. La Corte ha stabilito che le mere affermazioni verbali, come quelle relative a doni nuziali o risparmi da lavoro non documentati, sono insufficienti se non supportate da prove concrete e riscontri oggettivi.

La coabitazione con altri familiari può escludere la titolarità di un bene trovato in casa e quindi la confisca?
Non necessariamente. Nel caso esaminato, la coabitazione è stata considerata irrilevante perché l’imputato stesso aveva ammesso in sede di interrogatorio che il denaro era nella sua disponibilità, fugando così ogni dubbio sulla sua titolarità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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