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Confisca per sproporzione: no alla restituzione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio. L’imputato contestava la confisca di una somma di denaro, sostenendo che non fosse provento diretto del reato. La Corte ha confermato la legittimità della confisca per sproporzione, basata sull’art. 240 bis c.p., poiché l’imputato non era in grado di giustificare la provenienza lecita del denaro, che risultava sproporzionato rispetto al suo reddito quasi inesistente.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per sproporzione: niente restituzione per il denaro di dubbia provenienza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 11404/2024) ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati di droga: la confisca per sproporzione. Questa misura consente di apprendere il denaro e i beni di un condannato quando non ne sia giustificabile la provenienza e il valore sia sproporzionato rispetto al reddito. Anche un semplice errore materiale nell’indicazione della norma non ferma la confisca se la motivazione è chiara. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Torino, con rito abbreviato, aveva applicato a un imputato una pena di 2 anni e 10 mesi di reclusione e 12.000 euro di multa per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio, previsto dall’art. 73 del D.P.R. 309/90. Oltre alla pena detentiva e pecuniaria, il giudice aveva disposto la confisca di una somma di denaro sequestrata all’imputato.

Il Motivo del Ricorso: Contestazione sulla Confisca

Tramite il proprio difensore, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando un unico motivo di doglianza. La difesa sosteneva che la confisca fosse illegittima. L’argomentazione si basava sul fatto che la condanna era intervenuta per la “detenzione” ai fini di spaccio e non per l’atto di “cessione” della droga. Di conseguenza, secondo il ricorrente, la somma di denaro sequestrata non poteva essere considerata il “provento” diretto del reato contestato e avrebbe dovuto essere restituita.

La Decisione della Cassazione sulla confisca per sproporzione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici hanno chiarito che il provvedimento del Tribunale era pienamente legittimo, sebbene basato su un presupposto giuridico diverso da quello erroneamente ipotizzato dalla difesa.

Le Motivazioni

La sentenza impugnata, depositata contestualmente alla sua emissione, aveva motivato la confisca evidenziando la provenienza illecita della somma sequestrata. Tale conclusione derivava dalla totale incompatibilità tra il denaro e qualsiasi fonte lecita di reddito. L’imputato stesso aveva ammesso di svolgere solo lavori saltuari e non dichiarati (“in nero”), con entrate mensili di poche centinaia di euro.
La Corte ha specificato che la misura applicata non era la confisca ordinaria del provento del reato, ma la confisca per sproporzione (o confisca allargata), disciplinata dall’art. 240 bis del codice penale, richiamato dall’art. 85 bis del D.P.R. 309/90 per i reati di droga. Questa norma prevede che, in caso di condanna per specifici delitti (tra cui quello di cui all’art. 73), sia sempre disposta la confisca del denaro o dei beni di cui il condannato non può giustificare la provenienza e che risultino sproporzionati al suo reddito o alla sua attività economica.
I giudici hanno inoltre rilevato che l’indicazione nel dispositivo della sentenza del solo art. 240 c.p. (relativo alla confisca ordinaria) anziché del corretto art. 240 bis c.p. costituiva un semplice “refuso”, ovvero un errore materiale. Tale errore non inficiava la validità del provvedimento, poiché la motivazione della sentenza spiegava in modo inequivocabile le ragioni della decisione, riconducendole alla sproporzione tra il denaro e le fonti di reddito lecite.

Le Conclusioni

La Suprema Corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende. Questa pronuncia consolida l’orientamento secondo cui, per gravi reati come lo spaccio di stupefacenti, lo Stato può aggredire i patrimoni illeciti anche quando non sia possibile dimostrare il collegamento diretto tra il singolo bene e il singolo reato. È sufficiente dimostrare una sproporzione ingiustificata tra il patrimonio e il reddito dichiarato dal condannato per attivare il meccanismo della confisca per sproporzione.

Perché il denaro è stato confiscato anche se non era provento diretto del reato di detenzione?
La confisca non era quella ordinaria del provento del reato, ma una ‘confisca per sproporzione’ (art. 240 bis c.p.), che si applica in caso di condanna per reati di droga. Questa misura permette di confiscare denaro o beni se il condannato non può giustificarne la provenienza lecita e se il loro valore è sproporzionato rispetto al suo reddito.

Un errore nell’indicazione dell’articolo di legge rende nulla la confisca?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un errore materiale, come citare l’articolo sbagliato nel dispositivo della sentenza, è un semplice ‘refuso’ che non invalida l’atto se la motivazione spiega chiaramente e correttamente le basi giuridiche della decisione.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato a pagare le spese del procedimento e a versare una somma di denaro, stabilita in via equitativa dalla Corte, in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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