Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23726 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23726 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 24/09/1992
avverso la sentenza del 19/09/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME éc.47. GLYPH cou-Au.rok., CLAji
atliltirPubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 19.9.2024 la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza con cui il Gup del locale Tribunale, all’esito di rito abbreviato, aveva ritenuto COGNOME colpevole dei reati a lui ascritti, qualificato il capo su 3) sotto il titolo dell’art. 73, comma 5, d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, e concesse le circostanze attenuanti generiche, applicata la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa ed inoltre aveva ordinato ai sensi dell’art. 87 d.p.r. n. 309 del 1990 la confisca e la distruzione dello stupefacente, del bilancino di precisione e del rotolo di sacchi in sequestro nonché ai sensi dell’art. 85 bis d.p.r. n. 309 del 1990 la confisca della somma di euro 153.895,00 rinvenuta nell’abitazione ed ex art. 240 cod.pen. e la confisca dei telefoni cellulari in sequestro.
La Corte d’appello ha inoltre dichiarato l’inammissibilità del motivo aggiunto.
2. La vicenda per cui é processo, ricostruita sulla base degli atti di indagine, trae origine da un servizio di osservazione e controllo che consentiva di cogliere l’attuale imputato nella flagranza della cessione di sostanza stupefacente. Nello specifico le Forze dell’ordine ne avevano seguito l’autovettura la quale aveva poi arrestato la marcia così accertando che un soggetto, poi identificato in COGNOME NOME, aveva raggiunto l’imputato con una somma di denaro in mano; in quel frangente gli operanti intervenivano cogliendo l’COGNOME con la somma di euro 120,00 in mano e COGNOME con la mano posizionata all’interno del marsupio che indossava.
Mediante la perquisizione personale, venivano rinvenuti all’imputato: involucri di cocaina nei termini di cui al capo 1) dell’imputazione; la somma di Euro 670,00; un orologio Rolex originale modello GMT Master II del valore di mercato di Euro 18.000,00 che l’imputato portava al polso.
Mediante la perquisizione domiciliare emergeva la detenzione di: una scatola di scarpe all’interno di un armadio chiuso con una catena ed un lucchetto contenente numerose mazzette di denaro in banconote da 100, 50, 20 euro; una seconda scatola contenente la somma di Euro 4895,00 suddivisa in banconote di vario taglio; in un’ulteriore scatola posta in un armadio nella seconda camera dell’abitazione venivano rinvenuti quantitativi ed involucri di cocaina specificamente indicati al capo 2) dell’imputazione; un bilancino elettronico di precisione e materiale da confezionamento ed un orologio Rolex GMT Master.
Le sostanze repertate contenevano un principio attivo complessivo pari a 195,18 gr. con ratio media dell’84% utile per il confezionamento di n. 1302 dosi.
Il giudice di primo grado disponeva la confisca ex art. 240 cod.pen. dei telefoni in sequestro perché valutati come funzionali allo svolgimento dell’attività illecita e la confisca per sproporzione della somma di denaro rinvenuta.
Il Giudice d’appello pronunciandosi sull’unico motivo di gravame proposto dall’imputato in ordine alla sussistenza dei presupposti normativi di cui agli artt. 240 bis cod.pen. e 85 bis d.p.r. n. 309 del 1990, confermava la sentenza impugnata.
Avverso detta sentenza l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in un motivo con cui deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione di legge ed il connesso vizio di motivazione ex artt. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 85 bis d.p.r. n. 309 del 1990 e 240 bis, comma 1, cod.pen.
Si assume che nel caso in esame risulta evidente la violazione di legge nonché il vizio di motivazione in ordine alla disciplina di cui all’art. 85 bis d.p.r. n. 309 1990 che opera un richiamo quasi integrale all’art. 240 bis cod.pen.
Si censura la svalutazione operata dalla Corte di merito circa la ritenuta carenza dimostrativa di cespiti e redditi forniti dalla madre del ricorrente inoltre il provvedimento gravato non si misura in alcun modo con il requisito di natura giurisprudenziale della correlazione temporale della disponibilità economica con l’attività criminosa. Dei tre capi di imputazione per cui é intervenuta condanna, i primi due attengono al reato di illecita detenzione ed il terzo riguarda invece le cessioni che risultano collocate temporalmente dal gennaio 2022 al maggio 2023. Il provvedimento gravato ha quindi omesso la necessaria verifica in ordine all’epoca in cui tali accrescimenti economici sono avvenuti (elemento della c.d. ragionevolezza temporale).
Ulteriore profilo da valutare è che le condotte criminose compiute dal soggetto risultino fonte di profitti illeciti in quantità congruente rispetto al valore dei che si intendono confiscare la cui origine lecita il proposto non sia in grado di giustificare, assumendo quindi la mancanza di motivazione in ordine al requisito della proporzionalità.
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é manifestamente infondato.
Occorre premettere che l’istituto della confisca allargata o “per sproporzione” è stato delineato dal legislatore quale misura di sicurezza patrimoniale atipica, replicante i caratteri della misura di prevenzione antimafia ed avente la
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medesima finalità preventiva (Sez. U., n. 29022 del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221). La confisca allargata o per sproporzione di cui all’art. 240-bis cod. pen., quale ipotesi speciale di confisca obbligatoria, nel caso di specie applicabile stante il richiamo operato dall’art. 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990 per i reati in materia di stupefacenti, richiede i seguenti requisiti: a) la condanna del soggetto per uno dei reati elencati dalla norma, c.d. reati-spia; b) la titolarità o disponibilità, a qualsiasi titolo, anche per interposta persona fisica o giuridica, di denaro, beni o altre utilità in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica; c) la mancata giustificazione della origine legittima di quella ricchezza; d) il momento di formazione dell’accumulo patrimoniale sproporzionato che deve essere circoscritto in un ambito di ragionevolezza temporale rispetto al momento di consumazione del reato-spia.
Il fondamento della menzionata confisca è, dunque, costituito dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita che può essere superata dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (Sez. 4, n. 51331 del 13/09/2018, Rv. 274052).
A fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, grava, pertanto, sull’imputato, titolare o detentore dei beni da confiscare, l’onere di giustificarne la provenienza mediante specifica allegazione di elementi in grado di superare la presunzione e di elidere l’efficacia dimostrativa dei dati probatori offerti dall’accusa. Grava sullo stesso, i altri termini, l’onere di allegare il contrario sulla base di concreti ed oggetti elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. «vicinanza della prova», può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (così Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373; Sez. 2, n. 7484 del 21/01/2014, COGNOME, Rv. 259245).
Questa Corte (Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997; Sez. 4, n. 51331 del 13/09/2018, S., Rv. 274052) ha precisato che non si chiede all’imputato di allegare o provare un fatto negativo, bensì di indicare specifiche «circostanze positive e concrete, contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa (“i miei averi e le operazioni che ho posto in essere sono proporzionati ai miei redditi ed alla attività lecita che ho anche esercitato”), con indicazione, quindi, dei dati fattuali che contraddicono le conclusioni alle quali sono pervenuti i Giudici, dalle quali possa desumersi che detta sproporzione non esiste».
Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di merito, rispondendo ad analoga censura proposta in appello, ha condiviso la valutazione del giudice di primo grado secondo cui la somma rinvenuta (Euro 153.000,00 circa) era maggiore di quasi la metà dell’importo asseritamente ricevuto dalla madre (Euro 100.000,00) a seguito della vendita di un immobile di famiglia e che nonostante l’ultima tranche risalisse al 2017 l’importo non solo non era stato ridotto ma anzi si era incrementato.
Oltre a questo dato di base, le giustificazioni fornite dalla difesa dell’imputato circa la provenienza delle somme sono state congruamente disattese dal giudice d’appello che ha rilevato come sia la locazione di un immobile in Albania, da cui sarebbe derivati i relativi canoni di locazioni, che la retribuzione per prestazioni di security effettuate in nero, sono unicamente affidate alle dichiarazioni dell’imputato e sprovviste del benchè minimo supporto probatorio.
Quanto alle dichiarazioni della madre, che riguardano dazioni di denaro dal 2010 al 2017, e non già dal 2017 come afferma l’imputato, é stata documentata la vendita di un immobile da cui si é ricavato un prezzo largamente inferiore alla somma complessivamente consegnata all’odierno ricorrente (euro 100.000) ed alla figlia (euro 15.000), né peraltro risultano allegati anche in questa sede copia degli atti notarili attestanti il trasferimento immobiliare.
In conclusione, come posto in rilievo dal giudice d’appello, l’unica prova offerta dalla difesa sarebbe costituita dalle dichiarazioni rese dalla madre dell’imputato risultando del tutto carenti le prove documentali.
Del pari destituito di fondamento, in quanto non provato, é stato ritenuto l’assunto difensivo secondo cui il denaro poteva appartenere alla convivente dell’imputato, tale NOME COGNOME trattandosi di affermazione anche in tal caso priva del benché minimo supporto fattuale.
I temi della c.d. “ragionevolezza temporale” e della proporzionalità tra il reato per cui si procede nei confronti del soggetto ritenuto l’effettivo proprietario dei beni e l’ammontare dei cespiti oggetto di ablazione, cui il ricorrente fa riferimento in sede di ricorso per cassazione, non sono stati invece oggetto dell’appello e trattandosi di questioni non devolute determinano la inammissibilità della censura sul punto.
In conclusione il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso l’ 8.5.2025