Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5219 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5219 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Aversa il 20/07/1977
avverso l’ordinanza emessa il 04/06/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 4 giugno 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso dallo stesso Giudice, finalizzata ottenere la revoca della confisca dell’immobile intestato a NOME COGNOME disposta ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., sull’assunto che il ben intestazione fittizia non era controversa, era stato acquistato con r finanziarie di provenienza illecita.
Il provvedimento ablatorio conseguiva alle statuizioni emesse nei confron di NOME COGNOME, pronunciate dal Giudice per le indagini preliminari Tribunale di Napoli con sentenza del 21 ottobre 2021, divenuta irrevocabile febbraio 2022, con cui il ricorrente era stato riconosciuto colpevole d pluralità di reati, commessi dall’imputato nell’arco temporale compreso t 1996 e il 2005, nella sua qualità di esponente di spicco dell’omonoma consorte camorristica, attiva nell’area di Carinaro. Per queste ipotesi di reato, l’aggravante mafiosa di cui all’art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, veniva eme declaratoria di intervenuta prescrizione.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazioniolazione di legge Ael-provVettrreerrto hrrlyttefiterte, in riferimento all’art. 12-sexies decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, conseguente fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomenta che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano l restituzione dell’immobile confiscato, pur essendo incontroverso che il b oggetto di ablazione era stato acquistato legittimamente dal ricorrente proventi che gli derivavano dalla sua condizione di soggetto sottoposto a programma di protezione, previsto dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991 n. 82, qua collaboratore di giustizia a far data dal 5 aprile 2006.
Ne discendeva che il ricorrente, al momento dell’acquisto del bene immobil sottoposto ad ablazione – la cui intestazione fittizia a NOME COGNOME -, tenuto conto dei redditi percepiti, disponeva delle r economiche necessarie a effettuare l’acquisizione controversa che gli deriv dalle risorse finanziarie di cui disponeva per effetto del reato di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per il quale era stata emessa declarato intervenuta prescrizione.
Non si era, al contempo, tenuto conto del fatto che le spese per la ristrutturazione dell’immobile gli derivavano dagli emolumenti che Di Grazia percepiva mensilmente quale collaboratore di giustizia, ammontanti a 2.000,00 euro mensili, ai quali andava aggiunta la somma di 120.000,00 euro, che gli veniva liquidata dal Ministero dell’Interno per la sua uscita dal programma di protezione.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
2. In via preliminare, deve rilevarsi che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 2, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, così come richiamato dall’art. 3-ter, comma 2, legge 31 maggio 1965, n. 575, è ammesso soltanto per violazione di legge. Ne consegue che devono escludersi dall’ambito dei vizi deducibili in sede di legittimità le ipotesi previste dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., potendosi denunciare, ai sensi della lettera c) della stessa disposizione, solo la motivazione inesistente o meramente apparente, integrante la violazione dell’obbligo dì provvedere con atto motivato.
In sede di legittimità, dunque, non è deducibile il vizio di motivazione del provvedimento ablatorio, a meno che questa non sia del tutto carente, presentando difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, ossia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità; ovvero quando la motivazione stessa si ponga come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il percorso logico seguito dal giudice di merito nell’adozione del provvedimento; ovvero, ancora, quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordìnate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione adottata (tra le altre, Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 257007 – 01; Sez. 6, n. 24272 del 15/01/2013, COGNOME, Rv. 256805 – 01; Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 229305 – 01).
Questo orientamento ermeneutico ha ricevuto l’ulteriore suggello delle Sezioni Unite, che, nel solco della giurisprudenza di legittimità che si è richiamata, hanno affermato il seguente principio di diritto: «Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato
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dall’art. 3-ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente» (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01).
Tale approdo giurisprudenziale, infine, è stato avallato dalla Corte costituzionale, che con la sentenza 15 aprile 2015, n. 106 – nel rigettare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3-ter legge n. 575 del 1965 – ha, tra l’altro, affermato che «il sistema delle misure di prevenzione ha una sua autonomia e una sua coerenza interna, mirando ad accertare una fattispecie di pericolosità, che ha rilievo sia per le misure di prevenzione personali, sia per la confisca di prevenzione, della quale costituisce presupposto ineludibile» (Corte cost., sent. n. 106 del 2015).
Secondo la Corte costituzionale, non sarebbe ipotizzabile una diversa opzione ermeneutica, essendo irrazionale «il sistema che si verrebbe a delineare ». Si determinerebbe, infatti, una differente «estensione del sindacato della Corte di cassazione sul provvedimento impugnato, anche in relazione al medesimo presupposto della pericolosità del proposto, a seconda che venga in rilievo una misura personale o una misura patrimoniale, e l’irrazionalità sarebbe evidente qualora le due misure fossero adottate con lo stesso provvedimento » (Corte cost., sent. n. 106 del 2015, cit.).
2.1. Quanto, invece, alla revoca della confisca, richiesta da NOME COGNOME, della cui applicazione al caso di specie si controverte, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, consente la revoca dei provvedimenti di confisca, chiarendo come l’istituto in esame «è diretto a che al giudicato sia sostituita una nuova, diversa pronuncia, all’esito di un nuovo, diverso, giudizio; affinché il giudizio sia ritenuto “nuovo”, esso deve necessariamente fondarsi su elementi di indagine diversi da quelli compresi nel processo conclusosi con il giudizio precedente» (Sez. 6, n. 28267 del 10/05/2017, COGNOME, Rv. 270144 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 7462 del 30/01/2018, COGNOME, Rv. 272091 – 01; Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 270238 – 01).
Questo orientamento interpretativo, com’è noto, si inserisce in un filone giurisprudenziale che, a sua volta, trae origine dal risalente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, secondo cui: «Il provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell’art. 2-ter, comma terzo, L. 31 maggio 1975 n. 575
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(disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca “ex tunc” a norma dell’art. 7, comma secondo, L. 27 dicembre 1956 n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita» (Sez. U, n. 57 del 19/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 234955 – 01).
In questo, stratificato, contesto sistematico, occorre considerare i singoli passaggi motivazionali dell’ordinanza emessa il 4 giugno 2024 di Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, così come censurati dalla difesa del ricorrente, allo scopo di verificarne la coerenza e la congruità argomentativa alla luce dei principi di diritto che si sono richiamati.
Tanto premesso, deve osservarsi che la difesa di NOME COGNOME non forniva indicazioni utili all’individuazione dei segmenti motivazionali dell’ordinanza impugnata, rilevanti ai fini dell’accoglimento della richiesta revoca della confisca del bene immobile, oggetto di ablazione, su cui occorreva soffermarsi analiticamente.
In questa cornice, si consideri che la difesa del ricorrente, attraverso una, pur estesa ) parte narrativa < articolava una serie di considerazioni di natura tendenzialmente fattuale, finalizzate a sollecitare improprie valutazioni di merito ovvero a esprimere meri dissensi valutativi sulla rilevanza del compendio probatorio acquisito dal Giudice per le indagini preliminari nel giudizio di opposizione, che non possono assumere alcun rilievo utile alla stregua dei parametri rilevanti ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen.
Occorre, innanzitutto, evidenziare che prive di rilievo appaiono le doglianze relative all'intervenuta prescrizione del reato di cui all'art. 74 T.U. stup. con i cui proventi Di Grazia avrebbe acquistata l'unità immobiliare controversa, atteso che i poteri ablatori venivano esercitati nei suoi confronti sull'assunto della sproporzione esistente tra le risorse finanziarie del ricorrente valutate complessivamente e il valore del bene sottoposto ad ablazione, non limitato a tale sol di reato, ma alla carriera criminale del ricorrente posta in essere prima della sua apertura alla collaborazione con la giustizia.
Le deduzioni difensive, invero, non appaiono idonee a confutare l'assunto accusatorio, atteso che l'intestazione fittizia del bene controverso e le allegazioni generiche fornite in ordine alle disponibilità finanziarie del imponevano di
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applicare la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale di cui all’art. 240-bis cod. pen. che, com’è noto, opera anche nelle ipotesi di intestazione fittizia, analogamente a quanto riscontrabile nel caso in esame, a condizione che la sproporzione reddituale emerga dalle acquisizioni probatorie (tra le altre, Sez. 2, n. 23937 del 20/05/2022, COGNOME, Rv. 283177 – 01; Sez. 2, n. 3620 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258790 – 01).
Senza considerare, per altro verso, che, anche a volere ammettere IS che il N ricorrente disponeva di risorse finanziarie legittime dopo la sua apertura alla / collaborazione, era incontroverso che l’immobile di cui si discute era stato acquistato ed era stato ristrutturato prima della sua apertura alla collaborazione con la giustizia, che avveniva il 5 aprile 2006. Ne consegue che la disponibilità di risorse finanziarie invocata dal ricorrente appare irrilevante, ancorché inidonea a giustificare l’importo impiegato per l’acquisto e la ristrutturazione dell’immobile controverso, che comportavano una spesa complessiva non inferiore a 400.000,000 euro.
Né assume rilievo il riferimento all’importo di 120.000,00 euro che era stato liquidato al ricorrente per l’uscita dal programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia, che, oltre a risultare inadeguato rispetto all’importo dell’operazione immobiliare sopra richiamato, non veniva documentato né sotto il profilo quantitativo né sotto il profilo temporale.
Ne discende che il ricorrente, anziché formulare inammissibili censure fattuali (Sez. 2, n. 7462 del 30/01/2018, COGNOME, cit.; Sez. 6, n. 28267 del 10/05/2017, COGNOME, cit.; Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, COGNOME, cit.), avrebbe rk dovuto confrontarsi analiticamente con le conclusioni del Giudice dell’opposizione, incentrate sulle effettive disponibilità finanziarie della famiglia COGNOME, su cui si fondava l’atto di impugnazione in esame, esplicitando, relativamente ai profili contabili segnalati, le ragioni che non consentivano di recepire l’originaria prospettazione accusatoria.
In questa cornice, non può non rilevarsi ulteriormente che l’accertamento giudiziale della configurabilità in tutti i suoi elementi costitutivi di una del fattispecie criminose previste dall’art. 240-bis cod. pen., pertanto, fonda «il sospetto che il condannato abbia tratto dall’attività delittuosa le forme di ricchezza di cui dispone, anche per interposta persona ». Ne consegue che è la sua peculiare natura, che lo rende idoneo a essere realizzato in forma continuativa e a procurare illecita ricchezza, facendo «ritenere l’origine criminosa di cespiti, di cui si sia titolari in valore sproporzionato rispetto a redditi e attività, in base alla presunzione relativa della loro derivazione da condotte delittuose ulteriori rispetto a quelle riscontrate nel processo penale, che,
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comunque, costituiscono la base della presunzione stessa Li» (Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 281561 – 01).
Le considerazioni esposte impongono il rigetto proposto da NOME COGNOME con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così deciso il 22 gennaio 2025.