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Confisca per sproporzione: la prova del convivente

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un decreto di confisca per sproporzione, applicato a beni (veicoli e un conto corrente) intestati alla convivente di una persona ritenuta socialmente pericolosa. La Corte ha ribadito la validità della presunzione di ‘disponibilità’ di tali beni da parte del proposto, sottolineando che la difesa non ha fornito prove adeguate e documentate sulla loro lecita provenienza.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per sproporzione: quando i beni del convivente sono a rischio?

La confisca per sproporzione è uno strumento cruciale nella lotta alla criminalità, ma cosa accade quando i beni da confiscare non sono intestati direttamente alla persona socialmente pericolosa, ma al suo convivente? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 34645/2024) fa luce sui principi che regolano questa delicata materia, chiarendo l’onere della prova che grava sul terzo intestatario per salvare i propri beni dal provvedimento.

I Fatti del Caso: La Confisca dei Beni al Convivente

Il caso nasce da un provvedimento del Tribunale di Milano che applicava una misura di prevenzione patrimoniale, ovvero la confisca, su tre autoveicoli e un conto corrente. Tali beni erano formalmente intestati alla convivente di un soggetto ritenuto socialmente pericoloso, ma considerati nella sua effettiva disponibilità. La Corte di Appello di Milano aveva confermato la decisione, rigettando il reclamo del difensore, il quale sosteneva che, in particolare per un’autovettura di lusso, la provenienza delle risorse economiche fosse lecita, derivando dal padre del proprio assistito.

Il Ricorso in Cassazione e i Motivi della Difesa

Contro la decisione della Corte d’Appello, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica. L’argomento centrale era che i giudici di merito non avessero adeguatamente valutato le prove fornite circa la riconducibilità dei fondi utilizzati per l’acquisto di un veicolo al padre del convivente, dimostrando così l’origine lecita del bene.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla confisca per sproporzione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due pilastri fondamentali.

In primo luogo, un aspetto prettamente procedurale: la legge sulle misure di prevenzione (D.Lgs. 159/2011) limita i motivi di ricorso in Cassazione alla sola ‘violazione di legge’, escludendo la possibilità di contestare la ‘manifesta illogicità della motivazione’, vizio che invece la difesa aveva formalmente denunciato. Questo ha reso il ricorso, già in partenza, proceduralmente ineccepibile.

Nel merito, la Corte ha comunque ribadito i principi consolidati in materia di confisca per sproporzione estesa a terzi. I giudici hanno sottolineato l’esistenza di una presunzione legale: i beni intestati al coniuge, ai figli e ai conviventi di una persona sottoposta a misura di prevenzione si presumono nella sua disponibilità. Questa presunzione inverte l’onere della prova: non è più lo Stato a dover dimostrare l’origine illecita, ma è il terzo intestatario a dover provare in modo inequivocabile la provenienza lecita delle risorse utilizzate per l’acquisto.

Nel caso specifico, le argomentazioni della difesa sono state ritenute ‘meramente reiterative e palesemente inadeguate’. La Corte ha evidenziato che né il convivente né suo padre risultavano noti all’anagrafe tributaria o titolari di redditi dichiarati. Inoltre, la presunta donazione di una somma di denaro da parte del padre non solo era rimasta indimostrata, ma presentava anche un’incompatibilità temporale con l’acquisto del veicolo confiscato. Le semplici dichiarazioni, senza riscontri documentali concreti, non sono state ritenute sufficienti a superare la presunzione di disponibilità.

Conclusioni

La sentenza riafferma un principio di fondamentale importanza pratica: chi si trova in un rapporto di convivenza o parentela stretta con un soggetto socialmente pericoloso e risulta intestatario di beni di valore, ha l’onere di fornire una prova rigorosa e documentata della loro lecita provenienza. Non basta affermare un’origine legittima del denaro; è necessario dimostrarla con elementi fattuali concreti (come dichiarazioni dei redditi, documentazione bancaria, atti di donazione formali) che possano contrastare efficacemente la presunzione legale di disponibilità da parte del soggetto pericoloso. In assenza di tale prova, la confisca per sproporzione è una conseguenza inevitabile.

I beni intestati al convivente di una persona socialmente pericolosa possono essere confiscati?
Sì, la legge presume che tali beni siano nella ‘disponibilità’ della persona socialmente pericolosa. La confisca può essere applicata a meno che il convivente non fornisca prove concrete e documentate che dimostrino la provenienza lecita e autonoma dei beni.

Quali prove deve fornire il convivente per evitare la confisca per sproporzione?
Secondo la sentenza, non sono sufficienti mere dichiarazioni. È necessario fornire dati utili e prove concrete che contrastino le ragioni della confisca, dimostrando la provenienza lecita delle risorse economiche usate per l’acquisto. Ad esempio, è necessario provare una propria capacità reddituale o l’origine legittima dei fondi, cosa che nel caso di specie non è avvenuta, dato che sia il ricorrente che suo padre erano sconosciuti al fisco.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro un provvedimento di prevenzione per ‘manifesta illogicità della motivazione’?
No. La sentenza chiarisce che, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 159 del 2011, il ricorso per cassazione avverso le misure di prevenzione è limitato alla sola ‘violazione di legge’, escludendo il vizio di manifesta illogicità della motivazione previsto dall’art. 606 lett. e) del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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