Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26810 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26810 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2024 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla confisca del denaro:
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 gennaio 2024, il Tribunale di Roma, su concorde richiesta formulata dalle parti, ha applicato a NOME COGNOME, COGNOME e COGNOME per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, la pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed C 1.800 di multa ciascuno. L’applicazione della pena è stata disposta con riferimento a fatti del 3 ottobre 2023. Agli imputati è stato contestato di aver detenuto a fini di spaccio gr. 1 di hashish e gr. 1,92 di cocaina e di aver ceduto a terzi due dosi di cocaina, rispettivamente di gr. 0,23 e di gr. 0,25.
Il Tribunale ha disposto «la confisca e l’acquisizione al patrimonio dello Stato del denaro sequestrato» ritenendo «palese la sua provenienza dalla attività illecita intrapresa dagli imputati, avuto riguardo alle modalità di custodia dello stupefacente ed al contesto in cui si sono verificati i fatti».
Contro la sentenza, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto tempestivo ricorso per mezzo del comune difensore cui hanno conferito apposito mandato.
Col primo motivo, i ricorrenti si dolgono che il Tribunale non abbia motivato riguardo all’insussistenza delle condizioni che avrebbero consentito di pronunciare sentenza ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Col secondo motivo, deducono violazione di legge per avere il Tribunale disposto la confisca di tutto il denaro in sequestro ancorché i fatti – consistiti nel detenzione di modeste quantità di sostanza stupefacente e nella cessione di due dosi di cocaina – siano stati qualificati come violazioni dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90.
Premesso che la somma in sequestro è complessivamente pari ad C 2.705,00 (C 1.405,00 sequestrati a COGNOME; C 100,00 sequestrati a COGNOME NOME; C 1.200,00 sequestrati a COGNOME COGNOME), il difensore dei ricorrenti osserva che, in caso di applicazione della pena per violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, il denaro trovato nella disponibilità dell’imputato può essere confiscato solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 240, comma 1, cod. pen. e questa norma prevede la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, ovvero il lucro e vantaggio economico che si ricava direttamente e indirettamente dalla sua commissione. La sentenza impugnata ha sostenuto che la somma sequestrata fosse provento di spaccio, ma non ha tenuto conto del fatto che agli imputati è stata contestata la cessione di due dosi di cocaina e gli acquirenti hanno detto di aver pagato 20 euro per ogni dose. Secondo il difensore, mancando il nesso di pertinenzialità tra il reato per cui è applicata la pena e la somma di denaro
rinvenuta nella disponibilità dei ricorrenti, questa somma avrebbe dovuto essere restituita. Inoltre, trattandosi di violazione dell’art. 73, comma 5, non potrebbero trovare applicazione gli artt. 85 bis d.P.R n. 309/90 e 240 bis cod. pen.
Il Procuratore generale ha presentato conclusioni scritte chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla confisca del denaro con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo giudizio sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, il secondo è ammissibile e fondato.
Con riferimento al primo motivo, basta osservare che la censura proposta esula dai limiti di ammissibilità del ricorso per Cassazione previsti dall’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen. perché il vizio dedotto (omessa motivazione riguardo all’insussistenza delle condizioni che avrebbero consentito di pronunciare sentenza ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.) non attiene all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, al qualificazione giuridica del fatto e neppure all’illegalità della pena.
È ammissibile, invece il secondo motivo, avente ad oggetto l’applicazione della misura di sicurezza della confisca. Ponendo fine al contrasto che si era profilato in materia, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito, infatti, che è ricorribile per cassazione, per vizio di motivazione, la sentenza di patteggiamento che disponga una misura di sicurezza, ove questa non abbia formato oggetto di pattuizione tra le parti (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep.17/07/2020, Savin, Rv. 279348).
Oltre ad essere ammissibile, il motivo è fondato. Con la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. può essere disposta la confisca facoltativa ai sensi dell’art. 240, comma 1, cod. pen. e dunque, per quanto qui rileva, la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato; vale a dire: del vantaggio economico che ha diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto (fra le tante: Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264436; Sez. 2, n. 53650 del 06/10/2016, COGNOME, Rv. 268854; Sez. 6, n. 33226 del 14/07/2015, RAGIONE_SOCIALE, Rv.264941). Con riferimento ai reati in materia di stupefacenti tale previsione è ripresa dall’art. 73, comma 7 bis, d.P.R. n. 309/90 in base al quale, nel caso di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti ex
art. 444 cod. proc. pen., è ordinata la confisca delle cose che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile – fatta eccezione per il delitto di cui all’art. 73 comma 5 – la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto. Poiché, ai fini della confisca, il profitto deve derivare dal rea oggetto del giudizio, la giurisprudenza di legittimità è concorde nell’escludere che gli artt. 240 cod. pen. e 73, comma 7 bis, d.P.R. n. 309/1990, consentano la confisca di somme rinvenute nella disponibilità di chi sia imputato della mera detenzione di sostanze stupefacenti, non essendo possibile fare riferimento a pregresse condotte di vendita non oggetto di imputazione (Sez. 4, n. 20130 del 19/04/2022, COGNOME, Rv. 283248 e, in motivazione, Sez. 4, n. 40912 del 19/09/2016, Ka, Rv. 267900; Sez. 2, n. 41778 del 30/09/2015, COGNOME, Rv.265247). Nel caso oggetto del presente giudizio, agli imputati è stata contestata la cessione di due dosi di cocaina al prezzo di 20 euro ciascuna sicché il profitto del reato in relazione al quale è stata disposta l’applicazione della pena è pari ad C 40,00 e solo questa somma avrebbe potuto essere confiscata ai sensi dell’art. 240 cod. pen.
5. Come noto l’art. 85 bis d.P.R. n. 309/90 è stato modificato dalla legge 13 novembre 2023 n. 159. Prima di tale modifica la disposizione in esame estendeva l’operatività dell’art. 240 bis cod. pen. ai delitti previsti dall’art. 73 del citato d.P.R. «esclusa la fattispecie di cui al comma 5», ma tale limitazione è venuta meno dopo l’entrata in vigore della legge n. 159/2023. Pertanto, a far data dal 15 novembre 2023, la così detta confisca «per sproporzione» è consentita anche quando sia applicata una pena per violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90.
Il Collegio ritiene che questa nuova disciplina sia applicabile nel caso oggetto del presente giudizio, ancorché i fatti per cui si procede siano stati commessi il 3 ottobre 2023. Ai sensi dell’art. 236, comma 1, n. 2) cod. pen., infatti, la confisca è una misura di sicurezza patrimoniale e la sua applicabilità rispetto al tempo non è soggetta al principio di irretroattività, ma alle disposizioni contenute nell’art. 20 cod. pen. (si veda, con specifico riferimento all’art. 12 sexies del d.l. 8 giugno 1992: Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254698).
L’art. 200 cod. pen. è stato sempre interpretato nel senso che, mentre non può applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che al momento della sua commissione non costituiva reato, è invece possibile tale applicazione per un fatto di reato per il quale originariamente non era prevista la misura. Si è sottolineato, infatti, che il principio di irretroattività della legge penale riguarda le nor incriminatrici e non le misure di sicurezza, correlate alla situazione di pericolosità.
Nel disciplinare l’applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo, il legislatore ha previsto: nell’art. 200, comma 1, che le misure di sicurezza siano «regolate dalla legge in vigore nel tempo della loro applicazione»; nell’art. 200, comma 2, che, «se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione». L’art. 200, comma 2, però, non è richiamato dall’art. 236 cod. pen.; dunque non si applica alla confisca che, infatti, può essere eseguita senza compiere alcuna valutazione sull’esistenza di una attuale pericolosità sociale, verifica che è richiesta, invece, per l’esecuzione delle misure di sicurezza personali.
Come è stato opportunamente sottolineato (Sez. 6, n. 21491 del 16/02/2015, Meluzio, Rv. 263768, pag. 11 della motivazione): il richiamo testuale al tempo di «applicazione» della misura, «implica il riconoscimento della relatività del principio di retroattività, nel senso che esso deve necessariamente confrontarsi con lo stato del procedimento applicativo della misura stessa».
Ne consegue che, con riferimento alla confisca di cui all’art. 240 bis cod. pen., la legge della applicazione è quella in vigore nel momento in cui la confisca viene disposta. Per quanto riguarda la confisca di prevenzione patrimoniale tale principio è stato declinato nel senso che «il tempo di applicazione della misura si identifica necessariamente con quello della decisione di primo grado, anche se negativa, perché l’appello costituisce una fase eventuale in cui viene operato un controllo devolutivo sul provvedimento già emesso» (Sez. 6, n. 21491. del 16/02/2015, Meluzio, Rv. 263768).
Applicando questi principi al caso in esame si deve osservare che la sentenza impugnata è stata pronunciata il 9 gennaio 2024, quando la modifica dell’art. 85 bis d.P.R. n. 309/90 era già in vigore. Pertanto, nell’adottare la statuizione relativa alla sorte del denaro in sequestro, il giudice avrebbe dovuto valutare se ricorressero le condizioni per la confisca prevista dall’art. 240 bis cod. pen. (cfr. Sez. 6, n. 213 del 22/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285602; Sez. 4, n. 14095 del 20/03/2024, COGNOME Aquino, Rv. 286103).
6. Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla confisca del denaro, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Roma che dovrà valutare: da un lato, se e in che misura le somme oggetto di sequestro possano essere considerate come profitto del reato; dall’altro, se si tratti di denaro del quale gli imputati possano giustificare provenienza, oppure si tratti di somme sproporzionate ai loro redditi o alle loro attività economiche.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca del denaro con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Roma n diversa persona fisica. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.
Così deciso il 4 giugno 2024
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