Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8126 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8126 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA
avverso il decreto emesso dalla Corte di appello di Reggio Calabria il 14/4/2023
Visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 14 aprile 2023 la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato il decreto emesso dal Tribunale della stessa città con cui nei confronti di NOME COGNOME è stata disposta la confisca della somma di euro 1.600,00.
Avverso l’anzidetto decreto ha proposto ricorso per cassazione il difensore del proposto, che ha dedotto violazione di legge e motivazione apparente in ordine alla disposta confisca della somma presente sul conto corrente, che sarebbe frutto di attività lecita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento.
Siffatto principio, enunciato con riferimento alla disciplina previgente rispetto al D.Igs. n. 159/2011, è valido tuttora, in quanto l’art. 10, comma 3, di tale decreto, pure richiamato dall’art. 27, comma 2, per le misure reali, prevede espressamente che il ricorso in cassazione avverso il decreto della Corte di appello può essere presentato solo per violazione di legge.
Ciò esclude che nel giudizio di legittimità possano essere dedotti meri vizi della motivazione, che si traducano in forme di illogicità ovvero in una diversa interpretazione degli elementi dimostrativi, valutati dai Giudici di merito. Di contro, sono rilevanti solo quei vizi che concretizzino un’ipotesi di motivazione assente ovvero apparente, intesa quest’ultima come motivazione «del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal Giudice di merito», trattandosi di vizio che sostanzia una «inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali» (così, tra le tante, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01).
Alla luce di tale regula iuris deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata resiste ai rilievi censori.
Il Tribunale ha ritenuto che la somma, presente nel conto corrente sequestrato, pari a 1.600,00 euro, dovesse considerarsi di provenienza illecita, atteso che gli accertamenti economico-finanziario sul nucleo familiare del proposto avevano messo in luce l’assoluta carenza di redditi da fonte lecita, sufficienti al sostentamento ed alle essenziali esigenze di vita. Il proposto risultava avere percepito redditi da lavoro dipendente solo dal 2011 al 2016; redditi che nel 2011 ammontavano ad euro 2.507 euro, nel 2012 ad euro 6.937
e dal 2013 al 2016 a circa 11.000,00 euro annuali: somme che non avrebbero, in ogni caso, consentito di soddisfare adeguatamente le necessità quotidiane della vita del proposto e del suo nucleo familiare e che non potevano costituire una riserva.
Il Tribunale ha precisato che l’esiguità della somma in deposito non era in grado di mutare tale contesto, non potendo essa essere risparmiata da un soggetto che, comunque, non raggiungeva un reddito di 1.000,00 euro mensili e che, di contro, era stato condannato in relazione a molteplici episodi estorsivi.
Dagli atti di indagine del procedimento “RAGIONE_SOCIALE” risultava, infatti, che il proposto non era un soggetto dedito al lavoro dipendente ma un capo di un sodalizio mafioso, impegnato quotidianamente nell’attività di direzione e organizzazione della cosca. In particolare, per come emerso dalla sentenza, passata in giudicato, resa nel suindicato procedimento, gli ingenti proventi estorsivi, incamerati dagli imprenditori che si stavano occupando della ristrutturazione del Museo Archeologico di Reggio Calabria, erano espressamente destinati “a NOME“. Del resto, dalle captazioni ambientali del 30 maggio 2013 si evinceva che il proposto affermava «a chiare lettere di sentirsi in pieno diritto di sostenere sé stesso e la famiglia grazie all’incameramento di somme da parte di coloro che, per concessione della cosca, avevano avuto la possibilità di lavorare» nonché di avere “percentuali” su tutte le attività illecite, poste in essere sul territorio.
In definitiva, il Tribunale ha sottolineato che non residuavano dubbi sulla circostanza che le entrate del proposto fossero costituite da proventi derivanti dal suo ruolo apicale nella compagine associativa.
A fronte di tali argomentazioni deve rilevarsi che le doglianze formulate dal ricorrente non sono consentite, in quanto con le stesse, lungi dall’evidenziare un’ipotesi di motivazione apparente, nel senso innanzi esposto, egli ha proposto una rilettura delle emergenze procedimentali valorizzate nel decreto impugnato, caratterizzato da una motivazione congrua, di certo idonea ad illustrare le ragioni della decisione.
Il ricorso è, quindi, inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, della somma di euro 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 14/2/2024