Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14648 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14648 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Putignano il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 20/10/2023 del Gup del Tribunale di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata con rinvio, limitatamente alla confisca.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 ottobre 2023, il Gup del Tribunale di Bari ha applicato all’imputato la pena da questo richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., con la confisca e la distruzione delle cose in sequestro, in relazione ai reati: di cu agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 73, commi 1 e 4, 80, comma 2, del d.P.R. ‘n. 309 del 1990, per avere, con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, e fuori dalle ipotesi previste dall’art. 75 dello stesso decreto, illecitamente ceduto a COGNOME NOME un grammo di hashish, nonché illecitamente detenuto diversi pani di hashish del
peso complessivo di diversi kilogrammi, con la circostanza aggravante dell’ingente quantità e la recidiva specifica e infraquinquennale; di cui all’art. della legge n. 895 del 1967, per aver detenuto illegalmente 49 ordigni artigianali del peso complessivo di kg. 2,100, con recidiva specifica e infraquinquennale; di cui all’art. 678 cod. pen. per avere, senza la licenza dell’autorità e senza le prescritte cautele, detenuto materiale esplodente costituito da 6 artifizi pirotecnici del peso complessivo di kg. 22,800, con recidiva specifica; di cui all’art. 336 cod. pen. per aver usato minaccia nei confronti di un ufficiale di polizia giudiziaria in servizio, al fine di costringerlo a non verbalizzare fa attinenti all’eventuale coinvolgimento della propria compagna, con recidiva specifica e infraquinquennale (il 3 dicembre 2022).
Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando l’errata applicazione degli artt. 240 cod. pen. e 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., per avere il Gup applicato la confisca di euro 7045,00, avendo ritenuto che si trattasse del verosimile provento dell’attività di cessione. Nella specie, la sentenza non avrebbe motivato in ordine al nesso di pertinenzialità intercorrente tra il possesso del danaro e la cessione di stupefacente, in quanto la somma non avrebbe potuto costituire il provento dell’unica cessione addebitata nel capo di imputazione, di solo un grammo, data la modesta quantità di stupefacente, né delle precedenti attività di cessione, in quanto solamente presunte o «al più presumibili e comunque esulanti dal capo di imputazione». Il nesso di pertinenzialità non avrebbe potuto essere comunque dedotto dalle condotte di mera detenzione dello stupefacente, dovendosi escludere la provenienza del denaro da tale semplice detenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, mancando la specifica prospettazione dell’insussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione della confisca.
1.1. In proposito appare decisivo che il capo di imputazione, sul quale si è pronunciato il Gup, faccia riferimento «all’ingente quantitativo di droga conservata per soddisfare il maggior numero di clienti» e alla «ingente somma di danaro in contanti pari ad euro 7045,00, verosimile provento dell’attività di cessione dello stupefacente, trattandosi di soggetto senza occupazione lavorativa».
Merita richiamare al riguardo il disposto dell’art. 85-bis del d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo vigente tra il 6 aprile 2018 e il 14 novembre 2023, a mente del quale, «nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma
dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall’articolo 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, si applica l’articolo 240 bis del codice penale». In base al regime dell’art. 240-bis cod. pen. applicabile ratione temporis, «nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti», per i reati indicati, «è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica»; « quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona».
Dunque, non si richiede che sia dimostrata la sussistenza di un nesso di pertinenzialità tra danaro e delitto, essendo sufficiente la prospettazione, da parte dell’accusa, della sproporzione indicata dalla norma. È dunque possibile procedere alla confisca “allargata”, non solo nel caso in cui il denaro sia il diretto profitto dell’attività di spaccio, ma anche nel caso in cui l’imputato, pur avendo posto in essere un’attività di spaccio limitata o anche la sola detenzione dello stupefacente, non possa giustificare la lecita provenienza del denaro stesso.
1.2. Tali principi trovano applicazione nel caso di specie, in cui – come visto – dalla stessa imputazione, in relazione alla quale è intervenuto il patteggiamento, emerge che la somma in contanti oggetto di sequestro è sproporzionata rispetto alla situazione economica dell’imputato, trattandosi di soggetto senza regolare occupazione lavorativa. La confisca è stata dunque legittimamente disposta per sproporzione, ex art. 240-bis cod. pen., dovendosi ritenere sufficiente a tal fine il richiamo direttamente operato dall’imputazione alla consistenza della somma e all’inesistenza di redditi leciti in capo al soggetto. Né la difesa, sulla quale incombe l’onere della prova contraria, ha anche solo prospettato la lecita provenienza del denaro in questione.
Il ricorso, per tale motivo, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
Aq
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/03/2024