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Confisca per sproporzione: il convivente non è terzo

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava la confisca per sproporzione di beni intestati alla convivente di un condannato. La Corte ha stabilito che, in presenza di un rapporto di convivenza ultraventennale, il giudice non può ignorare tale legame nel valutare la riconducibilità dei beni al condannato, anche se formalmente intestati al partner.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per sproporzione: quando il convivente non può essere considerato un terzo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nell’applicazione della confisca per sproporzione (art. 240-bis c.p.), in particolare quando i beni da confiscare sono intestati al convivente more uxorio del condannato. La decisione chiarisce che una relazione stabile e duratura non è un dettaglio trascurabile, ma un elemento probatorio fondamentale per determinare la reale disponibilità dei beni.

I Fatti del Caso

Il caso nasce dal ricorso del Procuratore generale contro un’ordinanza della Corte di appello di Bari. Quest’ultima aveva annullato un provvedimento di confisca allargata su beni immobili e arredi intestati a una donna, convivente da oltre vent’anni con un uomo condannato per reati che consentono tale misura. La Corte territoriale aveva motivato la sua decisione sostenendo che la pubblica accusa non avesse fornito prove sufficienti dell’interposizione fittizia, ovvero che la donna fosse solo una prestanome e che i beni fossero in realtà nella piena disponibilità del compagno. Secondo i giudici d’appello, la semplice sproporzione tra i beni e il reddito della donna non era abbastanza per giustificare la misura ablatoria.

La Questione Giuridica: Confisca per sproporzione e la figura del terzo

Il nodo centrale della questione riguarda l’onere della prova nella confisca per sproporzione verso beni intestati a terzi. La legge presume che i beni sproporzionati di un condannato per specifici reati siano di provenienza illecita. Ma cosa succede se questi beni sono formalmente di proprietà di un’altra persona, come il partner convivente? La giurisprudenza ha chiarito che, per colpire il bene del terzo, l’accusa deve dimostrare, con elementi gravi, precisi e concordanti, che l’intestazione è fittizia e che la disponibilità reale del bene è rimasta in capo al condannato. La sola sproporzione del reddito del terzo non basta. La domanda, quindi, è: un convivente di lunga data può essere considerato un ‘terzo estraneo’ a tutti gli effetti?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore, annullando la decisione della Corte di appello. Il ragionamento dei giudici di Cassazione è stato netto e logico. Pur ribadendo che la presunzione di illecita provenienza non si estende automaticamente al terzo, la Corte ha sottolineato che il ‘terzo’ in questione non era affatto un estraneo. Si trattava della convivente more uxorio da oltre un ventennio, madre di due figli avuti con il condannato. La Corte di appello ha commesso un errore logico e motivazionale: da un lato ha riconosciuto la sproporzione tra il patrimonio della donna e le sue capacità reddituali, ma dall’altro ha completamente ignorato il peso probatorio della solidissima e pacifica relazione sentimentale e familiare. Secondo la Cassazione, un legame così stretto e duraturo è un fatto di enorme rilevanza che, unito alla sproporzione economica, avrebbe dovuto essere attentamente valutato per stabilire la reale disponibilità dei beni. Ignorare tale contesto ha reso la motivazione dell’ordinanza contraddittoria e insufficiente.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La sentenza stabilisce un principio fondamentale: nei procedimenti di confisca per sproporzione, la natura del rapporto tra il condannato e l’intestatario formale dei beni è un elemento decisivo. Un convivente di lunga data non può essere liquidato come un terzo qualsiasi. La stabilità e la durata della relazione diventano un indizio grave e preciso che, insieme ad altri elementi come la sproporzione patrimoniale, può fondare la prova della riconducibilità dei beni al condannato. Questa decisione rafforza gli strumenti di contrasto all’accumulazione di ricchezze illecite, impedendo che i legami familiari e affettivi vengano usati come un semplice schermo per eludere le misure di sicurezza patrimoniali.

Qual è l’onere della prova per la confisca di beni intestati a un terzo?
L’accusa deve provare, con elementi fattuali gravi, precisi e concordanti, che l’intestazione formale al terzo è fittizia e che la disponibilità effettiva del bene appartiene al condannato. La sola sproporzione tra il valore dei beni e il reddito del terzo non è sufficiente.

Un convivente ‘more uxorio’ è considerato un terzo estraneo ai fini della confisca per sproporzione?
No. Secondo la Corte, un convivente di lunga data (nel caso di specie, da oltre un ventennio) non è un terzo estraneo. La relazione stabile e duratura è un elemento di prova rilevante che il giudice deve considerare per valutare la reale disponibilità dei beni.

Qual è stato l’errore commesso dalla Corte di appello secondo la Cassazione?
L’errore è stato quello di agire in modo contraddittorio. La Corte di appello ha riconosciuto la sproporzione tra la capacità reddituale della convivente e gli investimenti effettuati, ma ha poi escluso la riconducibilità dei beni al condannato senza spiegare adeguatamente perché la loro pacifica e ultraventennale relazione di convivenza fosse irrilevante ai fini della decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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