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Confisca per sproporzione e l’onere della prova

La Corte di Cassazione ha confermato la confisca per sproporzione di un terreno intestato alla moglie di un soggetto condannato per associazione mafiosa. La Corte ha ritenuto che, a fronte di una netta sproporzione tra il bene acquistato e i redditi dichiarati, la difesa non ha fornito una prova adeguata e verificabile della provenienza lecita del denaro, fallendo nell’invertito onere probatorio previsto dall’art. 240-bis c.p.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Sproporzione: Quando l’Onere della Prova si Inverte

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 601/2024) torna a fare luce su un istituto cruciale nella lotta alla criminalità economica: la confisca per sproporzione, disciplinata dall’art. 240-bis del codice penale. Questo strumento permette allo Stato di aggredire i patrimoni illecitamente accumulati, anche quando sono intestati a terzi, come coniugi o figli. Il caso in esame offre un esempio emblematico di come funzioni la presunzione di illeceità e di come l’onere di dimostrare la provenienza lecita dei beni ricada interamente sull’interessato.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dal sequestro e successiva confisca di un terreno, acquistato nel 2005. L’immobile era intestato alla moglie di un uomo condannato in via definitiva per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), commesso tra il 2005 e il 2009.

La Corte d’appello aveva rilevato una palese sproporzione tra il valore del bene acquistato e la situazione reddituale e patrimoniale della coppia. I loro redditi dichiarati, derivanti da una modesta attività di raccolta di arance, erano del tutto insufficienti a giustificare un simile investimento. Di fronte a questa sproporzione, è scattata la presunzione legale di illecita provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto.

La Tesi Difensiva e la Decisione della Corte Territoriale

Per superare questa presunzione, i coniugi sostenevano che i fondi provenissero da un risarcimento danni ottenuto dall’uomo a seguito di un incidente stradale avvenuto nel 2000. A sostegno di questa tesi, hanno prodotto una scrittura privata, che però i giudici hanno ritenuto inefficace in quanto priva di data certa e quindi non idonea a fornire una prova concreta e verificabile.

Inoltre, la difesa non è riuscita a documentare né l’effettivo avvio di una pratica assicurativa né, soprattutto, l’esatto ammontare (quantum) della somma che sarebbe stata incassata. La Corte d’appello ha quindi concluso che l’acquisto del terreno appariva come un reimpiego di risorse illecite, accumulate proprio nell’arco temporale in cui operava la presunzione di pericolosità sociale del condannato, data la vicinanza temporale tra l’acquisto (2005) e l’inizio del periodo del reato contestato (2005-2009).

Il meccanismo della confisca per sproporzione

L’articolo 240-bis del codice penale stabilisce una presunzione iuris tantum (cioè, che ammette prova contraria). Se una persona viene condannata per specifici reati gravi e risulta titolare, anche per interposta persona, di beni di valore sproporzionato rispetto al proprio reddito o attività economica, si presume che tali beni siano frutto di attività illecite.

In questa situazione, si verifica una vera e propria inversione dell’onere della prova: non è più l’accusa a dover dimostrare l’origine illecita di ogni singolo bene, ma è il condannato (o il terzo intestatario) a dover fornire una prova convincente e documentata della loro provenienza legittima.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’appello. I giudici supremi hanno sottolineato che i ricorrenti non hanno sollevato vizi di legittimità, ma hanno tentato, inammissibilmente, di ottenere una nuova e più favorevole valutazione dei fatti e delle prove.

La Cassazione ha ribadito che la Corte territoriale ha applicato correttamente i principi di diritto. L’apparato argomentativo è stato ritenuto logico e coerente: di fronte a una sproporzione patrimoniale accertata, la difesa non è riuscita a fornire “specifiche e verificate allegazioni” capaci di dimostrare con elementi “concreti e oggettivi” la legittima provenienza del denaro. La generica allegazione di un risarcimento per un incidente, non supportata da adeguata documentazione, non è stata ritenuta sufficiente a superare la forte presunzione di illeceità.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: la confisca per sproporzione è uno strumento potente che pone a carico del condannato e dei suoi familiari l’onere di giustificare la ricchezza posseduta. Non bastano semplici affermazioni o prove deboli come una scrittura privata senza data certa. È necessario fornire una dimostrazione rigorosa, documentale e verificabile della provenienza lecita delle risorse. In assenza di tale prova, la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale prevale, e i beni vengono acquisiti dallo Stato. La decisione evidenzia come la vicinanza temporale tra l’acquisto di un bene e il periodo di commissione del reato rafforzi ulteriormente l’ipotesi accusatoria.

Che cos’è la confisca per sproporzione?
È una misura prevista dall’art. 240-bis del codice penale che consente di confiscare beni il cui valore è sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati o all’attività economica svolta dal condannato per specifici reati, quando non se ne giustifichi la legittima provenienza.

Su chi ricade l’onere di provare la provenienza lecita dei beni in caso di sproporzione?
L’onere della prova si inverte: non è l’accusa a dover provare l’origine illecita, ma è il condannato (o il terzo intestatario del bene) a dover fornire una prova specifica, concreta e verificabile della provenienza lecita dei fondi utilizzati per l’acquisto.

La confisca per sproporzione può colpire anche i beni intestati ai familiari del condannato?
Sì, la presunzione di illecita accumulazione opera anche per i beni intestati al coniuge o ai figli, qualora la sproporzione e le circostanze del caso concreto facciano ritenere che l’intestazione sia simulata e che i beni siano in realtà nella disponibilità del condannato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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