Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19703 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19703 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nata a Verona il 29/3/1997
avverso l’ordinanza del Tribunale di Verona del 18/4/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento parziale dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto in data 18.4.2024, il Tribunale di Verona, in funzione di giudice del riesame, ha provveduto sull’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME terza interessata – avverso l’ordinanza in data 13.11.2023 del Tribunale di Verona in composizione collegiale, con cui era stata rigettata l’istanza di dissequestro dei beni di sua proprietà nell’ambito di un procedimento a carico del padre..
In particolare, in tale procedimento il g.i.p. del Tribunale di Verona aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per sproporzione ex art.
240-bis cod. pen., di beni mobili e immobili riferibili alla famiglia COGNOME, tra cu un terreno e un fabbricato a Boretto (RE) e un fabbricato a Verona di proprietà dell’appellante, nonché dei fondi presenti sui suoi rapporti bancari con saldo attivo.
1.1 Il Tribunale del riesame premette che, nel processo di primo grado, il padre dell’appellante, NOME COGNOME è stato condannato per i reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen., 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e per altri reati-fine ad una pena complessiva di trenta anni. Invece, la madre NOME COGNOME è stata assolta e ha avuto in restituzione i beni che le erano stati sequestrati, mentre è stata disposta la confisca di tutti gli altri beni in sequestro.
Dopo la sentenza, NOME COGNOME ha avanzato istanza di restituzione, che il Tribunale di Verona ha rigettato, rilevando che il padre era stato condannato per associazione mafiosa e che tutti i beni, confiscati anche ex art. 416-bis, comma 7, cod. pen, costituivano prodotto, profitto e reimpiego del reato associativo.
Nell’atto di appello, la COGNOME ha protestato l’acquisto legale dei beni da parte sua e ha prodotto documentazione attestante la sua attività lavorativa.
1.2 Ciò detto, il Tribunale del riesame ha considerato che il g.i.p. disponeva il sequestro preventivo in relazione alla confisca di sproporzione, giacché il padre della ricorrente era indagato per i reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen, 74-73 d.P.R. n. 309 del 1990; in particolare, evidenziava che l’analisi patrimoniale e reddituale della famiglia Giardino, ricavabile da informative di polizia giudiziaria, dimostrava che pote4kcontare su redditi leciti molto contenuti, tali da garantire tutt’al più la sopravvivenza, ma nonrnargini di risparmio che consentissero acquisti di case e terreni. Rilevava, inoltre, che le intercettazioni chiarivano che la principale fonte di sostentamento della famiglia era costituita dalle attività illecite, con particolare riferimento alla cessione di stupefacenti. Con riferimento a NOME COGNOME, il g.i.p. osservava che t 9ggig emersa la sua piena consapevolezza delle attività illecite del padre e che ella non disponeva delle possibilità economiche per acquistare case e terreni (anche il modesto stipendio non le consentiva di pagare le rate del mutuo acceso per l’acquisto).
Il Tribunale, quindi, ha ritenuto che sussistano nel caso di specie i presupposti per la confisca allargata ex art. 240-bis cod. pen., vedendosi in ipotesi di interposizione fittizia di beni. È dimostrata la sproporzione tra il reddito dichiarato di NOME COGNOME e il valore dei beni, sicché nei suoi confronti opera una presunzione iuris tantum di illecita accumulazione patrimoniale; non anche, però, nel caso in cui il cespite sia formalmente intestato ad un terzo, nel qual caso incombe sull’accusa l’onere di dimostrare che il terzo si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca.
1.3 Alla luce di tali principi, il Tribunale del riesame ha ravvisato plurimi elementi indicativi del carattere fittizio della intestazione di NOME.
1.3.1 Innanzitutto, ella non aveva la disponibilità economica per l’acquis degli immobili, in quanto da una informativa del 13.5.2019 risultava che no avesse conseguito alcun reddito fino al 2014 e che dal 2015 al 2017 avess percepito redditi assai modesti. Nonostante ciò, nel 2016 si era aggiudicata all’ il fabbricato e il terreno di Boretto per 25.700 euro, ovvero una cifra tripla ri al suo reddito di quell’anno mentre l’anno precedente aveva percepito meno d 1.500 euro. Nel 2018, poi, aveva acquistato l’immobile di Verona per 70.000 euro, di cui 10.000 corrisposti con assegni circolari e 60.000 con mutuo ipotecario c rate mensili di 314,74 euro (3.776,88 euro all’anno) per 25 anni: a que proposito, nel 2017 e nel 2018 la Giardino aveva percepito un reddito annuo d circa 6.600 euro annui. Tra l’altro, l’estratto conto della carta poste-pay pro dalla difesa dimostra che in questo periodo la Giardino beneficiaVe,di continu ricariche di provvista ignota.
Questo consente – secondo il Tribunale – di affermare che i beni sono sta acquistati con la disponibilità di risorse non documentate, che è ragionevo presumere di provenienza illecita per via del ruolo apicale nel pa nell’associazione mafiosa e nell’associazione finalizzata al traffico di sos stupefacenti.
1.3.2 In secondo luogo, non risulta provato, con riguardo agli immobili acquistati, un interesse diretto della Giardino, né una effettiva disponibilità immobili in capo a lei. Quanto agli immobili di Boretto, risulta che si tratta L ‘9 un deposito di materiali edili e di un terreno coltivato a seminativo. Non è allegato quale fosse l’interesse della ricorrente, né per uso personale né a f investimento. Inoltre, al momento dell’esecuzione del sequestro era presente zio materno, che era privo di contratto di locazione e che si dichiarava custod manutentore degli immobili a titolo gratuito. Quanto all’immobile di Verona, risul dall’atto notarile che era bisognevole di ingenti lavori di manutenzi straordinaria, che certamente la ricorrente non avrebbe potuto sostenere con suoi proventi; inoltre, è stato accertato che il padre avelkla disponibilità ef del bene, in quanto al momento del sequestro era presente nell’immobile anche se formalmente residente altrove. Invece, NOME COGNOME risultava residente Calabria, mentre dalla busta paga rilasciata al suo datore di lavoro figurava anc un altro indirizzo di Verona.
Il Tribunale, infine, rileva altre due circostanze significative dell’intest fittizia. La prima è che nelle intercettazioni è emerso che la ricorrente consapevole delle attività delittuose svolte dal genitore. La seconda è che pizzeria presso cui ella lavora era luogo di incontri riservati tra gli esp dell’associazione nonché tra il padre e il reggente della cosca Arena cui, seco la ricostruzione della polizia giudiziaria, era asservito il sodalizio crimi NOME COGNOME. In conclusione, i giudici del riesame hanno affermato che vi stin
fondati elementi indiziari per affermare, non solo che la ricorrente non avrebbe potuto acquistare con redditi propri gli immobili, ma anche che fosse consapevole della probabile provenienza illecita della provvista economica con cui erano stati acquistati.
1.3.3 Quanto, ancora, al denaro sequestrato sui conti correnti, il Tribunale ha osservato che si trattkdi somme molto modeste, ma al tempo stesso che il fatto che la Giardino avesse più conti intestati rende plausibile che servissero a far transitare su di essi denaro non riconducibile alla sua attività lavorativa e invece correlabile all’attività delittuosa svolta dal padre, tanto è vero che è risultato che la sua carta poste-pay fosse alimentata con fondi di incerta provenienza per importi superiori, in certi periodi, anche a migliaia di euro al mese.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolando un unico mothio, con il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pena. la mancanza di motivazione del provvedimento.
Evidenzia, in particolare, ch ifesa aveva lamentato il difetto di prova circa la riferibilità dei beni confiscati ad NOME COGNOME. Ma il giudice ha confuso i piani e non ha analizzato la singola posizione di NOME COGNOME, invertendo l’onere probatorio e ponendo a carico della ricorrente la giustificazione circa la provenienza lecita dei beni, mentre non è stato dimostrato in che termini fossero invece provento di reato.
In relazione al fabbricato e al terreno di Boretto, il ricorso rileva una contrapposizione di giudicati, in quanto la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Verona ha rigettato la richiesta di sequestro preventivo, ritenendo che non fosse provata la riferibilità dei beni ad NOME COGNOME In quella sede, era stato dimostrato che, prima dell’emissione dell’assegno di circa 24.000 euro per l’acquisto, erano pervenuti sul conto corrente della ricorrente due bonifici di 10.500 euro da parte dei nonni materni, aventi come causale “regalo”, e un cospicuo versamento di 14.000 euro in contanti.
Quanto all’immobile di Vena, poi, si evidenzia che la cifra di 314 euro mensili per la rata del mutuo non ,&?/ un onere insostenibile per un soggetto medio. In ogni caso, l’ordinanza non individua un passaggio di denaro illecito dal padre alla figlia, né indica con quali modalità la ricorrente avrebbe utilizzato risorse illecite per pagare il mutuo, peraltro diluito in venticinque anni. Inoltre, all’accensione del mutuo la Giardino non aveva altre spese gravanti sulla sua persona, di guisa che il suo reddito annuale di oltre 6.000 euro poteva coprire la spesa. Quanto, poi, alla disponibilità dell’immobile in capo al padre NOME, il fatto che fosse ivi domiciliato non è sufficiente, perché il concetto di domicilio e di uso del bene non deve essere confuso con quello di disponibilità della res.
Come affermato anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte, non è sufficiente, in tema di sequestro di beni formalmente intestati a persona diversa dal reo, la dimostrazione della mancanza delle risorse sufficienti in capo al terzo, ma è necessaria la prova da parte del pubblico ministero della concreta riferibilità del bene all’imputato. Invece, la ricorrente ha sempre svolto attività lavorativa e convive con i genitori, sicché non ha spese legate alla casa e può provvedere al pagamento del mutuo.
Quanto, infine, ai conti correnti, la motivazione del rigetto è totalmente assente e fa genericamente riferimento al fatto che la disponibilità di più conti fosse sintomatica del loro utilizzo per farvi transitare i proventi illeciti dell’atti del padre: ma si tratta di un mero sospetto non dimostrato.
3. Con requisitoria scritta trasmessa il 5.2.2025, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata limitatamente al sequestro delle somme di denaro.
La dimostrata assenza di una sufficiente capacità reddituale della ricorrente, la sproporzione rispetto alla consistenza degli acquisti operati e agli interventi di manutenzione straordinaria richiesti per l’immobile di Verona, il rapporto di stretta parentela e gli elementi di riconducibilità dei beni in capo al padre (presente al momento dell’esecuzione del sequestro dell’immobile sito in Verona, nel quale era di fatto domiciliato) consentono di ritenere sussistenti i presupposti applicativi della confisca dell’immobile.
A diverse conclusioni può pervenirsi, invece, con riferimento alle somme disponibili sui diversi conti correnti intestati alla ricorrente. La motivazion dell’ordinanza impugnata non appare congrua, a fronte, in particolare, della ridotta entità delle somme di denaro (poche decine di euro) presenti sui conti correnti, che appaiono comunque compatibili con i redditi della ricorrente, e dell’assenza di indicazione di elementi tali da consentire di ricondurre la disponibilità effettiva di tali conti in capo al padre.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse nel procedimento di riesame relativo a misure cautelari reali è ammesso solo per violazione di legge.
E’ stato costantemente affermato, con riferimento alle ordinanze in materia di sequestro preventivo, che nella nozione di violazione di legge possono comprendersi, oltre agli “errores in iudicando” o “in procedendo”, solo quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a
sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 02; Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli, Rv. 269656 – 01; Sez. 3, n. 4919 del 14/7/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296 – 01).
È proprio alla luce di questo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si è ritenuto in precedenza di riportare piuttosto analiticamente i passaggi dell’ordinanza impugnata.
Dalla loro disamina, emerge plasticamente che la motivazione del Tribunale del riesame è nient’affatto inesistente o meramente apparente e che, invece, giustifichi in modo congruo l’assunto accusatorio del carattere fittizio della intestazione dei beni a NOME Giardino.
Non trova riscontro, innanzitutto, la censura riguardante la presunta inversione dell’onere probatorio.
Se è vero che nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un terzo non opera la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale nell’ipotesi di confisca allargata (Sez. 2, n. 37880 del 15/6/2023, COGNOME, Rv. 285028 – 01), ciò nondimeno il Tribunale, nel caso di specie, non ha mancato di enucleare gli elementi sulla base dei quali ha ritenuto che i beni sequestrati fossero da ritenersi solo fittiziamente intestati alla ricorrente.
V kr Infatti, l’ordinanza impugnata, irrodo immune da illogicità, ha innanzitutto irichiamato il dato oggettivo della ricostruzione della situazione patrimoniale della Giardino e delle sue entrare reddituali per ritenere in maniera del tutto ragionevole che fosse possibile escludere che le sue entrate negli anni della compravendita degli immobili possano averle consentito di procedere personalmente agli acquisti.
I giudici del riesame hanno, in maniera congruente, valutato implausibile che la ricorrente avesse la disponibilità di redditi sufficienti e comunque di un risparmio o accantonamento di risorse da utilizzare per investimenti di tipo immobiliare e per il pagamento dei mutui conseguentemente accesi per una parte dell’importo dei beni.
In secondo luogo, l’ordinanza ha messo convenientemente in risalto che dall’esito degli accertamenti svolti nel procedimento conclusosi con la condanna di NOME COGNOME fosse emerso, per un verso, che la fonte di sostentamento economico della famiglia COGNOME era prevalentemente costituita dai proventi della attività illecite del capo-famiglia, e ciò nella piena consapevolezza della ricorrente (come risultato dalle intercettazioni), e, per l’altro, che ella beneficiava di continui e consistenti apporti economici mediante ricariche di provvista ignota sulla sua carta poste-pay.
Infine, l’ordinanza impugnata ha evidenziato un ulteriore elemento di sicura rilevanza, e cioè che i beni immobili acquistati da NOME Giardino erano in realtà
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nella concreta disponibilità, l’uno, del padre e, l’altro, dello zio, e che ella, resident altrove, non aveva alcun rapporto diretto con i cespiti in questione.
Quanto, poi, alle somme di denaro e ai contti correnti, il tribunale del riesame ha appropriatamente operato riferimento al fatto che la disponibilità di ben cinque
conti a lei intestati, a fronte di entrate da redditi di lavoro modeste, renda plausibile che servissero a fra transitare su di essi denaro di provenienza diversa
dalla sua attività lavorativa.
Di conseguenza, il provvedimento assolve in modo adeguato all’onere motivazionale relativo alla dimostrazione dell’esistenza di situazioni che avallino
concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità
effettiva del bene, in modo da potersi affermare che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza
dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca (v. Sez. 5, n. 13084 del 6/3/2017, COGNOME, Rv. 269711 – 01).
Deve trovare applicazione, pertanto, il principio secondo cui, in tema di confisca cd. allargata conseguente a condanna per taluno dei reati di cui all’art.
51, comma 3-bis, cod. proc. pen., non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive (Sez. 3, n. 1555 del 21/9/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282407 – 02).
Per quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21.2.2025