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Confisca per spaccio: denaro sì, telefoni no

Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri per la confisca per spaccio. La Corte ha confermato la confisca di 23.000 euro, ritenuti profitto del reato, basandosi su un nesso logico-presuntivo. Al contrario, ha annullato la confisca di alcuni telefoni cellulari, poiché l’accusa non ha fornito la prova specifica e diretta del loro impiego nell’attività illecita, distinguendo così nettamente tra profitto e strumento del reato.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Spaccio: Denaro e Cellulari, la Cassazione Fa Chiarezza

La confisca per spaccio di sostanze stupefacenti è uno strumento fondamentale per colpire i patrimoni illeciti. Tuttavia, la sua applicazione non è sempre automatica e richiede una distinzione precisa tra ciò che è ‘profitto’ del reato e ciò che ne è ‘strumento’. Una recente sentenza della Corte di Cassazione illumina questa differenza, confermando la confisca di una cospicua somma di denaro ma annullando quella di alcuni telefoni cellulari per mancanza di prova specifica.

I Fatti del Caso: Condanna per Droga e Sequestro di Beni

Il caso trae origine da una condanna, divenuta definitiva, nei confronti di un uomo per reati legati all’importazione, trasporto e cessione di sostanze stupefacenti. Successivamente alla condanna, un’ordinanza del tribunale disponeva la confisca di tre telefoni cellulari e di una somma di 23.000 euro in contanti, trovati nella disponibilità del condannato. La Corte d’Appello confermava tale provvedimento, ritenendo che sia i telefoni (utilizzati per i contatti illeciti) sia il denaro (frutto dell’attività di spaccio) fossero direttamente collegati ai reati commessi.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso in Cassazione, contestando la validità della confisca. In particolare, sosteneva la mancanza di un ‘nesso pertinenziale’ tra il denaro, sequestrato quasi due anni dopo i fatti, e i reati commessi. Evidenziava inoltre come la sua attività lecita di rivendita di auto potesse giustificare il possesso di tale somma. Per i telefoni, lamentava una motivazione generica, non essendo stato provato che fossero proprio quelli gli apparecchi usati per l’attività criminale.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Confisca

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, operando una netta distinzione tra la posizione del denaro e quella dei telefoni cellulari.

La Confisca del Denaro: Un Nesso Logico Sufficiente

Per quanto riguarda la somma di 23.000 euro, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione della Corte d’Appello. La confisca per spaccio del denaro, in questo caso, si fonda su una serie di elementi logici e presuntivi che, nel loro insieme, creano un quadro probatorio sufficiente. I giudici hanno valorizzato:

1. I quantitativi ingenti di stupefacente: L’attività criminale non era occasionale ma strutturata e riguardava chilogrammi di droga, generando quindi profitti significativi.
2. Le condizioni economiche dell’imputato: L’uomo non disponeva di fonti di reddito lecite e floride tali da giustificare il possesso di una simile somma in contanti.
3. L’assenza di prova contraria: L’imputato ha solo affermato che il denaro derivasse dalla sua attività di commercio di auto, senza però fornire alcuna documentazione a supporto.

In base a questi elementi, la Corte ha concluso che il denaro rappresentava il ‘profitto’ del reato, come definito dall’art. 240 del codice penale e dall’art. 73, comma 7-bis, del Testo Unico Stupefacenti, e ne ha quindi confermato la legittima acquisizione da parte dello Stato.

La Confisca dei Telefoni: La Prova Specifica è Indispensabile

Di segno opposto è stata la decisione sui telefoni cellulari. La Corte ha stabilito che, trattandosi di ‘strumenti’ del reato e non di ‘profitto’, la loro confisca rientrava in un’ipotesi di ‘confisca facoltativa’. Ciò impone all’accusa un onere della prova molto più stringente.

Non è sufficiente affermare genericamente che il condannato usasse telefoni per la sua attività illecita. L’accusa avrebbe dovuto dimostrare che proprio quegli specifici apparecchi sequestrati (identificati tramite codici IMEI e PIN) erano stati utilizzati per le conversazioni e i messaggi legati allo spaccio. La difesa aveva sottolineato come i dispositivi oggetto di confisca fossero diversi da quelli emersi durante le indagini. Di fronte a questa precisa contestazione, la motivazione della Corte d’Appello è risultata generica e insufficiente.

Le Motivazioni: la distinzione tra profitto e strumento del reato

La motivazione della sentenza ruota attorno alla distinzione fondamentale tra ‘profitto’ e ‘strumento’ del reato ai fini della confisca. Il profitto, inteso come vantaggio economico diretto derivante dal crimine, può essere confiscato anche sulla base di un ragionamento logico-induttivo, specialmente quando l’imputato non fornisce una spiegazione alternativa credibile e documentata sulla provenienza dei beni. Il nesso si può desumere da un quadro indiziario grave, preciso e concordante.

Lo strumento del reato, invece, è la cosa utilizzata per commetterlo. Per la sua confisca (quando non obbligatoria per legge), è necessaria la prova certa e diretta del suo impiego nell’azione criminale. Una semplice compatibilità o la generica affermazione che ‘si usavano telefoni’ non basta a giustificare un provvedimento ablatorio su un bene specifico, specialmente se la difesa solleva dubbi puntuali sulla sua identificazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza sulla Confisca per spaccio

Questa decisione della Cassazione rafforza un principio di garanzia fondamentale nel diritto penale patrimoniale. Se da un lato conferma la linea dura sulla confisca per spaccio dei profitti illeciti, anche in assenza di una prova ‘schiacciante’, dall’altro pone un argine a confische indiscriminate di beni che potrebbero essere stati usati per il reato. Per la confisca degli strumenti, l’accusa deve fare i ‘compiti a casa’, fornendo al giudice elementi di prova specifici e inconfutabili che leghino quel determinato oggetto a quella determinata attività criminale. In assenza di tale prova, il bene deve essere restituito al legittimo proprietario.

Quando può essere confiscato il denaro trovato in possesso di una persona condannata per spaccio, anche tempo dopo il reato?
Può essere confiscato quando, pur in assenza di una prova diretta, un insieme di elementi logici gravi, precisi e concordanti ne dimostra la provenienza illecita. Tali elementi includono l’ingente quantità di droga trattata, le precarie condizioni economiche lecite del condannato e l’assenza di una giustificazione documentata sulla legittima provenienza del denaro.

Per confiscare un telefono cellulare come strumento del reato di spaccio, cosa deve dimostrare l’accusa?
L’accusa deve fornire la prova specifica e inequivocabile che quel particolare telefono, identificato ad esempio tramite il suo codice IMEI, è stato effettivamente utilizzato per commettere i reati contestati. Una motivazione generica sulla circostanza che l’imputato usasse telefoni per l’attività illecita non è sufficiente.

Qual è la differenza probatoria tra la confisca del ‘profitto’ e quella dello ‘strumento’ del reato?
Per la confisca del profitto (es. il denaro derivante dallo spaccio), è sufficiente dimostrare un nesso pertinenziale basato su un solido quadro logico-indiziario. Per la confisca dello strumento (es. il telefono usato per i contatti), quando rientra nei casi di confisca facoltativa, è necessaria una prova diretta e specifica del suo impiego nell’azione criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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