Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22641 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22641 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.COGNOME nato a TORRE DEL GRECO il 27/10/1975
2.NOME nato a MUGNANO DI NAPOLI il 14/10/1993
3.COGNOME NOME nato a GALLIPOLI il 09/10/1987 avverso la sentenza del 28/01/2025 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG il quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso della COGNOME e l’annullamento con rinvio della confisca per equivalente nei confronti di COGNOME e NOME con riferimento alla confisca dei beni futuri.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. in data 28 gennaio 2025, applicava a COGNOME Rita la pena di anni 2 di reclusione ed € 3200 di multa, a NOME la pena di anni 2, mesi 4 di reclusione ed € 4200 di multa ed a COGNOME NOME quella di anni 2, mesi 6 di reclusione ed € 4600 di multa in ordine ai reati di associazione a delinquere, concorso in riciclaggio, omessa presentazione di dichiarazioni fiscali annuali, ricettazione, loro rispettivamente ascritti; contestualmente all’applicazione della pena, il G.U.P. disponeva la sostituzione delle sanzioni inflitte
allo Spinola con la pena alternativa della detenzione domiciliare ed al Giordano con quella del lavoro di pubblica utilità. Infine, il Giudice dell’udienza preliminare, disponeva con la stessa pronuncia la confisca di tutti i beni e delle somme in sequestro a carico degli imputati ad eccezione di un immobile sito in Riga (Lettonia) nei confronti dello COGNOME ed, altresì, la confisca ‘delle ulteriori somme fino alla concorrenza del profitto del reato’ pari ad € 132.905,433 per la COGNOME, ad € 11.018.691 per il Giordano ed a € 20.024.522 per COGNOME, prevedendo l’apprensione delle stesse ‘anche se conseguite in tempo successivo rispetto alla definitività della sentenza’ ed in mancanza di ciò ‘per un valore corrispondente al profitto conseguito’.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione i difensori degli imputati.
2.1. L’avv.to NOME COGNOME per COGNOME COGNOME, lamentava, con un unico motivo qui riassunto ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. quanto alla confisca anche per equivalente disposta nei confronti dell’imputata ex art. 648quater cod. pen.. Premesso che la disposizione di confisca poteva essere collegata al solo capo H) contestato alla imputata, in quanto gli altri reati per i quali era intervenuta la pronuncia di patteggiamento non sono inclusi nell’elenco dettato dagli artt. 648quater cod. pen. e 12bis D.Lvo 74/2000 richiamati dal giudice, si eccepiva come il profitto dei reati non era costituito dall’intera somma riciclata ma dalle commissioni dagli imputati praticate in cambio dei servizi offerti a terzi. Proprio con riferimento al capo H) il profitto del reato non poteva identificarsi nelle somme retrocesse a seguito delle operazioni di riciclaggio dalla COGNOME agli autori dei reati presupposto bensì dalle commissioni praticate ed ottenute per tale specifica operazione; ne conseguiva che il G.U.P. aveva disapplicato il principio di diritto dettato dalle recenti Sezioni Unite ‘ COGNOME ‘ (sent. n. 13783/2025) secondo la quale in caso di concorso di persone nel reato può essere confiscato solo quanto effettivamente conseguito dal reo ed in caso di impossibilità di individuazione del singolo profitto una somma pari al profitto complessivo suddivisa per il numero dei concorrenti. Nel caso in esame, pertanto, la somma confiscabile doveva essere individuata in quella di € 48.666,66 pari al profitto complessivo conseguito a seguito della consumazione del c.d. riciclaggio Modaffari contestato al capo H) suddiviso per i tre concorrenti (COGNOME, COGNOME e COGNOME) in parti uguali; profitto così determinato dalla annotazione finale di P.G. datata 26 maggio 2023 richiamata dal ricorso.
2.2 L’avv.to NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME deduceva con distinti motivi qui riassunti:
-inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648quater cod. pen. relativamente al valore della confisca, illegalità della pena e della misura di sicurezza; il giudice, disponendo la confisca dell’intero importo di € 11.018.691, aveva errato nella identificazione del profitto confiscabile individuato sulla base dei valori complessivi delle operazioni indicate nei capi di imputazione non potendosi condividere l’orientamento esposto nella pronuncia di Sezione Quinta 32176/2024, citata nella pronuncia impugnata, i cui argomenti venivano singolarmente criticati; si esponeva come le categorie di profitto e prodotto non possono essere estese sino ricomprendere al loro interno il generico concetto di utilità dovendosi invece dare seguito all’opposto orientamento secondo cui in tema di riciclaggio la confisca per equivalente del profitto del reato è applicabile solo con riferimento al vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal riciclatore e non all’intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall’autore del reato presupposto. Nel caso di specie il giudice della fase cautelare aveva proprio aderito a tale orientamento disponendo con l’ordinanza applicativa delle misure personali e reali il sequestro limitatamente alle somme di denaro costituenti i vantaggi ricavati dal riciclatore con la propria condotta; e tale soluzione doveva ritenersi l’unica compatibile con i principi stabiliti recentemente dalle Sezioni Unite 13783/25 secondo cui la confisca deve essere disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito, e cioè per la sola quota di arricchimento. L’applicazione del suddetto principio comportava la limitazione della confisca all’importo di € 688.104,10 pari alla quota di arricchimento del Giordano per i reati di cui ai capi B), C) e G) produttivi di profitto;
inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648quater cod. pen. censurabile ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. relativamente alla confisca dei beni futuri diretta e per equivalente; si lamentava che il G.U.P. avesse disposto anche la confisca di beni futuri entrati nella disponibilità del ricorrente successivamente la sentenza definitiva in assenza di qualsiasi sufficiente specificazione e ciò benché la citata sentenza delle Sezioni Unite avesse affermato essere necessario un nesso di pertinenzialità del denaro rispetto al reato per disporre la confisca diretta altrimenti dovendosi qualificare il provvedimento come confisca per equivalente, che, per sua natura, non può però riguardare i beni futuri stante la caratteristica sanzionatoria della stessa e la conseguente non ultrattività della medesima; doveva pertanto escludersi la possibilità di disporre la confisca per equivalente anche dei beni futuri non individuati né individuabili alla data del tempus commissi delicti .
2.3 L’avv.to COGNOME per COGNOME NOME deduceva con distinti motivi:
violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli
artt. 648quater, comma 1, cod. pen. e 12bis D. Lvo 74/2000, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; in primo luogo si evidenziava l’illegittimità della pronuncia che aveva disposto anche la confisca di beni immobili appartenenti a persone estranee al reato ed in particolare alla moglie dello COGNOME coniugata in regime di comunione legale dei beni e perciò comproprietaria degli stessi immobili; al proposito si rappresentava che lo COGNOME aveva un autonomo interesse a far valere i diritti della moglie quanto alla confisca incidente sul patrimonio familiare; la motivazione appariva contraddittoria nella parte in cui aveva riconosciuto l’estraneità della Shepeleva ai fatti ordinando la restituzione alla stessa dell’immobile sito in Riga ma nulla aveva disposto quanto al 50% degli immobili alla medesima intestati e pur oggetto di confisca indeterminata nei confronti di Spinola in violazione dell’art. 648quater cod. pen che prevede appunto la salvezza dei diritti dei terzi potendo essere disposta la confisca dei beni che costituiscono il prodotto del riciclaggio ‘salvo che appartengano a persone estranee al reato’; il vizio della sentenza impugnata doveva ritenersi evidente per la pertinenza dell’immobile di Riga restituito alla Shepeleva che andava anch’esso esentato dalla confisca totale;
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. in relazione ai principi di diritto stabiliti dalle Sezioni Unite ‘ COGNOME ‘ e non osservati dalla pronuncia di patteggiamento in punto di confisca; ed invero, le Sezioni Unite, nella cennata pronuncia, hanno stabilito che in caso di concorso di persone nel reato esclusa ogni forma di solidarietà, la confisca deve essere disposta nei confronti di ciascun concorrente limitatamente a quanto dal medesimo conseguito, il cui accertamento costituisce oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti e, solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, è legittima la ripartizione in parti uguali; nel caso in esame il giudice non aveva individuato la quota di arricchimento del singolo concorrente e non aveva operato alcuna preventiva indagine sulle somme e sui beni suscettibili di confisca, non potendosi fare riferimento al criterio sussidiario della ripartizione in parti uguali in assenza di precisa individuazione dei profitti dei reati; la sentenza aveva quindi violato il disposto della pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui non si applica il principio della solidarietà passiva;
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc.pen. in relazione all’art. 12bis D.Lvo 74/2000, manifesta illogicità della motivazione quanto alla disposta confisca a carico dello COGNOME anche per beni conseguiti in tempo successivo rispetto alla definitività della sentenza; la giurisprudenza (Sez. 3, n. 36369/2001) ha escluso l’assoggettabilità a confisca anche dei beni futuri che entrano legittimamente nel patrimonio dell’imputato dopo l’adozione del provvedimento definitivo e ciò in particolare per la confisca per equivalente che può avere ad
oggetto esclusivamente somme di denaro e beni esistenti al momento della sua adozione; difatti per il principio di non ultrattività derivante dalla natura sanzionatoria della confisca per equivalente, le somme di denaro ed i beni da sottoporre a confisca devono essere individuati al momento dell’adozione della misura non essendo l’istituto suscettibile di proiezione futura e dovendo, pertanto, essere annullata la disposizione che consentiva la confisca di beni dello Spinola acquisiti anche in tempo successivo la definitività della pronuncia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ai fini della valutazione delle doglianze avanzate nel ricorso dell’avv.to COGNOME per COGNOME, nel primo motivo del ricorso COGNOME per COGNOME e nel secondo motivo del ricorso avv.to COGNOME per COGNOME con le quali si lamenta che la confisca sarebbe stata disposta nei confronti di tutti gli imputati in dispregio della nozione di profitto del reato, si impongono alcune considerazioni preliminari al fine di inquadrare esattamente gli istituti in applicazione; deve innanzi tutto essere premesso che l ‘art. 648 -quater cod. pen. prevede che, quando si procede per taluno dei reati di cui agli artt. 648bis , 648ter e 648ter1 cod. pen. ‘ è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto ‘. Il secondo comma della suddetta norma prevede, poi, la confisca per equivalente stabilendo altresì che :’ nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma, del prodotto o del profitto dei reati di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato ‘ .
Deriva necessariamente affermarsi che per espressa previsione normativa il sequestro diretto e per equivalente nei casi di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio può riguardare sia il profitto sia il prodotto del reato.
Sulla nozione di prodotto del reato va ricordata quella prima affermazione delle Sezioni Unite secondo cui in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato (Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, COGNOME, Rv. 205707 -01); in motivazione detta pronuncia precisa che :’ deve ritenersi pacifica in dottrina e giurisprudenza la definizione dei concetti di prodotto, profitto e prezzo del reato contenuti nell’art.
240 c.p. Il prodotto rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato. Ed in proposito si ricorda che già con la decisione 15.2.1992, Bissoli, le Sezioni Unite si sono specificamente interessate anche di questo problema, ribadendo la distinzione tra “prezzo” e “provento” del reato nel senso innanzi specificato ‘.
La nozione di prodotto del reato nei termini sopra specificati risulta ribadita anche da una successiva pronuncia delle sezioni semplici secondo cui in tema di confisca, il “profitto” del reato è costituito dal vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dalla commissione dell’illecito e si contrappone al “prodotto” e al “prezzo” del reato; il “prodotto”, invece, rappresenta il risultato empirico, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato (Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, COGNOME, Rv. 258636 -01).
La qualificazione del prodotto del reato come il frutto delle attività delittuose risulta ribadita dalla recente giurisprudenza delle Sezioni Unite nella sentenza ‘ COGNOME ‘; invero, richiamando l’orientamento della Corte costituzionale, le Sezioni Unite in detta pronuncia hanno affermato ancora come:’ la confisca del “prodotto” – identificato nell’intero ammontare degli strumenti acquistati dall’autore, ovvero nell’intera somma ricavata dalla loro alienazione – così come quella dei “beni utilizzati” per commettere l’illecito – identificati nelle somme di denaro investite nella transazione, ovvero negli strumenti finanziari alienati dall’autore ‘ può assumere ‘ un effetto peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale del trasgressore ‘ ( Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 08/04/2025, Rv. 287756 -02 ) confermando così che per ‘prodotto’ del reato si intende l’intero ammontare ricavato dall’operazione illecita.
1.1 Tale essendo la nozione di prodotto, la questione dedotta dalle difese sulla rilevanza decisiva dell’identificazione del profitto imputabile a ciascuno dei riciclatori, rimane assorbita nel caso in cui il sequestro o la confisca siano stati disposti ex art. 648quater indifferentemente a titolo di profitto o prodotto. Deve, cioè, ritenersi che ove il giudice abbia disposto il sequestro richiamando il presupposto applicativo contenuto nell’art. 648 -quater cod. pen . l’eventuale errore di identificazione risolvendosi in una semplice difformità nominalistica non determina la nullità del provvedimento se nel corpo dello stesso sia stato esattamente indicato l’importo sequestrato a titolo di prodotto del reato di riciclaggio, reimpiego od autoriciclaggio.
Nel caso in esame, il Giudice dell’udienza preliminare di Napoli, pur individuando l’oggetto della confisca diretta e per equivalente con il titolo di ‘profitto’, ha in verità chiarito nel contesto della motivazione, richiamando anche un precedente giurisprudenziale di legittimità, che oggetto del provvedimento ablatorio è ‘ il valore corrispondente alle somme oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa anch e se non corrispondenti all’utilità economica tratta dal riciclatore e non appartenenti a quest’ultimo ‘. E nella precedente pag. 4 della motivazione della sentenza di applicazione pena lo stesso giudice precisava che la confisca disposta è obbligatoria ex artt. 648quater cod. pen. e 12bis D.Lvo 74/2000.
1.2 Così identificati i presupposti normativi del provvedimento ablatorio oltre che l’oggetto della confisca, non vi è dubbio che il G.U.P. di Napoli pur identificando l’oggetto del la confisca nel profitto del delitto di riciclaggio, ha in verità esteso la misura ablatoria al prodotto del reato di cui all’art. 648 -bis contestato a tutti gli imputati, identificandolo proprio nell’intero importo delle somme riciclate da ciascuno degli stessi nelle diverse fattispecie loro contestate, individuato nelle somme di € 132.905,433 per la COGNOME, di € 11.018.691 per il Giordano e di € 20.024.522 per COGNOME secondo quanto ricavato dai reati contestati in rubrica e per i quali tutti i ricorrenti hanno chiesto l’appl icazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
Ne deriva affermare che tale decisione, in quanto assunta in applicazione del preciso disposto dell’art. 648 -quater cod. pen., si rivela esente dai lamentati vizi dedotti con i tre distinti ricorsi i quali tutti hanno insistito, pur cogliendo l’incongruità della definizione fornita dal G.U.P., su aspetti e problematiche relative al profitto del reato di cui all’art. 648 -bis cod. pen. che secondo una interpretazione giurisprudenziale è costituito dal solo vantaggio patrimoniale ottenuto direttamente dal riciclatore per effetto delle operazioni di sostituzione.
1.3 Tale definizione però, essendo come anticipato puramente nominalistica, non può determinare la nullità del provvedimento impugnato e ciò perché il G.U.P. pur riferendosi al profitto ha in realtà motivato correttamente la confisca del prodotto.
Anche le fonti internazionali confermano la legittimità della decisione del G.U.P. di procedere alla confisca dell’intero oggetto delle operazioni di riciclaggio da ciascun imputato compiute; in particolare la Convenzione di Vienna contro il narcotraffico del 1988, la Convenzione contro il crimine organizzato di Palermo del 2000 e la Convenzione contro la corruzione di New York del 2003, per definire l’oggetto della confisca, fanno riferimento ai proceeds – cioè ai proventi, non ai profitti. Secondo tali Convenzioni, costituiscono proceeds anche i beni ottenuti o
derivati direttamente o indirettamente dalla commissione di un reato. Non diversamente, la Direttiva U.E. 2014/42, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, riferisce l’oggetto della confisca al «provento», inteso come ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati; esso, si legge, può consistere in qualsiasi bene e include ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile (art. 2, ma anche considerando 11). In senso conforme si pone anche l’articolo 12 della nuova Direttiva U.E. 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 24 aprile 2024 (in vigore dal 22 maggio 2024), che ha sostituito lo strumento del 2014 sopra citato (art. 36) e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 23 novembre 2026 (art. 33). Detta Direttiva impone agli Stati membri di consentire la confisca di beni strumentali e proventi di reato a seguito di una condanna definitiva e di permettere la confisca di beni di valore equivalente ai beni strumentali e ai proventi di reato.
3. Deve poi essere escluso che la suddetta conclusione possa ritenersi in alcun modo in conflitto con la citata sentenza ‘ COGNOME ‘ , ripetutamente richiamata dai ricorsi e dalla stessa sentenza impugnata; la predetta decisione, intervenuta in una ipotesi di corruzione e di confisca disposta ai sensi dell’art. 322 -ter cod. pen., è stata chiamata a risolvere la questione ‘s e, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascuno di essi, indipendentemente da quanto da ognuno eventualmente percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno; od ancora se, in quest’ultimo caso, la confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base al grado di responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali ‘. Precisate le nozioni di profitto e prezzo del reato, le sole rileva nti ai sensi dell’art. 322 -ter cod. pen. che disciplina la confisca nelle ipotesi di reati contro la pubblica amministrazione, le Sezioni Unite hanno chiarito come in caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca deve essere disposta nei confronti di ciascun concorrente limitatamente a quanto dal medesimo conseguito, il cui accertamento costituisce oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti e, solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, è legittima la ripartizione in parti uguali (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, Rv. 287756 -01); in motivazione la pronuncia con riferimento al caso concreto sottoposto al suo esame ha precisato che:’ nel caso di specie, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale e dalle parti, non si verte
in un caso di confisca del profitto, quanto, piuttosto, di confisca del prezzo del reato di corruzione. È stato confiscato il prezzo corrisposto dai corruttori ai corrotti …’; nella stessa pronuncia chiamata a dettare i criteri distintivi le Sezioni Unite precisano come:’ Costituisce prezzo del reato il compenso dato o promesso per indurre, determinare o istigare un soggetto a commettere il reato. Costituisce profitto il vantaggio che il reo consegue dal reato. La confisca del denaro che costituisce il prezzo o il profitto del reato è diretta se vi è la prova del nesso di derivazione del denaro dal reato. L’estensione della nozione di profitto, e, quindi, la possibilità di disporre la confisca diretta del “provento” del reato (surrogati, utilità mediate, reimpieghi) non esime, come anche nel caso di abiezione del prezzo del reato, dalla prova del nesso di derivazione della res dal reato. La confisca, anche diretta, del profitto o del prezzo ha carattere punitivo solo quando eccede il valore del vantaggio economico che l’autore ha tratto dal reato. La confisca per equivalente del prezzo e del profitto costituisce una modalità di apprensione dei beni alternativa a quella diretta, assolve ad una funzione ripristinatoria, ha una componente sanzionatoria e può solo eventualmente assumere carattere punitivo, nel senso in precedenza indicato ‘ .
3.1 Così ricostruiti i principi dettati dalla pronuncia delle Sezioni Unite COGNOME deve certamente essere escluso che le affermazioni secondo cui la confisca deve essere disposta nei confronti di ciascun concorrente limitatamente a quanto dal medesimo conseguito, e cioè nei limiti della quota di arricchimento, possano estendersi anche al l’ipotesi della confisca del prodotto del reato prevista dall’art. 648quater cod. pen. e ciò perché, con evidenza, le Sezioni Unite in tale recente pronuncia hanno ragionato in termini esclusivi di prezzo e profitto del reato, tali essendo gli unici param etri dettati dall’art. 322 -ter cod. pen. in tema di confisca diretta e per equivalente nei reati contro la pubblica amministrazione.
Anche sotto tale profilo, pertanto, le doglianze si rilevano infondate non ravvisandosi alcun conflitto della decisione del G.U.P. di confiscare l’intero ammontare delle operazioni di riciclaggio con i principi stabiliti dalle Sezioni Unite.
3.2 Del resto non può che rimarcarsi come essenzialmente differenti siano i parametri di riferimento dell’art. 648 -quater cod. pen. rispe tto a quelli dell’art. 322-t er cod. pen.; con la previsione della confiscabilità del prodotto del reato di riciclaggio appare evidente come il legislatore abbia inteso dare applicazione a quelle istanze dirette a chiarire che qualsiasi oggetto proveniente dal reato deve essere sottratto alla circolazione ed alla immissione nel circuito economico legale in quanto capace di alterarne il regolare funzionamento. Il reato di riciclaggio è fattispecie che protegge l’ordine pubblico economico e mira ad impedire la circolazione di beni conseguiti a seguito di precedenti operazioni di trasformazione o sostituzione nel libero mercato sicché l’interesse punitivo impone la eliminazione
del frutto dell’operazione di sostituzione o trasformazione dal circuito economico e tale eliminazione può realizzarsi soltanto mediante la confisca del ‘prodotto’ del reato e cioè del frutto delle operazioni di sostituzione o trasformazione del bene di origine illecita. Tale nozione risulta ripetutamente affermata dalla Corte di cassazione in quelle pronunce secondo cui i beni giuridici tutelati dalla suddetta norma di cui all’art. 648 -bis cod. pen. sono sia l’ordine pubblico economico, violato a seguito della circolazione dei beni di origine illecita immessi sul mercato, sia il patrimonio individuale, anch’esso aggredito da attività che rendono viepiù difficile l’individuazione della destinazione della res furtiva (Sez. 2, n. 57805 del 07/12/2018, NOME COGNOME Rv. 274490 -01 in motivazione; ed anche con riferimento alle condotte punibili Sez. 2, n. 47088 del 14/10/2003, Di Capua, Rv. 227731 -01; Sez. 2, n. 2818 del 12/01/2006, COGNOME, Rv. 232869 -01; Sez. 6, n. 16980 del 18/12/2007, COGNOME, Rv. 239844 -01; Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, COGNOME, Rv. 271530 -01). Una recente pronuncia di questa Sezione Seconda ha ulteriormente approfondito il tema anche con riguardo alle recenti modifiche normative; si è così ritenuto che:’ Va rimarcato che a seguito della modifica normativa introdotta con l’art. 23 L. 55/1990 è stato ampliato il novero delle condotte di ripulitura concretamente sanzionabili, fino ad includervi tutte le operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro o altra utilità (Sez. 2, n. 17771 del 11/04/2014, COGNOME, Rv. 259581 -01).
3.3 La fattispecie si caratterizza, infatti, come reato a forma libera comprensivo non solo di comportamenti che alterano gli elementi caratteristici e identificativi del bene proveniente da delitto, ma di ogni altra azione che sia in grado di impedire la riconducibilità del bene al delitto. La seconda parte dell’art. 648bis cod. pen. recita infatti “ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”, così che appare chiaro che, attraverso la nuova formulazione della norma, il legislatore ha inteso perseguire un ampio spettro di condotte inclusivo di tutte quelle attività dirette a neutralizzare a o comunque ad intralciare l’accertamento dell’origine illecita dei proventi ricavati da attività delittuose. All’esito della modifica normativa, deve quindi ritenersi che oggetto della tutela giuridica del riciclaggio, è non solo il patrimonio ma anche l’amministrazione della giustizia e l’ordine economico che verrebbe ad essere inquinato e destabilizzato attraverso qualsiasi operazione di riciclaggio (Sez. 2, n. 17473 del 27/02/2024, COGNOME, non mass.).
Una siffatta nozione del reato di riciclaggio, del bene giuridico protetto e, conseguentemente, del prodotto oggetto di possibile confisca ex art. 648quater
cod. pen., risulta recepita da numerose sentenze della Corte di legittimità; in termini analoghi a quanto ricostruito ed affermato nella presente pronuncia si è stabilito recentemente che in tema di confisca per equivalente conseguente al reato di riciclaggio, il provvedimento ablatorio deve essere disposto per il valore corrispondente alle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, anche se non corrispondenti all’utilità economica tratta dal riciclatore e non appartenenti a quest’ultimo (Sez. 5, n. 32176 del 08/05/2024, Bianchi, Rv. 286816 -01). Sempre negli stessi termini, precedentemente, si era affermato che costituiscono prodotto dei reati di riciclaggio, di reimpiego e di autoriciclaggio non solo i beni oggetto di trasformazione per effetto della condotta illecita, che, in quanto tali, presentano caratteristiche identificative alterate, modificate o manipolate, ma anche i beni e i valori che, pur non avendo subito modificazioni materiali, risultano diversamente attribuiti in termini di titolarità ed ai fini delle regole di circolazione, per effetto di operazioni negoziali (Sez. 2, n. 18184 del 28/02/2024, B., Rv. 286323 -02) ovvero che, in tema di confisca per equivalente, il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, posto che, in assenza di tali operazioni, esse sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente, essendo provento del delitto presupposto (Sez. 2, n. 10218 del 23/01/2024, Meliota, Rv. 286131 -01); in tale ultima pronuncia, la Corte ha precisato che il denaro, i beni o le altre utilità trasferite ovvero manipolate in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa si prestano ad essere qualificate, comunque, come prodotto del reato, rappresentando il risultato empirico dell’attività illecita in cui si sostanzia la fattispecie, in quanto tale assoggettabile a vincolo ex art. 648quater , commi primo e secondo, cod. pen. Proprio in tema di individuazio ne dell’oggetto confiscabile nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti si era già affermata una nozione estensiva di profitto stabilendosi che in tema di confisca per equivalente, il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, poiché, in assenza di tali operazioni, esse sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente, essendo provento del delitto presupposto (Sez. 2, n. 7503 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282957 -01); la suddetta pronuncia in motivazione precisa come:’ Deve ritenersi, quindi, che nel caso del riciclaggio il profitto coincide con il denaro derivante dal reato presupposto, quindi con la ricchezza illecitamente conseguita dal reato presupposto e non importa se, poi, il soggetto condannato per riciclaggio abbia goduto di questa somma solo in minima
parte: il valore del profitto del primo reato, dunque, si identifica col valore del secondo, cioè del riciclaggio ‘ .
3.4 Alla luce delle predette considerazioni deve, pertanto, affermarsi che l’opzione secondo la quale anche in caso di riciclaggio sarebbe confiscabile soltanto il profitto del reato e cioè quanto ricevuto dal riciclatore a titolo di compenso per le operazioni di sostituzione o trasformazione, porterebbe alla conclusione del tutto irragionevole ed in contrasto con le fonti nazionali ed internazionali, di lasciare liberamente circolare il prodotto del reato; e tale conclusione sarebbe evidentemente in conflitto con l’individuazione del bene giuridico tutelato dalle fattispecie previste dagli artt. 648bis , 648ter e 648ter.1 cod. pen. nell’ordine pubblico economico come sopra delineato e cioè nell’interesse fondamentale a non vedere turbato il libero mercato dalla circolazione di beni di origine delittuosa, oltre che, con l’interpretazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite e delle sezioni semplici richiamate sul tema della individuazione del prodotto del reato.
L’opzione si rileva infondata anche nel caso co ncreto e ciò perché nelle ipotesi in esame, accertato che i tre imputati sono stati coinvolti in massicce operazioni di riciclaggio, il denaro successivamente transitato nei conti correnti per effetto delle operazioni incriminate non sarebbe confiscabile con ovvia lesione del bene giuridico protetto dagli artt. 648bis e 648quater cod. pen.
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, i motivi di gravame con i quali è stata dedotta l’illegittimità della confisca perché estesa oltre il profitto conseg uito da ciascuno dei ricorrenti sono infondati avendo correttamente il giudice proceduto alla confisca dell’intero compendio oggetto delle operazioni di sostituzione e trasformazione.
4. Quanto alla doglianza avanzata dallo COGNOME nel primo motivo, e con la quale si lamenta l’avvenuta ablazione anche di beni della coniuge COGNOME la stessa appare avanzata in difetto di interesse; con distinte pronunce si è affermato il principio secondo cui l’imputato non ha interesse ad impugnare provvedimenti ablatori di sequestro o confisca deducendo l’appartenenza dei beni non a se stesso bensì a terzi, essendo solo questi ultimi i legittimati ad avanzare le necessarie istanze all’autorità giudiziaria. In particolare , si è affermato come (Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, NOME, Rv. 270209 -02) è inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto avverso la confisca di un bene da parte dell’imputato del reato in riferimento al quale la confisca viene disposta, che non sia titolare o gestore del bene stesso; analogamente in tema cautelare si è disposto che (Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Angeli, Rv. 277753 -04) l’indagato è legittimato ad impugnare il provvedimento che disponga una misura cautelare reale ovvero che ne confermi l’applicazione solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale
all’impugnazione stessa, che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro.
L’applicazione dei sopra esposti principi comporta affermare che lo COGNOME non può nel presente procedimento dolersi della confisca disposta su beni immobili anche per la quota del 50% che assume essere di pertinenza della coniuge in comunione di beni, potendo solo la stessa proporre le necessarie istanze a tutela del diritto di proprietà.
4.1 La predetta soluzione non contrasta con la questione recentemente rimessa alle Sezioni Unite avente ad oggetto:’ se l’indagato sia legittimato a proporre istanza di riesame del provvedimento di sequestro preventivo anche quando non abbia diritto alla restituz ione del bene’ e ciò per un duplice ordine di ragioni; innanzi tutto, infatti, la questione rimessa alle Sezioni Unite ed attualmente pendente ha ad oggetto la fase cautelare reale riguardando l’impugnazione di provvedimenti di sequestro, e trova un suo ri ferimento in una precisa disposizione normativa, l’art. 322 cod. proc. pen., che testualmente legittima la proposizione dell’impugnazione cautelare reale da parte dell’interessato alla restituzione; norma questa che non trova corrispondenza in previsioni r iferite alla fase di cognizione in cui l’impugnazione può essere proposta soltanto dall’imputato.
4.2 Inoltre, nel caso di specie, lo COGNOME ha chiesto la revoca della confisca nella misura del 50% con restituzione dei beni non a sé stesso bensì alla moglie e cioè ad un terzo che non ha partecipato al procedimento e che, come già anticipato, ha diritto di adire personalmente le vie legali per ottenerne la restituzione, così che la sua posizione è essenzialmente differente da quella del terzo che reclama la possibilità di proporre impugnazione per ottenere la restituzione a sé stesso di un bene sequestrato.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il primo motivo del ricorso COGNOME è inammissibile.
Fondati sono invece i motivi con i quali i ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha disposto la confisca di somme ‘ anche se conseguite in tempo successivo rispetto alla definitività della sentenza ‘. Con più pronunce questa Corte di legittimità ha escluso la possibilità di disporre la confisca dei beni futuri; si è in particolare affermato come la confisca per equivalente, stante la sua natura sanzionatoria, non può riguardare beni pervenuti nella disponibilità del condannato dopo l’irrevocabilità del provvedimento ed in tale pronuncia la Corte ha sottolineato la differenza con il sequestro funzionale alla confisca per equivalente che, pur avendo la medesima natura sanzionatoria, può avere ad oggetto anche beni futuri trattandosi di misura cautelare diretta a
consentire alla confisca di operare (Sez. 5, n. 33091 del 14/06/2024, COGNOME, Rv. 286804 -01). Analoga affermazione si rinviene in quella pronuncia (Sez. 3, n. 37454 del 25/05/2017, Sardagna, Rv. 271166 -01) che in motivazione precisa come ‘se è certam ente necessario che la confisca riguardi solo beni esistenti al momento della sua adozione, non così per il sequestro, che è misura cautelare diretta a consentire alla confisca di potere operare, e che può invece, proprio per tal ragione, riguardare anche beni che vengano ad esistenza successivamente al sequestro stesso e sino al momento di adozione della confisca’. In termini sostanzialmente analoghi pur riferiti alla fase cautelare si è affermato (Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, COGNOME, Rv. 265844 -01) come il sequestro funzionale alla confisca “per equivalente” ha natura sanzionatoria, sicché non sono sottoponibili a tale vincolo i beni futuri, non individuati né individuabili, ma solo quelli che già esistono nella sfera di disponibilità dell’imputato.
5.1 Questo Collegio condivide tale ultimo orientamento e va, dunque, ribadito che occorra distinguere fra confisca per equivalente e correlato sequestro, in ordine al tema in esame, dovendosi affermare che la confisca può riguardare solo beni esistenti al momento della sua adozione definitiva, mentre può non accadere così per il sequestro, che è misura cautelare diretta a consentire alla confisca di potere operare, e che può quindi, proprio per tal ragione, riguardare anche beni che vengano ad esistenza successivamente al sequestro stesso e sino al momento di adozione della confisca (negli stessi termini, Sez. 3, n. 36369 del 01/07/2021, Tavola, non mass.).
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, l’impugnata sentenza deve essere annullata limitatamente alla confisca dei beni futuri e cioè alla previsione secondo cui sono oggetto di confisca le somme anche se conseguite in tempo successivo rispetto alla definitività della sentenza.
5.2 Va precisato al proposito che il divieto di confisca riguarda sia eventuali somme che beni pervenuti nella disponibilità degli imputati successivamente l’irrevocabilità della presente pronuncia; per tali devono intendersi soltanto quei cespiti, di qualunque tipo come in precedenza precisato, che sopravvengono nel patrimonio di ciascuno degli imputati in data successiva la pronuncia della presente pronuncia e non anche, invece, eventuali beni preesistenti ma solo individuati dopo la pronuncia. A tale ultima categoria di beni, infatti, non si attaglia la definizione di beni futuri bensì quella di beni successivamente individuati che, in quanto preesistenti, rientrano nella misura di sicurezza.
Sebbene il ricorso avanzato nell’interesse di COGNOME NOME non contenga motivi specifici in ordine alla confisca dei beni futuri l’annullamento va disposto anche nei confronti della medesima; ed invero pur non potendo farsi applicazione
dell’effetto estintivo dell’impugnazione proposta da COGNOME e COGNOME perché trattasi di soggetti non concorrenti nel reato di cui al capo H) contestato a COGNOME, presupposto indefettibile per affermare la possibile applicazione della disciplina dettata dall’art. 587 cod. proc. pen. come ricavabile oltre che dal testo della norma anche dalla interpretazione giurisprudenziale sul punto (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, Aguneche, Rv. 236756 -01), la misura disposta nei confronti della stessa va annullata perché illegale.
6.1 La nozione di illegalità della sanzione inflitta, risulta elaborata da un primo intervento delle Sezioni Unite, chiamata a pronunciarsi a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale delle pene previste dalla normativa in materia di sostanze stupefacenti; secondo questo primo intervento quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non è stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l’applicazione di norme più favorevoli eventualmente “medio tempore” approvate dal legislatore (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697 -01). Si affermava così una nozione di illegalità della sanzione idonea a travolgere anche il giudicato e conseguentemente prevalente sulla eventuale inammissibilità od assenza dei motivi di ricorso sul punto; il principio, in questi termini, veniva ripreso da altra pronuncia del massimo consesso secondo cui l’illegalità della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d’ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera, Rv. 265108 -01).
6.2 A partire da tali interventi la giurisprudenza di legittimità ha esteso il concetto di illegalità anche alla misura di sicurezza disposta con la sentenza di condanna o patteggiamento, con affermazione del tutto condivisibile; si è così affermato che in caso di impugnazione della sentenza di patteggiamento, l’illegalità della misura di sicurezza concordata tra le parti determina l’annullamento senza rinvio della sentenza in quanto il vizio rilevato rende invalido intero accordo (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279348 -05); e si è attestato un orientamento secondo cui nel giudizio di cassazione,
l’illegalità della pena e della misura di sicurezza è rilevabile d’ufficio anche nel caso in cui il ricorso sia inammissibile, salvo che nell’ipotesi di tardività del ricorso (Sez. 6, n. 12531 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 275884 -01), qualificandosi tale statuizione dipendente da una previsione ab origine contraria all’assetto normativo vigente al momento consumativo del reato, ritenuta rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione.
6.3 Il principio affermato nei termini sopra indicati va esteso anche alla confisca dei beni futuri trattandosi di misura di sicurezza illegale per le ragioni esposte al punto precedente della presente motivazione. Ed invero, se come già esposto la confisca può riguardare soltanto beni esistenti nel patrimonio dell’imputato al momento della definitività della pronuncia, la disposizione del giudice che preveda l’ablazione di somme e/o beni pervenuti successivamente va qualificata contra legem e pertanto rilevabile nel giudizio di cassazione anche di ufficio a condizione che il ricorso sia stato tempestivamente depositato, indipendentemente dalla proposizione di specifico motivo di doglianza.
Conseguentemente l’annullamento della confisca delle somme sopravvenu te alla definitività della presente sentenza va disposto anche nei confronti della COGNOME RitaCOGNOME
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME limitatamente alla confisca delle somme conseguite in tempo successivo la definitività della pronuncia. Rigetta nel resto i ricorsi.
Roma, 3 giugno 2025