Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10871 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10871 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/03/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 42993/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Busto Arsizio il 03/04/1978 COGNOME NOME nata a Gallarate il 07/10/1978
avverso la sentenza del 30/09/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza limitatamente alla confisca, con rinvio per nuovo esame;
ricorso trattato in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1bis , cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano con sentenza del 30/09/2024, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio in data 06/04/2023, che aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati loro ascritti, assolveva il COGNOME dal reato di cui al capo C), limitatamente alle condotte aventi quale reato presupposto quello di cui al capo R), dichiarava non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati in ordine ad una serie di reati perchØ estinti per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 648bis cod. pen., nonchØ mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Evidenzia che, a fronte delle numerose ed articolate censure, la Corte territoriale ha reso una motivazione del tutto carente, che ha ignorato le doglianze difensive; che, in particolare, la difesa aveva dedotto che nel caso di specie non ricorrono gli estremi per poter ritenere il concorso – pur astrattamente ipotizzabile – tra frode fiscale e riciclaggio; che, invero, manca l’individuazione della ‘entrata’ che determina l’arricchimento patrimoniale, atteso che le condotte di frode fiscale determinano un risparmio fiscale (nell’ipotesi di frode per evasione) ovvero un potenziale
arricchimento futuro, sub specie di indebito rimborso (nell’ipotesi di frode per rimborso), ma comunque non un arricchimento concreto; che detto tema, pur sollecitato dalla difesa, Ł stato omesso dai giudici di appello; che, inoltre, la Corte territoriale nemmeno ha affrontato il problema della successione temporale del pactum sceleris in ordine al reato presupposto e le successive operazioni finalizzate ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle utilità da questo derivanti, tenuto conto che trattasi di circostanza rilevante ai fini del concorso nel reato presupposto, che escluderebbe il riciclaggio; che non Ł sufficiente affermare che alcuni soggetti che nel tempo hanno consegnato al COGNOME somme di denaro siano poi stati ritenuti responsabili di frode fiscale, essendo invece necessario individuare con sufficiente certezza quali rimesse di denaro siano provento del delitto presupposto; che il ragionamento probatorio svolto dai giudici di secondo grado per escludere il concorso del ricorrente nei reati di indebita compensazione di cui ai capi M) ed O) Ł semplificatorio, tenuto conto che la sentenza si limita ad affermare che per poter compensare importi superiori ai quindicimila euro Ł necessaria l’apposizione di un visto di conformità da parte di un professionista abilitato, ignorando che era il COGNOME a trasmettere i dati all’agenzia delle entrate; che, invero, l’imputato ha avuto un ruolo centrale nella predisposizione della documentazione e delle dichiarazioni, talora anche in relazione all’invio dei moduli all’agenzia delle entrate, circostanze queste che depongono per il concorso nell’operazione di frode fiscale o comunque per la configurabilità dell’ipotesi autonoma di cui all’art. 8 del D.lgs. n. 74 del 2000, in luogo del riciclaggio; che le ammissioni del COGNOME in sede di interrogatorio non valgono a supportare il ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale, atteso che il ricorrente si Ł limitato a confessare di essere ideatore ed esecutore del meccanismo di frode fiscale, di talchŁ la circostanze per cui abbia utilizzato il termine ‘riciclaggio’ sta a significare unicamente che ha confermato la ricostruzione fattuale ascrittagli; che, in conclusione, la motivazione Ł meramente apparente, avendo il provvedimento impugnato eluso tutti gli elementi evidenziati dalla difesa, che depongono nel senso che il COGNOME Ł stato l’organizzatore delle varie operazioni di frode fiscale compiute dai legali rappresentanti delle società coinvolte e che ciò ha fatto sfruttando le proprie competenze professionali.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 578bis cod. proc. pen., nonchØ mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Rileva che la Corte territoriale, dopo aver dichiarato l’estinzione dei reati fiscali di cui ai capi K), R), U), W) e X) per intervenuta prescrizione, ha confermato le statuizioni in materia di confisca ai sensi dell’art. 12bis D.lgs. n. 74/2000, sulla base dell’assunto per cui nessuno specifico motivo di impugnazione era stato articolato sul punto; che, invece, tenuto conto della natura sanzionatoria della confisca in discorso, l’impugnazione era stata implicitamente estesa anche alle pene accessorie, avendo la difesa impugnato nel merito tutti i capi della sentenza K), R), U), W) e X), ai quali la confisca era direttamente correlata, venendo così assorbito il motivo relativo alla pena accessoria nei motivi principali, di talchŁ la cognizione del giudice di appello avrebbe dovuto estendersi anche alla misura ablatoria; che, dunque, la motivazione della sentenza impugnata risulta carente anche in relazione alla sanzione accessoria, avendo trascurato di accertare la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati, sui quali la difesa si era profusa nei motivi di appello relativi ai capi penali della sentenza ai quali le disposizioni in materia di confisca erano direttamente correlate; che, invece, la Corte territoriale si Ł limitata ad affermare l’assenza di elementi che rendano evidenti cause di assoluzione o di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., senza soffermarsi sui motivi per i quali la prospettazione difensiva non potesse trovare accoglienza; che di conseguenza risulta violato il dettato dell’art. 578bis cod. proc. pen., atteso che la conferma della confisca nei giudizi di impugnazione richiede – sempre ed indipendentemente dal grado di giudizio nel quale sia stata dichiarata l’estinzione del reato per
prescrizione – l’accertamento della responsabilità dell’imputato.
2.3. Con il terzo motivo si duole della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 648quater cod. pen., nonchØ mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Osserva che la sentenza impugnata Ł manifestamente illogica nella parte in cui ritiene che il profitto dei reati di riciclaggio e di reimpiego di denaro sia costituito dall’intero valore delle somme oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare la provenienza delittuosa; che, se così fosse, gli importi relativi ai reati fiscali di cui ai capi M), N), O), P) e Q), presupposto del riciclaggio, corrisponderebbero agli importi versati sui conti del COGNOME e della COGNOME, oggetto di confisca, ma che così non Ł; che da ciò discende inequivocabilmente la mancanza di prova circa la sicura provenienza illecita di tutti gli importi versati sui conti del COGNOME e, quindi, l’impossibilità di disporre la confisca delle somme accreditate sui conti del COGNOME e ritenute il prodotto del reato di riciclaggio; che non Ł condivisibile l’orientamento giurisprudenziale seguito dai giudici dell’appello, atteso che, non essendo ipotizzabile il concorso del riciclatore nel reato presupposto, la confisca non può essere disposta per un importo superiore al provento del reato confiscato; che, in altri termini, non può essere estesa all’autore del riciclaggio l’intera confisca che sarebbe applicabile all’autore del reato presupposto, atteso che ciò comporterebbe di fatto l’estensione all’autore del riciclaggio di una confisca ipoteticamente gravante su un soggetto non concorrente, ossia, l’autore del reato presupposto; che, se il principio della solidarietà Ł stato escluso dalle Sezioni Unite all’udienza del 26/09/2024, ric. COGNOME (RG 31775/23) in relazione alle ipotesi di concorso nel reato, a maggior ragione deve essere escluso nel caso in cui il concorso non sussista e che detto presupposto sia la precondizione per rispondere del delitto derivato; che la confisca, anche qualora sia disposta per equivalente, non può superare l’entità del complessivo profitto, non essendo possibile nessuna duplicazione.
3. NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
3.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 648bis cod. pen., nonchØ contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Rileva che nella sentenza impugnata viene prospettato uno schema di frode fiscale nell’ambito del quale sia la COGNOME (quale dipendente della RAGIONE_SOCIALE ) che il COGNOME (quale rappresentante legale di tale società) rivestivano il ruolo di emittenti le fatture per operazioni inesistenti; che, dunque, dette condotte escludono la configurabilità del riciclaggio, atteso che sono riconducibili piuttosto allo schema operativo della frode fiscale; che, invero, non si tratta di operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza illecita delle somme, ma di azioni finalizzate a dare una parvenza di liceità all’emissione ed al conseguente utilizzo di fatture per operazioni inesistenti; che, in definitiva, la Mistro concorre nel reato presupposto, per cui non può rispondere di riciclaggio in contestazione; che, peraltro, non vi Ł prova che il denaro transitato sui conti correnti intestati agli odierni ricorrenti avesse provenienza illecita o che, comunque, fosse collegato ai reati presupposti ipotizzati; che il fatto che tali somme siano state utilizzate per la commissione del reato di cui all’art. 8 D.lgs. n. 74/2000, mai contestato, esclude che le stesse possano essere considerate provento di tale reato, tenuto conto che, nel momento del versamento, l’illecito vantaggio fiscale non si era ancora concretizzato; che, in ogni caso, i reati presupposto di cui ai capi M), N), O), P) e Q), riguardando illeciti fiscali riferibili alla RAGIONE_SOCIALE , comprovano l’estraneità dell’imputata, atteso che sul suo conto corrente non Ł mai stato versato denaro proveniente da tale società, nØ ciò Ł mai stato contestato; che, dunque, solo la RAGIONE_SOCIALE (capo R) e NOME COGNOME (capo S) sono imputati quali soggetti a cui sarebbero riferibili i reati presupposto il cui profitto sarebbe stato riciclato dalla COGNOME, mentre nulla viene contestato con riferimento alla Top Level o ad eventuali operazioni alla stessa riferibili, che avrebbero generato profitti; che, anche
sotto il profilo dell’elemento soggettivo, il dolo in capo all’odierna ricorrente Ł stato ritenuto sulla scorta dei meri legami personali e professionali con il marito NOME COGNOME senza l’indicazione di elementi probatori autonomi e concreti che dimostrino la consapevolezza della Mistro in ordine alla provenienza illecita delle somme accreditate sui conti correnti a lei riferibili. La difesa ribadisce che, in ogni caso, non Ł configurabile nel caso di specie il reato di riciclaggio, atteso che – se anche le false fatture venivano predisposte dai clienti della società del Bellini che erano interessati all’utilizzo – la condotta illecita tenuta dagli odierni imputati (consentire il versamento delle somme di denaro sui propri conti correnti, cui seguiva il prelievo delle stesse e la restituzione a detti clienti, previa detrazione della ‘commissione’ spettante ai ricorrenti) sarebbe riconducibile allo schema operativo dell’emissione-utilizzo di fatture per operazioni inesistenti; che, in secondo luogo, la Corte territoriale ha obliterato il tema della provenienza illecita del denaro, non avendo dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che i versamenti in questione, pur provenendo da società che esercitavano attività lecita, fossero provento di reati fiscali, genericamente indicati; che, comunque, tali reati presupposto avrebbero generato un risparmio di spesa in capo a ciascuna delle suddette società, vale a dire un vantaggio che, da un lato, si Ł confuso con le disponibilità lecite degli enti e, dall’altro, Ł maturato ontologicamente in seno al patrimonio sociale degli stessi; che, anche ammettendo che nei conti correnti della ricorrente sia confluito detto vantaggio illecito, esso Ł rimasto sempre ed ab origine tracciabile, per cui alcuna dissimulazione Ł stata posta in essere.
3.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 648quater cod. pen., nonchØ contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Osserva che anche la disposta confisca presenta profili evidenti di illegittimità, atteso che ha riguardato l’intero importo movimentato sui conti correnti, non tenendo conto che solo una minima parte delle somme transitate sui conti costituisce il profitto del reato di riciclaggio, corrispondente al compenso trattenuto dai ricorrenti; che, nel caso in esame, i giudici di merito sono ricorsi alla confisca di valore, che ha natura sanzionatoria, posto che viene eluso il nesso pertinenziale tra il bene confiscato ed il reato, di talchŁ può essere disposta solo con riferimento al vantaggio patrimoniale che ha effettivamente conseguito il riciclatore e non anche in relazione all’intero ammontare delle somme ripulite e ciò anche alla luce del principio di proporzionalità; che, inoltre, l’inclusione delle somme provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE nell’oggetto della confisca rappresenta un ulteriore vizio, dato che tali flussi non sono riconducibili a reati presupposto oggetto di contestazione o, comunque, accertati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi – che possono essere trattati congiuntamente, in considerazione della sovrapponibilità dei motivi, che sviluppano le medesime considerazioni – sono inammissibili per le ragioni che seguono.
1.1. Il primo motivo di entrambi i ricorsi, relativo alla configurabilità del reato di cui all’art. 648bis cod. pen., non Ł consentito perchØ, per un verso, si limita a reiterare le doglianze avanzate nel giudizio di secondo grado, affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale, dall’altro non si misura con la motivazione del provvedimento impugnato. In particolare, la Corte di merito ha dato ampiamente conto dei motivi per i quali ha ritenuto che nel caso di specie sia configurato il reato di riciclaggio contestato al capo C), avendo escluso il concorso degli odierni ricorrenti nei reati fiscali presupposto; che tanto ha desunto innanzitutto dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dallo stesso COGNOME, che, i ) con riferimento alle indebite compensazioni di cui ai capi M) ed O), ha negato di aver effettuato le compensazioni per i clienti, precisando, altresì, di non esser neppure legittimato ad effettuare le asseverazioni necessarie per operare dette compensazioni, ii ) con riferimento al reato presupposto di cui al capo S), ha escluso di aver predisposto le false fatture, iii ) con riferimento ai reati di cui ai capi N) e Q), ha rilevato che dagli atti emerge come il COGNOME fosse
solo incaricato di tenere la contabilità per la RAGIONE_SOCIALE e non anche delegato ad effettuare i versamenti delle ritenute previdenziali, iv ) con riferimento al reato di cui al capo P), ha evidenziato che non emergono dagli atti elementi che possano anche solo far ipotizzare il concorso del ricorrente nell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2012 da parte del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE; che, in generale, dal complessivo esame degli atti, non emerge che l’accordo tra il COGNOME e i legali rappresentanti delle società che hanno commesso i reati fiscali avente ad oggetto al ripulitura del profitto di tali reati fosse antecedente alla loro commissione, tenuto conto che sul punto non vi Ł nessuna dichiarazione in tal senso nØ dell’imputato, nØ dei suoi clienti.
Con specifico riguardo alla posizione della COGNOME, la Corte di appello ha utilizzato la chiamata in correità operata dal COGNOME, riscontrata dalle condotte materiali poste in essere dalla ricorrente, che ha fatto transitare le somme di denaro di provenienza illecita sul proprio conto corrente, provvedendo poi ad effettuare prelievi di denaro contante e, in relazione all’elemento soggettivo, vale a dire alla consapevolezza della provenienza di quelle somme di denaro dai reati fiscali, ha valorizzato la stessa tesi difensiva, secondo la quale l’imputata avrebbe concorso in detti reati con i clienti che si rivolgevano all’agenzia presso la quale prestava la propria opera.
Con tale apparato argomentativo entrambi i difensori si misurano solo in apparenza.
Orbene, risulta di chiara evidenza che, se il ricorso si limita, come nel caso oggetto di scrutinio, a riprodurre il motivo di appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale Ł previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, Ł di fatto del tutto ignorato.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, Ł inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (cfr., Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849 – 01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945 – 01).
1.2. Il secondo motivo del ricorso COGNOME Ł inammissibile.
Rileva il Collegio che la Corte territoriale aveva ritenuto non essere stata oggetto di specifica impugnazione la statuizione del giudice di primo grado relativa alla confisca ex art. 12bis , comma 1, D.lgs. n. 74/2000 (pag. 5 della sentenza); che il ricorrente sostiene, invece, che l’impugnazione era stata implicitamente estesa anche alle pene accessorie; che, anche a voler seguire l’assunto difensivo, il motivo di appello ‘implicito’ non potrebbe non esser giudicato generico, non risultando esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici, rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata.
Sul punto, va evidenziato che la giurisprudenza di legittimità, con un orientamento, cui il Collegio intende dar seguito, ritiene inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (cfr., Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306 – 01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 01).
In altri termini, il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poichØ i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice
dell’impugnazione non abbia in concreto pronunciato tale sanzione (cfr., Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01; Sez. 6, n. 20522 del 08/03/2022, COGNOME, Rv. 283268 – 01). Del resto, non avrebbe senso l’annullamento della sentenza di appello con rinvio al giudice di secondo grado a causa dell’omesso esame di un motivo di gravame, che in sede di rinvio per il suo esame sarebbe comunque destinato alla declaratoria di inammissibilità.
1.3. Anche il terzo motivo del ricorso del COGNOME, sovrapponibile al secondo motivo del ricorso della COGNOME, entrambi relativi alla nozione di profitto sottoponibile a confisca, non sono consentiti, perchØ reiterano pedissequamente doglianze già avanzate in appello, alle quali la Corte territoriale ha fornito risposta esaustiva e congrua, in linea con la piø recente giurisprudenza di legittimità.
Sul punto, il Collegio intende dare continuità a quell’orientamento secondo il quale, in tema di confisca ex art. 648quater cod. pen., Ł suscettibile di ablazione non solo il profitto del reato, ma anche il prodotto di esso, prevedendo la normativa sovranazionale la necessità di sottrarre alla criminalità i risultati dell’attività illecita, che non si esauriscono nei soli vantaggi derivati, in via diretta o mediata, dai delitti presupposti, ma comprendono anche quanto forma oggetto delle successive fasi di reinvestimento o trasformazione degli anzidetti proventi (cfr., Sez. 2, n. 18184 del 28/02/2024, B., Rv. 286323 – 01; Sez. 2, n. 10218 del 23/01/2024, Meliota, Rv. 286131 – 01); con l’ulteriore precisazione che devono intendersi per prodotto del reato di autoriciclaggio non solo i beni oggetto di trasformazione per effetto della condotta illecita, che, in quanto tali, presentano caratteristiche identificative alterate, modificate o manipolate, ma anche i beni e i valori che, pur non avendo subito modificazioni materiali, risultano diversamente attribuiti in termini di titolarità ed ai fini delle regole di circolazione, per effetto di operazioni negoziali (Sez. 2, n. 18184 del 28/02/2024, B., Rv. 286323 02).
Tale conclusione Ł in linea con la giurisprudenza comunitaria e con la genesi dell’art. 648quater cod. pen., che affonda le radici nella normativa convenzionale ed eurounitaria, la quale individua nelle misure ablatorie e di definitiva sottrazione dei proventi delle forme piø gravi di criminalità uno strumento imprescindibile per prevenire dette manifestazioni delittuose. In particolare, il «quadro delle norme sovranazionali indica in modo espresso la necessità che la sottrazione alla criminalità dei risultati dell’attività delittuosa, specie ove attuata mediante strumenti di ‘ripulitura’, sia resa effettiva attraverso l’adozione delle misure di ablazione patrimoniali che devono avere ad oggetto non solo i vantaggi economici derivati, in via diretta o mediata, dai reati posti a monte rispetto all’attività di riciclaggio lato sensu , ma anche tutto ciò che formi oggetto della fasi successive di reinvestimento o trasformazione dei proventi della pregressa attività delittuosa.
In ragione di questa specifica direttiva legislativa sovranazionale, l’oggetto della confisca prevista in relazione ai delitti di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio dall’art. 648 quater cod. pen. deve essere interpretato come riferita ad un concetto piø ampio rispetto a quello tradizionalmente ricevuto nella nostra tradizione giuridica, per assicurare le finalità della direttiva» (Sez. 2, n. 18184/2024, cit.).
Orbene, lo «strumento interpretativo per assicurare coerenza tra la disciplina interna e i parametri europei va individuato nel comprendere il risultato dell’attività riciclatoria alla luce della nozione di ‘prodotto’ dei reati previsti dagli artt. 648 bis , 648 ter , 648 ter .1. cod. pen.», nei termini sopra specificati (Sez. 2, n. 18184/2024, cit.).
Dunque, correttamente la Corte di merito ha confermato la statuizione del primo giudice in relazione alla confisca delle intere somme oggetto di riciclaggio, costituendo le stesse il prodotto di detto reato.
Quanto, infine, alla ulteriore questione sollevata con il secondo motivo del ricorso Mistro con riferimento allo scomputo dal totale delle somme da confiscare di quelle provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE , rileva il Collegio che tale doglianza non Ł stata posta ai giudici di appello.
In proposito, va ricordato che la giurisprudenza di legittimità pacificamente ritiene che non possano essere dedotti con il ricorso per cassazione argomenti e questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perchØ non devolute alla sua cognizione ( ex plurimis , Sez. 2, n. 11027 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266226 – 01;Sez. 2, n. 42408 del 21/09/2012, COGNOME, Rv. 254037 – 01).
Nel caso di specie, come si Ł accennato, risulta che, con l’appello proposto, la Corte territoriale non Ł stata specificamente investita della questione relativa alla sottrazione alla confisca delle somme provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE , per cui detto tema non poteva essere introdotto per la prima volta con il ricorso per cassazione. Ed invero, Ł in gioco il rispetto dei principi che governano il sistema delle impugnazioni e in particolare di quello devolutivo, per cui la Corte di legittimità non può essere sollecitata, sostanzialmente in prima istanza, ad affrontare tale profilo se prima lo stesso non Ł stato sottoposto al giudice del merito. In buona sostanza, il tema di cui si discute, essendo stato proposto soltanto con il ricorso in cassazione, ha determinato una inammissibile interruzione della catena devolutiva, che non consente l’esame in questa sede della nuova doglianza.
All’inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 13/03/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME