Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43760 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43760 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 14/10/1972 avverso la sentenza del 21/11/2023 emessa dalla Corte di Appello di Milano visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udita l’Avvocatessa NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avvocato NOME
Della COGNOME, la quale chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Cassazione – con sentenza resa da Sez.2, n. 19561 del 12/4/2022, Rv. 283194 – annullava senza rinvio per intervenuta prescrizione la sentenza di condanna emessa in relazione al reato associativo e confermava la
condanna per il delitto di riciclaggio, disponendo l’annullamento con rinvio limitatamente alla determinazione della confisca, affermando il principio secondo cui, in tema di riciclaggio, la confisca per equivalente del profitto del reato è applicabile solo con riferimento al vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal “riciclatore” e non sull’intera somma provento del reato presupposto, poiché, non essendo ipotizzabile alcun concorso fra i responsabili di 4.4ve tali diversi, la misura ablativa non può essere disposta applicando il principio solida ristico.
1.1. In sede di rinvio, la Corte di appello di Milano rideterminava l’importo della confisca nella misura di €819.000. Tale profitto sarebbe conseguente all’operazione di vendita delle quote sociali della società immobiliare “RAGIONE_SOCIALE“, formalmente intestata a NOME COGNOME e NOME COGNOME i cui soci occulti erano NOME COGNOME e NOME COGNOME, che avrebbero finanziato la società con il provento di reati. È stato accertato che la società veniva ceduta per l’importo complessivo di €1.614.000; successivamente COGNOME provvedeva a trasferire agli originari investitori di capitali illeciti la somma di €795.000, in modo realizzando il reato di riciclaggio.
Sostiene la Corte di appello che il profitto oggetto di confisca doveva essere quantificato in €.819.000, pari alla differenza tra il prezzo di vendita della società e la somma restituita da COGNOME agli investitori dei capitali illeciti. Per giungere 2a tale risultato, la Corte escludeva qualsivoglia rilevanza in relazione 4dlell’importok -pari GLYPH i €1.595.000 pari al finanziamento soci che il ricorrente assume di aver effettuato in favore della società, sia dtile risorse che avrebbe investito nella società il padre del ricorrente, NOME COGNOME.
In particolare, in relazione al finanziamento asseritamente realizzato da NOME COGNOME si sostiene che non sarebbe dimostrato l’effettivo versamento della somma di €168.000 nelle casse della società “RAGIONE_SOCIALE“.
In ordine al finanziamento soci, invece, si sostiene che tale voce non sarebbe menzionata tra quelle che, secondo la sentenza rescindgte, dovevano essere considerate ai fini della determinazione del profitto; in ogni caso, non risultava l’effettivo versamento di tale importo in favore della società, né che il soggetto disponente fosse effettivamente NOME COGNOME
Nell’interesse del ricorrente è stato formulato un unico motivo di ricorso, per violazione di legge e vizio di motivazione, articolato in plurime censure concernenti le singole voci non computate ai fini della determinazione del profitto confiscabile, anche in relazione a quanto risultante da sentenze passate in giudicato e riferite agli aspetti ancora oggetto di giudizio.
La difesa del ricorrente premette che il giudice del rinvio non avrebbe tenuto conto delle statuizioni, contenute sia nella sentenza rescindente che in quella di merito nella parte confermata, rilevanti ai fini della decisione sulla confisca.
2.1. In primo luogo, si evidenzia che la Cassazione aveva già dato atto che il padre del ricorrente aveva partecipato con fondi propri e, quindi, di provenienza lecita, agli investimenti nella società La Palazzetta, sicchè risulterebbe immotivata l’omessa decurtazione dal profitto confiscabile della somma di €168.000. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere la documentazione prodotta inidonea a dimostrare il versamento di tale somma nel patrimonio societario, omettendo di considerare che la somma in oggetto era stata versata alla stipula del preliminare di vendita sottoscritto tra NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE con il qual il primo si impegnava ad acquistare l’immobile denominato “INDIRIZZO” per il prezzo complessivo di €1.680.000.
Con successivo contratto preliminare, le parti concordavano la promessa in vendita del suddetto immobile in favore della società “RAGIONE_SOCIALE” e, nella determinazione del prezzo, si dava atto dell’avvenuto versamento dell’importo di €168.000 da parte di NOME COGNOME.
La prova dell’effettivo versamento dell’acconto era, pertanto, desumibile dal preliminare e, del resto, tale fatto veniva riconosciuto nella sentenza irrevocabile resa in altro procedimento dal Tribunale di Milano n. 5649/2015 (dalla quale scaturiva il presente procedimento).
L’effettivo pagamento, inoltre, era stato riconosciuto anche dai giudici di merito nel presente procedimento, come si evidenzia nella sentenza di appello n. 3555/2020, non oggetto di annullamento sul punto.
2.2. In relazione all’ulteriore importo di €1.595.000, imputabile a titolo di “finanziamento soci”, il ricorrente deduce in primo luogo l’erroneità della affermazione secondo cui tale voce non era tra quelle che, in base alla sentenza rescindente, i giudici di merito avrebbero dovuto valutare ai fini della determinazione del profitto confiscabile.
Si sottolinea come la sentenza rescindente si è correttamente limitata a indicare il metodo di calcolo, secondo il principio di diritto affermato, rimettendo al giudice di merito l’individuazione delle singole voci da detrarre ai fin dell’individuazione del profitto del reato.
Nel merito, si richiamano gli accertamenti svolti nella sentenza del Tribunale di Milano n. 5649/2015, lì dove si dava atto che il finanziamento soci era stato effettivo e che, dall’intera operazione relativa alla immobiliare “RAGIONE_SOCIALE“, NOME COGNOME aveva subito una perdita economica stimabile in circa €700.000, il che escluderebbe la sussistenza di un profitto confiscabile.
Peraltro, la stessa sentenza di appello, successivamente annullata in ordine alla confisca, riconosceva la correttezza della ricostruzione compiuta dal Tribunale di Milano in ordine agli investimenti compiuti dal ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Occorre preliminarmente precisare che la Corte di appello non ha correttamente applicato il principio dettato con la sentenza rescindente, lì dove ritiene che il profitto del reato di riciclaggio dovesse essere accertato tenendo esclusivamente conto del denaro investito dal padre del ricorrente, nonché del differenziale tra la somma incassata per la vendita della società RAGIONE_SOCIALE e la somma resa agli investitori occulti (€795.000).
Invero, la Cassazione, dopo aver dichiarato di aderire al principio secondo cui il profitto deve essere valutato in relazione all’effettivo vantaggio patrimoniale conseguito dal riciclatore, ha demandato al giudice di merito un accertamento «in ordine alla reale e concreta entità del profitto di cui ha effettivamente goduto l’imputato», in tal modo indicando il parametro di giudizio, ma non limitando affatto la valutazione di merito a singole e specifiche voci.
Ulteriore considerazione preliminare è quella relativa ,all’onnessa valutazione dell’accertamento contenuto nella sentenza del Tribunale di Milano n. 5649/2015 che, sulla base dell’emersione dei fatti indicativi della commissione del reato di riciclaggio, disponeva la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, così dando avvio al procedimento oggetto del presente giudizio.
Il ricorrente rileva che la predetta sentenza conteneva un puntuale accertamento delle movimentazioni di denaro rilevanti ai fini della quantificazione del profitto del reato di riciclaggio; peraltro, tale sentenza era stata acquisita i questo procedimento e ampiamente utilizzata per la ricostruzione del fatto.
A fronte di tale acquisizione, i giudici di appello – in sede di rinvio – avrebbero dovuto valutare le risultanze probatorie acquisite in quel giudizio e motivare in ordine alle ragioni per cui erano addivenuti a diverse conclusioni.
La doglianza è fondata, posto che l’art. 238 bis cod. proc. pen. attribuisce una specifica rilevanza probatoria alle sentenze definitive rese in altro procedimento, sicchè la Corte di appello avrebbe dovuto confrontarsi con i risultanti probatori ivi raggiunti, sia pur al solo fine di discostarsene motivatamente.
Sulla base di tali premesse, può procedersi all’esame delle singole
contestazioni.
In ordine al versamento della somma di €168.000 da parte del padre dell’imputato, originario promissario acquirente dell’immobile denominato “INDIRIZZO“, successivamente confluita nella società utilizzata per il riciclaggio di denaro, il ricorso è fondato
La Corte di appello ha fondato la propria decisione unicamente sulle risultanze della consulenza di parte ritenute insufficienti a dimostrare l’effettivo versamento del denaro, in assenza dell’allegazione di alcuna contabile di pagamento o quietanza da parte del promissario venditore (in sentenza si dice “promissario acquirente” ma, stante il riferimento alla quietanza di pagamento, deve ritenersi si sia trattato di un mero errore materiale, vedi pg.6).
Invero, dalla lettura della sentenza di primo grado emessa in questo procedimento, risulta che sia stato prodotto il preliminare di compravendita nel quale le parti davano atto dell’avvenuto versamento dell’assegno di €168.000, atto che non risulta valutato dalla Corte di appello ai fini di stabilire se la dichiarazion contrattuale potesse o meno valere quale quietanza di pagamento. In caso positivo, la Corte di appello avrebbe dovuto vagliare nel merito la natura eventualmente simulata della quietanza di pagamento, anche considerando l’estraneità delle parti alle vicende illecite che hanno successivamente riguardato la società nel cui patrimonio è confluito l’immobile de quo.
Risulta fondata anche la doglianza relativa al vizio di motivazione circa la ritenuta insussistenza dell’effettività del “finanziamento soci” (per l’importo di €1.600.000) effettuato dal ricorrente al momento della cessione delle quote della società RAGIONE_SOCIALE
La Corte di appello motiva sostenendo che non risulterebbe dimostrato l’effettivo versamento di tale importo nelle casse sociali, né la riconducibilità di tal somme al ricorrente, posto che il bonifico era stato disposto su conto corrente cointestato.
Entrambe le affermazioni non sono dirimenti.
In merito all’effettiva esecuzione del “finanziamento soci”, la Corte di appello si limita a osservare la mancanza di prova circa l’effettivo incasso, senza tener conto dell’analitica ricostruzione della vicenda relativa alla cessione delle quote, così come contenuta nella sentenza resa dai Tribunale di Milano n. 5649/2015.
In tale sentenza, si precisa come la cessione delle quote non sarebbe potuta avvenire se non previo azzeramento dello scoperto di conto corrente della società; si ricostruiscono, pertanto, i vari passaggi che hanno portato al “finanziamento soci” da parte del ricorrente e, successivamente, al quanto meno parziale rimborso
ottenuto da parte dei nuovi soci (si veda pg.49-50 sentenza citata).
La vicenda societaria, pertanto, appare complessa e l’accertamento in ordine all’effettivo versamento del “finanziamento soci” è stata oggetto di una motivazione manifestamente illogica, nella misura in cui è mancato il confronto con i dati fattuali emersi in corso di giudizio.
In buona sostanza, la Corte di appello si è limitata a compiere una sorta di valutazione critica delle risultanze della consulenza di parte ma, in tal modo, non ha tenuto conto delle ulteriori acquisizioni probatorie emerse nel giudizio e di per sé potenzialmente dirimenti.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento con rinvio per nuovo giudizio, nell’ambito del quale la Corte di appello dovrà attenersi ai principi sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso il 27 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente