Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20327 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20327 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Foggia il 31/07/1994, avverso la sentenza del 07/11/2024 del G.U.P. del Tribunale di Foggia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso .
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 novembre 2024, il G.U.P. del Tribunale di Foggia applicava ad NOME COGNOME la pena concordata di anni 4, mesi 6 di reclusione e 18.000 euro di multa, in ordine al reato di cui agli art. 73-80 comma 2 del d.P.R. n. 309 del 1990 e , a lui contestato per avere detenuto illecitamente sostanze stupefacenti di tipo cocaina, marijuana e hashish, fatto accertato in Foggia il 27 novembre 2023.
Con la medesima sentenza, inoltre, veniva disposta dal giudice monocratico la confisca ‘di quanto in sequestro’, con ordine di distruzione dello stupefacente.
Avverso la sentenza del Tribunale pugliese, COGNOME tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa censura la statuizione della sentenza relativa alla confisca del denaro, osservando che le somme sequestrate, pari a complessivi 6.675 euro, non potevano qualificarsi provento dell’attività il lecita contestata, posto che il ricorrente lavora da circa 20 anni presso lo stabulario Consorzio pescatori di Goro, percependo un buon salario di circa 2.000 euro al mese, avendo inoltre prelevato, in data 20 novembre 2018, dunque prima del fatto, la somma di 4.000 euro presso lo sportello della banca Bper RAGIONE_SOCIALE filiale di Goro.
La confisca del denaro, pertanto, non poteva ritenersi affatto giustificata.
Con il secondo motivo, infine, il ricorrente censura la violazione dell’art. 85 bis del d.P.R. n. 309 del 1990, evidenziando che, nella sentenza impugnata, non era presente alcuna motivazione in ordine alla confisca del denaro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Iniziando proprio dal primo motivo, occorre evidenziare che lo stesso è stato proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2 -bis , cod. proc. pen., norma che consente l’impugnazione della sentenza di patteggiamento «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’i mputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza», profili questi non dedotti e non ravvisabili nel caso di specie, avendo la difesa eccepito, peraltro in maniera del tutto generica, vizi motivazionali non deducibili in questa sede.
Di qui l’inammissibilità della censura difensiva .
Venendo al secondo motivo, premesso altresì che l’impugnazione è ammissibile in punto di rito, perché riferita a una misura, la confisca, estranea
all’accordo (cfr. SS.UU. n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, RV. 279348), deve tuttavia rilevarsi che, nel merito, il ricorso non è meritevole di accoglimento.
Rilevato che l’imputazione cui si riferisce la confisca (capo 2) concerne il reato di cui all’art. 73 comma 1 del d.P.R. n. 309 del 1990, contestato come cessione continuata di cocaina a una pluralità di acquirenti, occorre evidenziare, in via preliminare, che l’art. 85 bis del d.P.R. n. 3 09 del 1990, inserito dall’art. 6 comma 5 del d. lgs. n. 21 del 2018 e rubricato ‘ipotesi particolare di confisca’, rinvia, per le condanne o i patteggiamenti riferiti alla violazione dell’art. 73, con esclusione dei casi in cui sia riconosciuta la fattispecie di lieve entità, alla norma generale di cui all’art. 240 bis cod. pen. (‘confisca in casi particolari’), norma introdotta dall’art. 6 comma 1 del d. lgs. n. 21 del 2018. L’art. 240 bis cod. pen., a sua volta, prevede che, nei casi di condanna o di applicazione di pena concordata relative a una pluralità di reati espressamente richiamati nel comma 1, è sempre ordinata la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità, di cui l’imputato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica, precisandosi che il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge, mentre il comma due dispone che, quando non è possibile procedere alla confisca ai sensi del comma uno, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni o altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo abbia la disponibilità. Dunque, nell’ipotesi ordinaria di cui al comma 1, l’obbligatorietà della confisca è riferita ai beni di cui l’imputato non possa giustificare la provenienza e che si rivelino sproporzionati rispetto al suo reddito e alla sua attivi tà economica, trattandosi di due aspetti che richiedono un’adeguata valutazione da parte del giudice, anche rispetto alle eventuali allegazioni fornite dal diretto interessato.
2.1. Tanto premesso, deve ritenersi che la statuizione della sentenza concernen te l’applicazione della confisca del denaro sia immune da censure.
E invero il G.U.P. ha così statuito: ‘ si dispone la confisca di quanto già oggetto di sequestro preventivo, per i motivi e con gli argomenti ivi indicati e da intendersi qui richiamati, ai sensi degli artt. 240 c.p., 73, comma 7 bis d.P.R. 309/90 ‘.
Tale tecnica motivazionale non può essere ritenuta irrituale, avendo questa Corte più volte chiarito, come ricordato anche dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, che la motivazione ‘ per relationem ‘ di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di
semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all ‘ esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l ‘ atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dal l’ interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l ‘ esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell ‘ organo della valutazione o del l’ impugnazione (cfr. Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, Rv. 274252).
Ora, nel caso di specie, la sentenza impugnata fa riferimento a un atto del procedimento penale noto al ricorrente e alla difesa, ossia al decreto di sequestro preventivo del 5 settembre 2022, contenente idonea motivazione al riguardo.
2.2. Con tale provvedimento, infatti, il giudice della cautela, nel disporre il sequestro finalizzato alla confisca diretta nei confronti del ricorrente ‘ai sensi degli art. 321 cod. proc. pen., 240 cod. pen. e 73, comma 7 bis del d.P.R. n. 309 del 1990’, ha quantificat o il profitto conseguito da Cepele, in relazione al capo 2, in 87.100 euro, valorizzando a tal fine sia verbali di sequestro dello stupefacente (pari a 866 grammi di cocaina) che le dichiarazioni degli assuntori della droga circa l’entità e la frequenza de gli acquisti dello stupefacente, richiamando sul punto i condivisi criteri di computo della Polizia giudiziaria, indicati a pag. 74 della informativa, anch’essa nota all’indagato.
2.3. Ora, a fronte di un’esposizione complessivamente esauriente d elle ragioni del sequestro e di metodo di calcolo del profitto affidato a profili valutativi non illogici, non vi è spazio per l’accoglimento delle censure difensive che, peraltro in termini non sufficientemente specifici, sollecitano differenti apprezzamenti di merito che non possono trovare ingresso in sede di legittimità, e ciò tanto più ove si consideri che i dati fattuali sottesi all’adozione della misura ablatoria non hanno trovato adeguata smentita nell’odierna impugnazione.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere pertanto rigettato, con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 25/02/2025
Il consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME