Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34190 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34190 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMENOME nato a S. Antonio Abate il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Gragnano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 17/05/2024 dalla Corte d’Appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; uditi i difensori dei ricorrenti, AVV_NOTAIO (per COGNOME) e AVV_NOTAIO (per COGNOME), che hanno concluso insistendo per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/05/2024, la Corte d’Appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Torre Annunziata in data 30/01/2018, con la quale – per quanto qui rileva – COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione al reato di cui
all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, loro ascritto al capo g) della rubrica, nonché, solo COGNOME NOME, anche ai reati di cui ai reati di cui all’art. 4 (limitatamente ai fatti contestati al n. 7 del capo b), all’art. 5 (capo c) e all’ar (limitatamente ai fatti contestati ai nn. 10 e 11 del capo d) del predetto decreto legislativo. Il Tribunale aveva altresì disposto la confisca RAGIONE_SOCIALE fatture, degl immobili e di quant’altro in sequestro.
In particolare, la Corte d’Appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati, in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti, per esser gli stessi ormai estinti per prescrizione. Ha inoltre confermato le statuizioni di confisca, ai sensi dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74, limitatamente al patrimonio immobiliare riconducibile alla RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti: RAGIONE_SOCIALE), oggetto di confisca diretta del profitto del reato) nonché la confisca RAGIONE_SOCIALE fatture; ha invece disposto la restituzione agli aventi diritto RAGIONE_SOCIALE quote e dei beni aziendali relativi alle altre società e a suo tempo sottoposti a sequestro preventivo, “non vertendosi in ipotesi di confisca diretta”.
Ricorre per cassazione l’COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla conferma della confisca. Si deduce il carattere meramente presuntivo RAGIONE_SOCIALE affermazioni contenute in sentenza, avendo la Corte territoriale preso in considerazione le sole risultanze dell’attività di indagine, e non anche quanto dedotto e comprovato dagli imputati in ordine alla proprietà dell’intero opificio industriale della RAGIONE_SOCIALE, lecitamente acquistata dalla NOME, moglie del ricorrente. Si censura inoltre il riferimento alla confisca diretta operato in sentenza, vertendosi invece in ipotesi di confisca per equivalente.
Ricorre per cassazione la COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge. Si censura la qualifica di confisca diretta (non essendo stato dimostrato il nesso di pertinenzialità), la violazione del principio di legalità (non sussistendo una disposizione legittimante la confisca in caso di prescrizione), la liceità RAGIONE_SOCIALE acquisizioni, l’insussistenza del dolo specifico.
Con requisitoria trasmessa il 10/09/2025, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO sollecita una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, per la genericità e manifesta infondatezza RAGIONE_SOCIALE doglianze prospettate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Per ciò che riguarda la posizione dell’COGNOME, preliminare ed assorbente risulta il difetto di interesse in capo al ricorrente (per la cui posizione resterebbe
comunque applicabili le considerazioni che verranno in seguito esposte in ordine alle doglianze proposte dalla RAGIONE_SOCIALE).
Come già ricordato in precedenza, la Corte territoriale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per essere i reati loro ascritti ormai estinti per intervenuta prescrizione, ed ha confermato le statuizioni ablative limitatamente alla confisca in via diretta del profitto del reato di cui all’art. d.lgs. n. 74 del 2000, contestato all’COGNOME e alla COGNOME; è stato invece disposto il dissequestro e la restituzione di quant’altro sequestrato in ordine agli altri capi di accusa, “non vertendosi in ipotesi di confisca diretta” (cfr. pag. 27 della sentenza impugnata).
Come inequivocabilmente emerge dalla lettura del provvedimento (pag. 17 segg.), l’oggetto della residua statuizione di confisca che qui rileva, disposta con riferimento al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte (capo g della rubrica), è costituito esclusivamente dai beni della RAGIONE_SOCIALE, costituenti profitto del reato perché oggetto RAGIONE_SOCIALE transazioni fraudolente meglio descritte nel predetto capo di accusa (nn. da 1 a 4) e partitamente analizzate dalla Corte territoriale.
Tali operazioni di spoliazione del patrimonio della società non risultano aver accresciuto il patrimonio dell’COGNOME, che ha proposto ricorso esclusivamente in relazione alla sua posizione personale e che pertanto non può vantare alcun concreto interesse ad un eventuale provvedimento di revoca della statuizione. Di qui l’inammissibilità del ricorso.
Anche il ricorso della COGNOME, per ciò che riguarda le statuizioni di confisca diverse da quella indicata al n. 3 del capo g (dove la ricorrente risulta aver acquistato parte dei beni della società, nell’ambito della fraudolenta operazione dettagliatamente analizzata a pag. 21 della sentenza impugnata), deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, per le ragioni già evidenziate nel paragrafo precedente trattando la posizione dell’COGNOME.
3.1. Con riferimento alla residua operazione, che ha visto la RAGIONE_SOCIALE acquistare parte dei beni della RAGIONE_SOCIALE da COGNOME NOME, deve anzitutto evidenziarsi la manifesta infondatezza del motivo volto a contestare la configurabilità, nel caso di specie, di un’ipotesi di confisca diretta.
Questa Suprema Corte ha invero chiarito che «in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, non va individuato nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, bensì nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere» (Sez. 3 n. 40534 del 06/05/2015, Trust, Rv. 265036 – 01).
L’applicabilità di tale principio nella fattispecie in esame appare di assoluta evidenza, dal momento che la confisca riguarda proprio i beni oggetto RAGIONE_SOCIALE fraudolente transazioni.
3.2. Una volta chiarito che nella fattispecie in esame si è dinanzi ad una fattispecie di confisca diretta, e non per equivalente, deve pervenirsi ad analoghe conclusioni di manifesta infondatezza anche quanto alle censure volte a negare la possibilità dell’intervento ablativo, che secondo la difesa sarebbe precluso dall’essere ormai il delitto di sottrazione fraudolenta estinto per intervenuta prescrizione.
Il richiamo all’art. 12-bis d.lgs. n 74 del 2000, operato dalla Corte territoriale, risulta invero immune da censure, risultando pianamente applicabile l’insegnamento RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Suprema Corte, secondo cui «il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio» (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264434 – 01).
Va infatti evidenziato, a tale ultimo proposito, che la Corte partenopea – lungi dal limitarsi ad un’automatica conferma della confisca disposta con la sentenza di condanna in primo grado – si è diffusamente soffermata sui singoli episodi di sottrazione fraudolenti dei beni della RAGIONE_SOCIALE, ed in particolare – per quanto qui rileva – sugli specifici elementi che l’hanno indotta a condividere le valutazioni del primo giudice in ordine alla fittizietà dell’operazione, ed alla penale responsabilità della NOME.
3.3. In tale prospettiva, il terzo motivo di ricorso appare generico, prima ancora che manifestamente infondato.
Va invero evidenziato che la difesa ricorrente contesta la configurabilità del reato – sia sotto il profilo della liceità RAGIONE_SOCIALE alienazioni, sia quanto alla insussisten dell’elemento psicologico in capo alla COGNOME – senza confrontarsi affatto con le diffuse considerazioni svolte nella sentenza impugnata (cfr. pag. 21 segg.).
A fondamento RAGIONE_SOCIALE proprie conclusioni, la Corte d’Appello ha tra l’altro osservato: che i beni della RAGIONE_SOCIALE, venduti alla COGNOME (moglie dell’COGNOME) da COGNOME NOME (dipendente dalla RAGIONE_SOCIALE), erano i medesimi che il COGNOME avrebbe precedentemente acquistato dall’COGNOME (quale rappresentante legale – liquidatore della società cedente: cfr. pag. 20 della sentenza); che i passaggi di proprietà sarebbero avvenuti (in questi e negli altri
episodi di cui al capo g) in forza di conciliazioni giudiziali relative a scritture priva asseritamente sottoscritte circa dieci anni prima dell’atto transattivo (ovvero anteriormente all’inizio RAGIONE_SOCIALE verifiche fiscali), ma non rinvenute nei rispettiv fascicoli processuali; che la COGNOME era titolare di un reddito modesto, radicalmente incompatibile con la possibilità di versare il complessivo prezzo di Euro 900.000.000, che stando al verbale di conciliazione era stato corrisposto senza peraltro alcuna precisazione in ordine alle modalità – con una serie di pagamenti del 1999 e del 2000; che nulla risultava comunque essere stato versato sui conti del COGNOME; che il versamento del 2012 a mezzo bonifico di circa Euro 7.000, a saldo del contratto di compravendita (unica operazione bancaria documentata dalla COGNOME), era stato effettuato subito dopo un bonifico di Euro 5.000 che la ricorrente aveva ricevuto dalla suocera, circostanza che – al di là della modestia del saldo rispetto al prezzo pattuito – ulteriormente comprovava l’incapienza del patrimonio della ricorrente.
Su tali basi, e sulla mancata dimostrazione di altre donazioni della suocera, la Corte territoriale ha ritenuto ampiamente dimostrata la fittizietà dell’operazione, escludendo la possibilità di valutare come marginale il ruolo svolto dalla COGNOME: un ruolo in realtà “essenziale nell’alienazione simulata, quale acquirente dei beni in precedenza apparentemente acquistati dal COGNOME” (pag. 22 della sentenza impugnata).
Conclusivamente, la Corte d’Appello ha sottolineato – anche sulla scorta di ulteriori anomalie (verbali di conciliazione tutti successivi all’inizio RAGIONE_SOCIALE verifich stime peritali degli immobili successive alle conciliazioni) – che “l’effettuazione di un doppio trasferimento significativa della volontà di mascherare un passaggio diretto dalla società di COGNOME NOME alla moglie e alla sorella e, dunque, l’alienazione simulata di tali beni che di fatto erano sempre rimasti nella disponibilità del venditore” (cfr. pag. 25 della sentenza).
In ordine poi all’elemento psicologico del reato, la Corte territoriale ne ha ritenuto indubbia la sussistenza non solo quanto all’COGNOME (configurandosi le conciliazioni “un tentativo estremo, quanto maldestro, di sottrarre il patrimonio alla pretesa erariale conseguente all’accertamento del sistema di frodi carosello”: cfr. pag. 25), ma anche quanto agli altri imputati, in considerazione del rapporto di parentela (nel caso della COGNOME, di coniugio) con l’COGNOME e del contenuto degli atti, ed in particolare del riferimento ai pagamenti e alle successive conciliazioni giudiziali (cfr. pag. 25, cit.).
A fronte di tali considerazioni, evidentemente tutt’altro che illogiche, la difesa della COGNOME ha svolto rilievi totalmente generici, privi di qualsiasi effettivo confronto con le risultanze accusatorie valorizzate anche dal giudice di appello. Ciò consente di fare applicazione del consolidato insegnamento di questa Suprema
Corte, secondo cui «è inammissibile il ricorso per cassazione nel caso in cui manchi la correlazione tra le ragioni poste a fondamento dalla decisione impugnata e quelle argomentate nell’atto di impugnazione, atteso che questo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato» (così da ultimo Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01. In senso conforme, tra le tante, cfr. ad es. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568 – 01).
4. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, e la condanna dei ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ammende.
Così deciso il 16 settembre 2025