Confisca per Prescrizione: La Cassazione Chiarisce i Limiti
La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, affronta un tema cruciale: la legittimità della confisca per prescrizione. Anche se il reato di ricettazione è estinto per il decorso del tempo, è possibile confiscare i beni di sospetta provenienza illecita? La risposta dei giudici è affermativa, ma solo a determinate condizioni. Analizziamo insieme questa importante pronuncia per capire come la giustizia bilancia l’estinzione del reato con la necessità di sottrarre alla criminalità i proventi delle sue attività.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine dal sequestro di un’autovettura. All’interno del veicolo, a distanza di anni dal sequestro, venivano rinvenuti numerosi monili e oggetti preziosi. Alcuni di questi venivano riconosciuti come provento di un furto e restituiti al legittimo proprietario. Per i restanti beni, veniva avviato un procedimento per ricettazione a carico della proprietaria dell’auto.
Il tribunale di primo grado, pur dichiarando il reato estinto per prescrizione, disponeva la confisca dei beni residui. La Corte d’Appello confermava tale decisione, e la difesa ricorreva in Cassazione, lamentando la mancanza di prova del cosiddetto ‘delitto presupposto’ e l’illegittimità della confisca.
La Legittimità della Confisca per Prescrizione
Il nodo centrale della questione riguarda la possibilità per un giudice di disporre la confisca quando il reato principale è prescritto. Secondo la difesa, senza una condanna per ricettazione, non si potrebbe procedere alla confisca dei beni.
La Corte di Cassazione, tuttavia, rigetta questa tesi. Richiamando un consolidato orientamento delle Sezioni Unite, i giudici supremi ribadiscono un principio fondamentale: in presenza di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, il proscioglimento nel merito (assoluzione) è possibile solo se le prove dell’innocenza dell’imputato sono talmente evidenti da risultare immediatamente percepibili, senza necessità di approfondimenti. Si parla, in gergo tecnico, di prova di innocenza che emerge ‘ictu oculi’.
L’onere probatorio e gli indizi
Nel caso specifico, mancava questa prova evidente. Anzi, il tribunale aveva costruito un solido quadro indiziario a sfavore dell’imputata. Gli indizi gravi, precisi e concordanti che giustificavano la confisca per prescrizione erano:
1. La conservazione congiunta: i beni confiscati erano custoditi insieme ad altri oggetti di sicura provenienza furtiva.
2. L’occultamento: i gioielli erano nascosti all’interno dell’autovettura.
3. L’assenza di rivendicazioni: nessuno aveva mai reclamato la proprietà di quei preziosi di elevato valore.
Questi elementi, secondo la Corte, permettevano di ‘presumere ragionevolmente’ la loro provenienza delittuosa, rendendo legittima la confisca anche in assenza di una condanna definitiva.
La decisione sulla confisca e l’inammissibilità del ricorso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché ritenuto generico. La difesa, infatti, si era limitata a contestare la mancanza di prova del delitto presupposto, senza però confrontarsi specificamente con la solida motivazione del tribunale basata sul quadro indiziario.
In sostanza, il ricorso non spiegava perché la presunzione di colpevolezza, su cui si fondava la confisca, fosse errata, né indicava elementi concreti che potessero portare a una pronuncia assolutoria.
le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione tra l’accertamento della colpevolezza ai fini di una condanna e l’accertamento finalizzato a una misura di sicurezza come la confisca. Per condannare una persona, è necessario superare ogni ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza. Per disporre la confisca in caso di prescrizione, invece, è sufficiente che non emerga una prova evidente della sua innocenza e che, al contrario, vi siano solidi indizi della provenienza illecita dei beni. La mancata giustificazione del possesso da parte dell’imputata e la sua assenza processuale, pur non essendo prove di colpevolezza, sono state considerate elementi che non aiutavano a dissolvere il quadro indiziario.
le conclusioni
Questa sentenza conferma che la prescrizione non equivale a un’assoluzione e non cancella la pericolosità sociale dei beni derivanti da reato. La confisca per prescrizione si rivela uno strumento fondamentale per contrastare l’arricchimento illecito, permettendo allo Stato di acquisire i beni di origine criminale anche quando il responsabile non può più essere condannato. La decisione sottolinea l’importanza di presentare ricorsi specifici e dettagliati, capaci di smontare punto per punto il ragionamento del giudice, pena la dichiarazione di inammissibilità e la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile confiscare dei beni se il reato collegato (es. ricettazione) è stato dichiarato prescritto?
Sì, la confisca è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che, anche in caso di prescrizione, il giudice può disporre la confisca dei beni se non emergono prove evidenti e immediate (‘ictu oculi’) dell’innocenza dell’imputato e, al contempo, sussistono indizi gravi, precisi e concordanti sulla loro provenienza illecita.
In caso di prescrizione, quando un giudice deve assolvere l’imputato anziché dichiarare semplicemente l’estinzione del reato?
Il giudice deve pronunciare una sentenza di assoluzione, a norma dell’art. 129 comma 2 c.p.p., solo quando le circostanze che escludono l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell’imputato o la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, tanto da potersi parlare di una ‘constatazione’ evidente piuttosto che di un ‘apprezzamento’ probatorio.
Perché il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché era generico. La difesa si è limitata a sostenere la mancanza di prova del delitto presupposto senza confrontarsi in modo specifico e critico con la motivazione della sentenza impugnata, la quale si basava su un solido quadro indiziario (occultamento, presenza di altri beni rubati, mancata rivendicazione) per presumere la provenienza delittuosa dei beni.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4917 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4917 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 3/5/2023, che aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputata in ordine al reato di cui all’art. 648 cod. pen. in quanto estinto per prescrizione, disponendo la confisca dei beni elencati nel varbale di sequestro.
1.1 Al riguardo il difensore premette che in data 22.03.2010, nell’ambito di altro procedimento penale, era stato disposto il sequestro di una autovettura di proprietà dell’imputata e che, dopo oltre sei anni dal sequestro e dalla conseguente perdita di possesso dei veicolo, erano stati rinvenuti dai carabinieri all’interno della vettura vari moniti ed oggetti preziosi ritenuti di provenienza delittuosa; in realtà gli unici monili ed oggetti provento di reato erano risultati quelli di proprietà di Ben COGNOME NOME, la quale aveva denunciato il furto e/o lo smarrimento; con la sentenza di primo grado era stata disposta la restituzione in favore di NOME COGNOME NOME degli oggetti di sua proprietà e la confisca dei residui beni.
Ciò premesso, il difensore lamenta che la sentenza impugnata aveva fornito una ricostruzione dei fatti completamente disancorata dagli scarni elementi probatori; la difesa aveva evidenziato che non risultava essere stato commesso alcun delitto presupposto e quindi difettava l’elemento soggettivo del reato, ma la Corte di appello aveva omesso di prendere in considerazione l’eccezione proposta; inoltre, l’elemento soggettivo del reato era stato ricavato dal fatto che l’imputata non aveva fornito alcuna giustificazione sul possesso dei beni rimanendo assente da processo, con palese violazione del diritto dell’imputata di non presenziare all’udienza.
1.2 II difensore eccepisce che la Corte di appello aveva omesso di valutare quanto dedotto dalla difesa in punto di legittimità della confisca, applicando erroneamente l’art. 240 comma 2 n. 2 cod. pen., visto che la confisca dei beni non era stata disposta in relazione all’intrinseca criminosità degli oggetti ma per le relazioni che si poneva tra gli stessi e l’autore del reato; non era stata fornita alcuna prova sull’esistenza di denunce di furto o di notitiae criminís che riguardassero i beni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Si deve infatti rilevare come il reato contestato sia stato dichiarato estinto per prescrizione per cui, come precisato da Sezioni Unite n. 35490 del
28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 “in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di ‘constatazione’, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento”; pertanto, a fronte della motivazione del Tribunale secondo cui si poteva ragionevolmente “presumere la provenienza delittuosa: per la conservazione unitamente a beni sicuramente oggetto di furto (ossia i mobili della Ben COGNOME) e l’occultamento all’interno della vettura, indizi gravi, precisi e concordanti, ulteriormente corroborati dall’assenza di richieste di restituzione dei numerosi gioielli, di elevato valore (mai oggetto di rivendicazione…)”, con motivazione quindi esaustiva sulla impossibilità di pronunciare sentenza di assoluzione, il motivo di appello era generico, limitandosi a sostenere la mancanza di prova sulla sussistenza del delitto presupposto, ma senza alcun confronto con la motivazione della sentenza e senza precisare in base a quali elementi sarebbe stato possibile pervenire ad una pronuncia assolutoria.
A fronte di tale eccezione, la Corte di appello ha comunque risposto evidenziando la mancanza di alcun contributo da parte della ricorrente in merito al possesso dei beni; ciò travolge anche il secondo motivo di ricorso, basato sulle stesse argomentazioni del primo motivo.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Sentenza a motivazione semplificata.
Così deciso il
30/01/2024