Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30452 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30452 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Boscoreale il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 28/06/2023 della Corte di Appello di Firenze udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento senza rinvio del decreto impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto emesso in data 5 maggio 2021 il Tribunale di Firenze ha disposto la misura di prevenzione della confisca nei confronti di NOME COGNOME.
NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto con il quale la Corte di Appello di Firenze ha rigettato l’appello da lui avanzato in data 7 luglio 2021.
La Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, con sentenza del 9 dicembre 2022, ha annullato il decreto impugnato, con rinvio alla Corte di appello di Firenze, per l’accertata violazione dell’art. 525 cod. proc. pen.
NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso il decreto, emesso il 28 giugno 2023, con il quale la Corte di Appello di Firenze ha nuovamente rigettato l’appello da lui avanzato.
Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 27 d.lgs. 159/2011 conseguente alla mancata dichiarazione di inefficacia della confisca disposta dal Tribunale in data 28 giugno 2021.
La Corte territoriale non avrebbe rispettato il termine di anni 1 e mesi 6, previsto a pena di inefficacia dell’art. 27 d.lgs. 159/2011, entro cui deve intervenire la decisione dei giudici di appello in ordine all’impugnazione proposta dalla parte.
Con il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1, 4, 16 e 24 d.lgs. 159/2011 e 2, 6 e 7 CEDU.
La motivazione relativa alla pericolosità sociale del COGNOME, in violazione dei principi affermati dalla CEDU e dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, sarebbe fondata su meri sospetti, segnalazioni di polizia e reati in relazione ai quali il ricorrente è stat prosciolto ovvero destinatario di provvedimenti di archiviazione.
I reati che dimostrerebbero la pericolosità generica del ricorrente sarebbero privi dei requisiti di abitualità, attualità e capacità lucro-genetica e, in alcuni ca esulerebbero dalla perimetrazione temporale delineata nel decreto di sequestro. In particolare i giudici di merito avrebbero valorizzato esclusivamente le seguenti condotte: reato di violazione di sigilli commesso nel 2000; reato di appropriazione indebita commesso negli anni 2016/2017 -estinto a seguito di remissione di querela-; reato di peculato conseguente al mancato pagamento della tassa di soggiorno per il solo anno 2014 -procedimento archiviato-; reato di cui all’art.76 d.lgs. 159/2011 -procedimento conclusosi con sentenza di assoluzione-; reato di cui all’art. 181 d.l.gs per la chiusura di una veranda procedimento conclusosi con applicazione concordata della pena nonché contravvenzione di cui all’art. 17 t.u.l.p.s..
I giudici di appello, con motivazione apodittica, avrebbero affermato che i rilevanti introiti di denaro accertati dal dott. COGNOME deriverebbero da transazioni “in nero” e sarebbero, quindi, provento di imprecisati reati tributari, affermazione che non terrebbe conto, del fatto che la generica attribuzione della qualità di evasore fiscale di per sé non comporta una attività delittuosa idonea a fondare un giudizio di pericolosità, potendo l’evasione tributaria perfezionare anche meri illeciti amministrativi.
Con il quarto motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1, 4, 16 e 24 d.lgs. 159/2011 conseguente all’affermazione della sussistenza della pericolosità sociale del ricorrente.
I giudici di merito avrebbero stravolto la motivazione della sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Pistoia in relazione al reato di riciclaggio aggravato ex art. 7 della legge 203 del 1991, sentenza divenuta irrevocabile a
seguito di annullamento senza rinvio della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Firenze stante la tardività dell’impugnazione presentata dal Pubblico ministero.
I giudici della misura di prevenzione, affermando che il COGNOME aveva un rapporto paritetico con NOME COGNOME ed un interesse comune con la stessa, avrebbero rivalutato nel merito i fatti diversamente valutati dal Tribunale di Pistoia.
Il primo giudice di merito avrebbe, infatti, affermato: l’inesistenza di rapporti tra il COGNOME ed il RAGIONE_SOCIALE, precisando che l’odierno ricorrente era vittima dell’attività di usura realizzata da NOME COGNOME; la mancanza di prova in ordine al contestato favoreggiamento della latitanza del camorrista NOME COGNOME; il mancato coinvolgimento del COGNOME nell’attività di usura gestita dal RAGIONE_SOCIALE e l’insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 della legge 203 del 1991.
La Corte di merito avrebbe erroneamente affermato che i rapporti con la RAGIONE_SOCIALE sarebbe iniziati fin dal 2001, contrariamente a quanto affermato nella sentenza assolutoria passata in giudicato che indica nel 2003 l’inizio di tali rapporti, con conseguente esclusione di qualsiasi ingerenza del RAGIONE_SOCIALE nella costituzione, formazione e gestione dell’impresa alberghiera del RAGIONE_SOCIALE, circostanza che i giudici dell’appello cercano di confutare con argomentazioni prive di alcun riscontro logico-fattuale.
La difesa ha evidenziato che l’ulteriore reato valorizzato dalla Corte di merito (truffa avente ad oggetto autovetture) è stato dichiarato prescritto con conseguente mancato accertamento della penale responsabilità del ricorrente, anche in considerazione del fatto che il co-imputato COGNOME, nel corso del suo interrogatorio, ha escluso che il COGNOME abbia ottenuto alcun vantaggio dal coinvolgimento della vicenda.
La motivazione, inoltre, sarebbe del tutto carente laddove viene affermato, senza alcun fondamento probatorio, che la prosecuzione dell’attività alberghiera del COGNOME sarebbe stata resa possibile dall’utilizzo di denaro di provenienza delittuosa, circostanza esclusa dai risultati degli accertamenti patrimoniali svolti dal GICO della Guardia di Finanza, accertamenti che avrebbero dimostrato il decisivo intervento dei familiari del ricorrente concretizzatosi in prestiti d significativa entità.
I giudici di appello non avrebbero, inoltre, argomentato in ordine al motivo di gravame con il quale la difesa aveva evidenziato che le anomalie patrimoniali accertate dai consulenti tecnici sarebbero fondate esclusivamente sotto il profilo della contabilizzazione non corretta.
Con il quinto motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1, 16 e 24 d.lgs. 159/2011.
La motivazione sarebbe priva di alcuna valutazione in ordine all’effettività dei profitti derivati dalle singole condotte criminose ipotizzate ed in riguardo a rapporto di proporzione tra il quantum di incremento patrimoniale da esse generato e il reddito lecitamente prodotto dal prevenuto nell’arco temporale della pretesa pericolosità.
I giudici di merito, peraltro, non avrebbero tenuto conto del fatto che, già in due occasioni, il Tribunale di Napoli ed il Tribunale di Pistoia hanno rigettato richieste di applicazione di misura di prevenzione per mancanza di pericolosità sociale.
Con il sesto motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 4, 16 e 24 d.lgs. 159/2011 conseguente all’affermazione della sussistenza della pericolosità qualificata del ricorrente.
A giudizio della difesa, nessun rapporto con il RAGIONE_SOCIALE sarebbe avvenuto in data anteriore al 2003, nessun esponente di tale sodalizio RAGIONE_SOCIALE si sarebbe mai ingerito nella gestione dell’attività alberghiera del RAGIONE_SOCIALE ed i ricorrente sarebbe stato riconosciuto, dal Tribunale di Pistoia come vittima di usura da parte degli affiliati al RAGIONE_SOCIALE.
Mancherebbe, pertanto, la dimostrazione che il COGNOME abbia aderito o abbia agevolato in alcun modo il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ovvero che abbia favorito la latitanza di NOME COGNOME, anche in considerazione del fatto che quest’ultimo era all’epoca ricercato per il reato di rapina e non per il reato di cui all’art. 416cod. pen.
Con il settimo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 4, 16 e 24 d.lgs. 159/2011 in relazione alla perimetrazione cronologica della pericolosità generica e qualificata nonché in ordine all’attualità della ritenuta pericolosità.
La difesa ha affermato che la pericolosità del COGNOME non potrebbe essere ritenuta sussistente in data successiva al 2007 ossia dopo che l’intero patrimonio mobiliare ed immobiliare del ricorrente è stato sottoposto a sequestro preventivo ed il COGNOME sottoposto a misura cautelare personale; da tale momento non sarebbe ravvisabile alcun elemento da cui desumere la pericolosità specifica del ricorrente, tanto che, nel giugno 2008, il COGNOME è stato scarcerato in considerazione della mancanza di contatti con gli affiliati al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Allo stesso modo, non sussisterebbero indicatori della permanenza dell’ipotizzata pericolosità ex art. 4, lett. b, d.l.gs. 159/2011 in data successiva al 2007 in quanto dopo tale data il COGNOME non è stato indagato per alcuno dei
reati contemplati dalla norma citata, circostanza ignorata dai giudici di merito con conseguente carenza di motivazione in ordine all’attualità dell’ipotizzata pericolosità specifica.
Tale carenza è resa ancora più evidente in considerazione del sopravvenuto sequestro dell’intero patrimonio del COGNOME disposto nel 2007 e dalla conseguente gestione da parte degli amministratori giudiziari fino al 2014, circostanza assolutamente decisiva che, seppur adeguatamente evidenziata nell’atto di appello, non sarebbe stata in alcun modo valutata dalla Corte territoriale con conseguente violazione di legge per carenza assoluta di motivazione sul punto.
11. Con l’ottavo ed il nono motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1, 4, 16 e 24 d.lgs. 159/2011 in ordine al rapporto tra i beni confiscati e l’arco di commissione temporale dei reati lucro-genetici attribuiti al COGNOME nonché violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 10 e 27 d.lgs. 159/2011 e carenza assoluta di motivazione in ordine alla dimostrazione della provenienza illecita dei beni confiscati.
La Corte territoriale non avrebbe argomentato in ordine alla riconducibilità degli acquisti dei beni confiscati al periodo di pericolosità del proposto, all’individuazione RAGIONE_SOCIALE risorse illecite utilizzate per gli acquisti, alla dimostrazio di una relazione di ragionevole congruenza tra il valore dei beni acquistati ed i profitti illeciti conseguiti né avrebbe indicato in che modo le provviste illecit sarebbero state reimpiegate nei beni oggetto di confisca.
La difesa ha sottolineato che tutto il patrimonio del COGNOME, dopo essere stato sottoposto a sequestro nel 2007, è stato interamente restituito al ricorrente solo nel 2014 a seguito della pronuncia assolutoria del Tribunale di Pistoia; i giudici di merito avrebbero, pertanto, accertato che tali beni erano stati acquistati lecitamente con conseguente giudicato sul punto, argomentazione su cui ancora una volta la Corte di territoriale non avrebbe speso alcuna argomentazione.
Di conseguenza, tutti i beni acquistati dal ricorrente in data successiva al 2013 sarebbero di provenienza lecita in considerazione dell’azzeramento del patrimonio del COGNOME conseguente al sequestro intercorso nel 2007; i giudici di appello non avrebbero confutato in alcun modo tale censura difensiva, limitandosi ad affermare, in modo apodittico, la mancanza di redditi leciti, la sproporzione tra questi ultimi ed il valore degli investimenti effettuati dal COGNOME e la sostanzial identità tra le società create prima del sequestro del 2007 e quelle successivamente costituite del COGNOME, senza dimostrare in alcun modo che i singoli beni confiscati sarebbero stati acquistati con provviste accumulate grazie alla pregressa attività delittuosa.
I giudici dell’appello avrebbero, inoltre, del tutto obliterato il contenuto dell consulenza tecnica di parte che analizzava tutte le operazioni economicopatrimoniali oggetto di giudizio, dando analitica spiegazione degli errori fatti dalla DIA e dal Tribunale di Firenze ed escludendo alcuna ipotesi di sperequazione tra entrate ed uscite in capo al proposto. Tali argomentazioni non sarebbero state confutate in alcun modo dalla Corte di merito con conseguente violazione di legge per carenza di motivazione sul punto.
Il provvedimento impugnato sarebbe privo di qualsivoglia motivazione in ordine alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ad eccezione di un generico ed apodittico richiamo ad un presunto collegamento tra tali compagini societarie, costituite nel periodo 2013-2017, e le società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Parimenti nessuna parola sarebbe stata spesa dai giudici di appello in ordine all’acquisto dell’immobile sito in Montecatini RAGIONE_SOCIALE, immobile acquistato integralmente con l’accensione di un mutuo ipotecario e, quindi, con esclusione di alcun collegamento alle ipotizzate condotte criminose poste in essere dal ricorrente.
La Corte di merito non avrebbe pecificato, in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE, gli elementi da cui desumere la pericolosità del COGNOME nell’anno 2017 e non avrebbe tenuto conto che il COGNOME, ormai da anni, percepiva stipendi e compensi per lo svolgimento di funzioni di amministratore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
1.1. L’accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova quanto segue:
il primo atto di appello è stato depositato in data 7 luglio 2021;
il decreto con cui la Corte di appello di Firenze ha rigettato l’impugnazione proposta dal COGNOME è stato emesso in data 14 giugno 2022;
la Corte di RAGIONE_SOCIALEzione ha annullato con rinvio il decreto impugnato con sentenza emessa in data 09 dicembre 2022 (motivazione depositata in data 30 marzo 2023);
la Corte di appello di Firenze ha nuovamente confermato il decreto di confisca con provvedimento emesso in data 28 giugno 2023 (motivazione depositata in data 6 novembre 2023).
Deve essere, pertanto, evidenziato che la Corte territoriale si è pronunciata entro il termine di 1 anno e 6 mesi previsto dall’art. 27, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (data deposito sentenza di annullamento: 30 marzo
2023, data deposito decreto della Corte di appello: 6 novembre 2023) con conseguente insussistenza della violazione di legge eccepita dal ricorrente.
1.2. Il Collegio intende dare seguito al consolidato principio di diritto secondo cui nel giudizio di secondo grado, radicatosi a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione del decreto emesso dalla Corte territoriale, il termine di un anno e sei mesi previsto dall’art. 27, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, decorre ex novo dal deposito della sentenza di annullamento in considerazione del fatto che l’intera fase dinanzi alla Corte di legittimità è disciplinata da termini ordinatori e che prima del deposito della motivazione non risulta precisamente definibile l’ambito del nuovo giudizio di appello (vedi Sez. 6, n. 2385 del 11/10/2017, COGNOME, Rv. 272231 – 01; Sez. 1, n. 19357 del 19/03/2019, Aprile, Rv. 275810 – 01; Sez. 1, n. 13422 del 29/01/2020, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 18208 del 26/02/2020, COGNOME, non massimata,).
Deve essere, in proposito, rimarcato che la sentenza di annullamento, con o senza rinvio, non travolge il provvedimento di confisca ma soltanto la sua conferma, comportando, di conseguenza, la rinnovazione della fase volta alla verifica da parte dei giudici di appello della fondatezza della confisca disposta dal Tribunale ed una nuova decorrenza del termine previsto dall’art. 27 sopra citato.
Tutti gli altri motivi di impugnazione non sono consentiti in sede di legittimità perché involgenti non violazioni di legge ma difetti di motivazione già denunciati in sede di appello ed affrontati in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Deve essere preliminarmente ribadito che il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge, mentre non sono deducibili vizi riconducibili alle categorie indicate dall’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. (salvo che si lamenti l’assenza o la mera apparenza della motivazione, ipotesi che integrano la violazione di legge in riferimento all’art. 125 cod. proc. pen.).
Costituisce, peraltro, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale la motivazione inesistente o apparente del provvedimento ricorre esclusivamente quando il decreto ometta del tutto di confrontarsi con un elemento prospettato da una parte che risulti potenzialmente decisivo in quanto, anche se singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01).
In questa prospettiva, oltre ad essere esclusi i vizi tipici concernenti la tenuta logica del discorso giustificativo, è improponibile, sotto forma di violazione di legge, anche la mancata considerazione di prospettazioni difensive, quando le
stesse, in realtà, siano state prese in considerazione dal giudice o risultino assorbite dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01) o comunque non siano potenzialmente decisive ai fini della pronuncia sul punto attinto dal ricorso (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080; da ultimo Sez. 2, n. 4872 del 17/11/2022, dep. 2023, non massimata).
Il provvedimento impugnato non appare affetto da violazione di legge, neanche sub specie carenza assoluta di motivazione nei termini sopra precisati; la motivazione del decreto impugnato risulta coerente con le emergenze processuali e non è riconducibile né all’area semantica della motivazione “assente” né a quella della motivazione “apparente”.
3.1. Le valutazioni della Corte territoriale, fondate su un’analisi del materiale logico-probatorio corretta e lontana da inammissibili presunzioni, forniscono una più che adeguata spiegazione RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui è addivenuta a confermare il provvedimento impositivo della misura di prevenzione della confisca dei beni intestati a NOME COGNOME.
3.2. Il riferimento alla violazione di legge ed alla carenza/apparenza della motivazione in ordine ai presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione è chiaramente strumentale ad una rivalutazione della vicenda nel merito, avendo la Corte territoriale chiaramente motivato sulle ragioni in base alle quali ritiene infondate le censure difensive già proposte nell’atto di appello.
Il secondo, terzo, quarto e sesto motivo di impugnazione con cui NOME COGNOME lamenta violazione di legge e carenza di motivazione in ordine alla pericolosità generica e specifica del ricorrente sono ictu ocull riferibili ad una motivazione, non già mancante o meramente apparente, ma illogica e non condivisa dal ricorrente e, quindi, dedotti per ragioni escluse dal sindacato della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione in materia di misure di prevenzione.
4.1. I giudici di appello, condividendo gli argomenti del Tribunale, hanno indicato analiticamente i precisi dati fattuali da cui desumere l’appartenenza del ricorrente alla categoria dei soggetti pericolosi ex art. 1, lett. B) d. Igs. 159/2011 in ragione RAGIONE_SOCIALE valutazioni logiche desunte dall’omogeneità RAGIONE_SOCIALE condotte illecite e del loro collegamento nella prospettiva della realizzazione di condotte lucrogenetiche che mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica (plurime condanne definitive per reati contro il patrimonio quali associazione a delinquere finalizzata alla commissione di rapine e detenzione armi, truffa, ricettazione nonché denunce a piede libero per reati di truffa, appropriazione
indebita, violazione di sigilli, ricettazione, riciclaggio, danneggiamento), in un arco temporale compreso tra il 1985 ed il 2019 tale da rappresentare la principale componente reddituale per il sostentamento del COGNOME (vedi pagg. da 18 a 28 del decreto di confisca e pagg. 13 e 14 del provvedimento impugnato).
In seconda battuta la Corte territoriale, condividendo la disamina completa ed approfondita RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali effettuata dal primo giudice, ha argomentato in modo logico ed articolato in ordine alla sussistenza della pericolosità qualificata dal ricorrente ai sensi dell’art. 4, lett. A) d.lgs. 159/201 rimarcando che la pronuncia favorevole al ricorrente valorizzata dalla difesa non ha smentito la storicità dei fatti posti a fondamento della decisione adottata in sede di prevenzione, fatti ritenuti sintomatici del consolidato rapporto tra il COGNOME ed il RAGIONE_SOCIALE e della provenienza delittuosa del denaro utilizzato dal ricorrente nella gestione RAGIONE_SOCIALE attività imprenditoriali a riconducibili a seguito di una valutazione priva di contraddizioni ed illogicità di tali elementi indiziari (vedi pagg. da 33 a 35 del decreto di confisca e pagg. da 7 a 10 del provvedimento impugnato).
I giudici di appello hanno, in particolare, evidenziato come il COGNOME abbia ospitato il marito di NOME COGNOME nel periodo in cui lo stesso era latitante, dando prova dei suoi legami con i vertici del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE oggetto di analisi; parimenti è stato sottolineato che il ricorrente e la COGNOME erano dediti a prestare ingenti somme di denaro a terzi e che il COGNOME ha utilizzato assegni ricevuti da NOME COGNOME per affrontare RAGIONE_SOCIALE spese inerenti alla ristrutturazione degli alberghi da lui gestiti, in assenza di alcun rapporto professionale tale da giustificare il passaggio di assegni e di denaro tra i due (vedi pag. 9 “elementi sintomatici di un’attività di riciclaggio e di un rapporto particolarmente qualificato con il RAGIONE_SOCIALE, venivano enucleati anche dal Tribunale di Pistoia quali elementi di fatto oggettivi ed accertati” e pag. del provvedimento impugnato “ciò che in questa sede interessa non è stabilire se COGNOME fosse o meno colpevole del reato di usura e degli altri reati… quanto piuttosto valutare elementi oggettivi scaturenti da atti indagini validi che sono stati assunti con prove legali nell’ambito dei processi e così veicolati sia nella sentenza di primo grado del Tribunale di Pistoia che nella sentenza della Corte di Appello di Firenze… elementi in fatto pacifici e risultanti da atti probatori -valid come tali pienamente utilizzabili dal Giudice della prevenzione senza incorrere in alcuna violazione di giudicato).
4.2. La Corte territoriale ha correttamente applicato il principio di diritto secondo cui, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica e qualificata del proposto, il giudice di merito può valutare autonomamente i fatti
accertati in sede penale, anche in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato, pronuncia di non doversi procedere e sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati, con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività, quei fatti che, pur ritenuti insufficienti merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale, possono, comunque, essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (vedi Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 282655 – 01; Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 281862 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 16068 del 19/03/2024, Magno, non massimata); principio costantemente affermato da questa Corte, che qui si intende ribadire, e con il quale il ricorrente nella articolazione RAGIONE_SOCIALE sue doglianze non si confronta adeguatamente, insistendo in una non consentita lettura alternativa del merito.
Nel procedimento di prevenzione il giudice può sempre valorizzare elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali e procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei fatti ivi accertati, purché, come avvenuto nel caso di specie, dia atto in motivazione RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui essi siano da ritenere sintomatici della pericolosità del proposto.
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che nessuna violazione di legge ha compiuto la Corte territoriale nel caso in esame, avendo valorizzato elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali e dato atto RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui essi erano da ritenere sintomatici della pericolosità del ricorrente.
Il quinto motivo di ricorso non è consentito in sede di legittimità.
Anche in relazione alla ritenuta sproporzione tra i redditi lecitamente percepiti dal COGNOME ed il valore del patrimonio sottoposto a confisca, il decreto ha offerto una motivazione adeguata e congrua che non si risolve in motivazione assente o apparente e dunque in una violazione di legge.
I giudici di appello, con percorso argomentativo articolato, conforme alle risultanze istruttorie e privo di illogicità manifeste, hanno desunto la notevole sperequazione tra fonti di reddito e patrimonio del ricorrente dai risultati degli accertamenti svolti dagli inquirenti.
La motivazione, con il sostegno di argomenti logici non censurabili, ha dettagliatamente indicato le ragioni in virtù RAGIONE_SOCIALE quali i giudici di appello hanno ritenuto corrette le valutazioni e le conclusioni cui è giunto il Tribunale in ordine a tale evidente sproporzione, previa ricostruzione della situazione patrimoniale del nucleo familiare del COGNOME nel periodo 1998/2018, evidenziando che l’attività lavorativa svolta dal COGNOME in epoca precedente e coeva al periodo di pericolosità era inidonea a produrre redditi leciti tali da consentire l’accumulo di capitali compatibili con i successivi esborsi di ingenti somme destinate agli incrementi
del patrimonio ed allo svolgimento dell’attività imprenditoriale oggetto di analisi (vedi pagg. da 10 a 13 del decreto oggetto di ricorso e pagg. da 49 a 60 del decreto di confisca).
Deve essere peraltro, ribadito il principio di diritto secondo cui la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche svolte non può essere giustificata dal ricorrente adducendo proventi da evasione fiscale, qualunque sia la categoria di pericolosità sociale cui appartenga (Sez. 6, n. 4908 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 266312 – 01; Sez. 6, n. 43446 del 15/06/2017, COGNOME, Rv. 271221 01; da ultimo).
Il settimo motivo di ricorso non è consentito in sede di legittimità.
6.1. La delimitazione temporale della pericolosità del ricorrente e la valutazione in ordine all’attualità della pericolosità del COGNOME è stata compiuta dai giudici merito in stretta correlazione coi fatti desumibili dalle risultanz processuali. Il ricorrente ha censurato le valutazioni che il Collegio di appello ha effettuato sul punto, così deducendo non violazioni di legge ma vizi della motivazione, estranei, pertanto, al sindacato ammissibile in sede di legittimità.
La Corte di merito, con motivazione non meramente apparente, ha indicato i reati attestanti l’attualità della pericolosità del ricorrente posti in essere fino 2017 e rimarcato la continuità dell’attività delittuosa del COGNOME, attività che h caratterizzato lo stile di vita di quest’ultimo, garantendogli il sostentamento e lo svolgimento dell’attività imprenditoriale oggetto di giudizio anche nel periodo successivo al 2007, diversamente da quanto affermato in modo apodittico nel ricorso (vedi pagg. 14 e 15 del provvedimento impugnato).
Destituita di fondamento è l’affermazione difensiva secondo cui la pericolosità del COGNOME sia cessata nel 2007 a seguito del sopravvenuto sequestro dell’intero patrimonio del COGNOME; i giudici di merito hanno, infatti, argomentato, con motivazione non censurabile in questa sede, in ordine al fatto che le società create dal COGNOME nel periodo successivo al dissequestro del suo patrimonio (avvenuto nel 2014) non sono “altro che il frutto di operazioni di trasformazione RAGIONE_SOCIALE società costituite in precedenza negli anni 2002/2004, quindi direttamente e funzionalmente collegate al reimpiego RAGIONE_SOCIALE utilità economiche conseguite con l’attività criminosa, così come i beni mobili ed immobili e le poste finanziarie risultano scaturire e dipendere dagli investimenti iniziali legati alle provviste illecitamente conseguite” (vedi pag. 18 del provvedimento oggetto di ricorso).
Le valutazioni della Corte territoriale, fondate su un’analisi del materiale logicoprobatorio corretta e lontana da inammissibili presunzioni di pericolosità permanente, forniscono una più che adeguata spiegazione RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui è addivenuta ad un giudizio prognostico in ordine all’attuale pericolosità del
COGNOME; a fronte di tale precisa conclusione il ricorrente reitera argomentazioni fattuali, già affrontate e confutate dai giudici di appello in modo adeguato e logico, e pertanto non riconducibili al parametro della violazione di legge e della carenza o apparenza di motivazione.
7. L’ottavo ed il nono motivo di ricorso, oltre ad essere dedotti per ragioni escluse dal sindacato del giudice di legittimità, sono privi di specificità in quanto il ricorrente si è limitato a riproporre la ricostruzione in fatto alternativa rispe a quella recepita nel provvedimento impugnato, senza confrontarsi adeguatamente con le coerenti argomentazioni sulle quali si fonda la decisione dei giudici di appello.
7.1. La Corte di merito, con percorso argomentativo coerente con le risultanze processuali, hanno ritenuto che il patrimonio del COGNOME sottoposto a confisca derivi da investimenti effettuati a partire da gennaio 2002 con la costituzione della società RAGIONE_SOCIALE, investimenti frutto del riciclaggio del denaro proveniente dai reati dettagliatamente indicati in motivazione e successivamente confluiti nelle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE ed in parte utilizzati per l’acquisto degli immobili e dei mobili registrati confiscati.
I giudici di appello hanno, inoltre, rimarcato l’assoluta sproporzione tra i redditi lecitamente percepiti dal proposto e l’entità degli investimenti effettuati dagli anni dal predetto, sproporzione che, in motivazione, è stata quantificata in euro 442.547,49 nel periodo di pericolosità intercorso tra il 1998 ed il 2018 previa specifica indicazione RAGIONE_SOCIALE operazioni sospette e dei prelievi e finanziamenti effettuati dal COGNOME che non hanno trovato giustificazione in “ragioni economiche apprezzabili” (vedi pagg. 17, 18 e 19 del decreto impugnato e pagg. da 48 a 50 e da 63 a 69 del decreto di confisca).
I giudici di merito hanno, inoltre, correttamente indicato gli elementi da cui è stata desunta la riconducibilità al COGNOME di quanto soggetto a confisca in considerazione dell’esistenza di un unico centro decisionale ed organizzativo dell’intera attività imprenditoriale riconducibile alla persona del ricorrente e della promiscuità finanziaria RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE (vedi 17, 18 e 19 del provvedimento impugnato e pagg. da 60 a 70 del decreto di confisca).
7.2. Al cospetto di tali argomentazioni le doglianze formulate dal ricorrente, lungi dall’evidenziare un’ipotesi di motivazione apparente, nel senso innanzi esposto, hanno proposto una rilettura RAGIONE_SOCIALE emergenze procedimentali, provando a togliere forza persuasiva all’ordito argomentativo contenuto nel provvedimento impugnato, caratterizzato, invece, da una motivazione completa e congrua, di certo idonea ad illustrare le ragioni della decisione.
Peraltro, il Collegio intende ribadire il principio della “vicinanza della prova” i virtù del quale è onere del ricorrente giustificare, sulla base di concreti e oggettivi elementi fattuali, la legittima provenienza dei beni, perché solo lui può acquisire o quantomeno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278679 – 03).
Tale onere di allegazione in ordine alla legittima provenienza dei beni, peraltro, non può essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza di una provvista sufficiente per concludere l’acquisto degli stessi, dovendo invece indicarsi gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attività illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non sproporzionati rispetto alla sua capacità reddituale (Sez. 6, n. 21347 del 10/04/2018, COGNOME, Rv. 273388-01; da ultimo Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2024, Docimo, non massimata).
7.3. L’ulteriore doglianza con la quale il ricorrente lamenta la mancata valutazione della consulenza tecnica di parte è avanzata per motivi non consentiti.
Le differenti valutazioni e la diversa ricostruzione cui è giunto il consulente della difesa che il ricorrente ha invocato nel ricorso, si pongono in modo palese al di fuori del perimetro dei motivi ammissibili in questa sede, non avendo ad oggetto violazioni di legge ma una richiesta di rivalutazione della vicenda nel merito, non deducibile nel giudizio legittimità.
Deve esser, in proposito, ribadito che al controllo di legittimità in tema di misure di prevenzione non appartengono la rilettura degli elementi fattuali posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito ma esclusivamente il vizio di legge e (7 l’assoluta carenza o apparenza di motivazione.
7.4. Questo Collegio intende, infine, dare seguito all’univoco orientamento ermeneutico secondo cui il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni RAGIONE_SOCIALE parti, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di tutte le risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo.
Ne consegue che debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata; in sede di legittimità non è, di
conseguenza, censurabile il provvedimento, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente che la motivazione, come nel caso di specie, evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
8. In conclusione, deve essere, dunque, esclusa alcuna carenza di motivazione -nei termini delineati dalla giurisprudenza di questa Corte esposti al capo 1- sia in ordine al profilo della pericolosità che dell’attualità apprezzata attraverso la ricostruzione cronologica dei dati fattuali, sia della sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi della disposta confisca con conseguente inammissibilità del ricorso proposto dal COGNOME.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Ammende.
Così deciso, il 22 maggio 2024
Il AVV_NOTAIO Estensore
Il Presidente,
NOME COGNOME
NOME COGNOME