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Confisca per pericolosità: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre soggetti contro un’ordinanza di confisca per pericolosità sociale. I ricorrenti avevano lamentato vizi di motivazione e una presunta errata applicazione della legge, ma la Corte ha stabilito che le loro doglianze erano mere riproposizioni di questioni già decise, senza confrontarsi con la dettagliata motivazione del provvedimento impugnato, fondato su concreti elementi di proventi da attività delittuosa.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Pericolosità Sociale: La Cassazione Conferma l’Inammissibilità del Ricorso

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, fornisce importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi in materia di misure di prevenzione patrimoniali. Il caso in esame riguarda una confisca per pericolosità disposta dalla Corte d’Appello, confermando come la generica riproposizione di motivi già esaminati non sia sufficiente a superare il vaglio di legittimità. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Il Ricorso Contro la Confisca

Tre soggetti proponevano ricorso in Cassazione avverso un’ordinanza della Corte d’Appello di Campobasso. Tale provvedimento aveva confermato la confisca dei loro beni, una misura di prevenzione patrimoniale basata sulla loro presunta pericolosità sociale. I ricorrenti sostenevano che l’ordinanza fosse viziata sotto diversi profili, tra cui la mancanza di correlazione temporale tra la loro pericolosità e l’acquisto dei beni, il mancato accertamento di reati specifici generatori di reddito e una motivazione illogica e contraddittoria.

I Motivi del Ricorso e la Confisca per Pericolosità

I ricorrenti hanno cercato di invalidare il provvedimento impugnato riproponendo questioni già valutate e respinte dal giudice di merito. In particolare, hanno invocato la sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019, che aveva dichiarato l’incostituzionalità di una parte della normativa sulle misure di prevenzione. Essi lamentavano che la confisca per pericolosità fosse stata applicata senza un’adeguata prova del nesso tra le attività illecite e l’arricchimento patrimoniale. Tuttavia, non hanno presentato elementi di novità, né prove nuove o concrete ipotesi di cause che potessero incidere su un giudizio ormai consolidato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili. Questa decisione non è entrata nel merito delle argomentazioni dei ricorrenti, ma si è fermata a un giudizio preliminare sulla loro ammissibilità. La Corte ha ritenuto che i ricorsi non si confrontassero adeguatamente con le argomentazioni dettagliate contenute nell’ordinanza della Corte d’Appello, limitandosi a una sterile riproposizione delle stesse doglianze. Di conseguenza, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione è chiara e si fonda su principi procedurali consolidati. In primo luogo, la Corte evidenzia come la pericolosità sociale, presupposto della confisca, fosse riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 159/2011 (soggetti che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose). Questa specifica ipotesi non era stata toccata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019, che invece riguardava la lettera a) della stessa norma (soggetti indiziati di reati gravi). Pertanto, il riferimento alla pronuncia della Consulta era inconferente. In secondo luogo, la Cassazione ha sottolineato che la Corte d’Appello aveva ampiamente motivato la decisione sulla base di “elementi concludenti di condotta e tenore di vita assicurati da proventi di attività delittuosa”. I ricorrenti, invece di contestare punto per punto questa analisi, si sono limitati a riproporre le loro tesi in modo generico, senza indicare né prove nuove né vizi specifici del ragionamento del giudice di merito che potessero incrinare la solidità del giudicato.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo di Cassazione: il ricorso di legittimità non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. Esso serve a controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Quando un ricorso si limita a riproporre le stesse questioni già decise, senza un confronto critico e specifico con le ragioni della decisione impugnata, esso è destinato all’inammissibilità. La pronuncia insegna che per contestare efficacemente una confisca per pericolosità, è necessario argomentare in modo puntuale, evidenziando specifici errori di diritto o vizi logici manifesti, e non sperare in una generica riconsiderazione del caso.

Quando un ricorso contro un provvedimento di confisca può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando, invece di contestare specifici errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata, si limita a riproporre questioni già esaminate e decise dal giudice di merito, senza un confronto critico e dettagliato con la motivazione del provvedimento.

La declaratoria di incostituzionalità di una parte della norma sulla pericolosità sociale influisce su tutte le ipotesi di confisca?
No. Come chiarito nel caso di specie, la sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019 ha interessato solo l’ipotesi di pericolosità di cui alla lettera a) dell’art. 1, comma 1, d.lgs. 159/2011. La confisca basata su altre ipotesi, come quella della lettera b) (soggetti che vivono con proventi di attività delittuose), rimane pienamente valida.

Cosa devono dimostrare i ricorrenti per contestare efficacemente una confisca basata su pericolosità sociale?
I ricorrenti devono andare oltre la mera negazione. Devono presentare argomenti specifici che mettano in discussione la logicità della motivazione del giudice, oppure fornire prove nuove o indicare concrete cause suscettibili di incidere sul giudicato, dimostrando perché la valutazione del giudice di merito sarebbe errata in punto di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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