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Confisca per intestazione fittizia: motivazione valida

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un prestanome contro la confisca per intestazione fittizia di un’impresa. La Corte ha stabilito che, nei procedimenti di prevenzione, il ricorso è ammesso solo per violazione di legge, escludendo censure sull’illogicità della motivazione se questa non è meramente apparente. Nel caso specifico, la decisione impugnata era fondata su una pluralità di elementi probatori, rendendo la motivazione congrua e non censurabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Intestazione Fittizia: Quando la Motivazione è Valida

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10881 del 2024, affronta un tema cruciale nell’ambito delle misure di prevenzione: la confisca per intestazione fittizia di beni. Il caso in esame offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso in sede di legittimità, in particolare sulla possibilità di contestare la motivazione del provvedimento di confisca. La decisione sottolinea come, in questo specifico contesto, il sindacato della Corte sia limitato alla sola violazione di legge, escludendo censure relative all’illogicità della motivazione, a meno che questa non sia del tutto assente o meramente apparente.

I Fatti del Caso: La Confisca dell’Impresa

La vicenda trae origine da un decreto della Corte di appello di Palermo, che confermava la confisca di un’impresa. Tale misura era stata inizialmente disposta dal Tribunale di Trapani, sezione misure di prevenzione, nei confronti di un soggetto ritenuto socialmente pericoloso. Secondo l’accusa, l’impresa, sebbene formalmente intestata a un’altra persona (il ricorrente), era nella piena disponibilità del proposto, configurando un’ipotesi di intestazione fittizia finalizzata a eludere le normative antimafia.

Il Ricorso in Cassazione e la lamentata Violazione di Legge

La difesa del titolare formale dell’impresa ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge ai sensi dell’art. 125 del codice di procedura penale. La tesi difensiva sosteneva che la motivazione della Corte di appello fosse inesistente o, quantomeno, apparente. In particolare, si contestava che i giudici di merito avessero fondato la loro decisione esclusivamente su una precedente sentenza di proscioglimento per prescrizione relativa al reato di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.), senza condurre un autonomo e approfondito esame probatorio.

La Decisione della Suprema Corte sulla confisca per intestazione fittizia

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una chiara analisi dei principi che regolano l’impugnazione delle misure di prevenzione.

I Limiti del Sindacato di Legittimità

In primo luogo, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, come stabilito dall’art. 10 del d.lgs. n. 159 del 2011 (Codice Antimafia). Questo significa che non è possibile dedurre vizi come l’illogicità manifesta della motivazione, tipici del giudizio penale ordinario. Una motivazione può essere censurata in sede di legittimità solo se è “inesistente” o “meramente apparente”, poiché in tali casi essa si traduce in una violazione della norma che impone l’obbligo di motivare i provvedimenti.

Le Motivazioni

Nel caso di specie, la Corte ha escluso che la motivazione della Corte di appello fosse apparente. Al contrario, i giudici di merito avevano esaminato una pluralità di elementi probatori che andavano ben oltre la mera sentenza di proscioglimento. Tra questi elementi figuravano:

* Le risultanze investigative, inclusi i contenuti di colloqui intercettati che delineavano chiaramente il ruolo di prestanome del ricorrente.
* Le testimonianze di persone che attribuivano la gestione dell’attività commerciale al proposto e non al titolare formale.
* L’analisi temporale, che evidenziava come l’intestazione fittizia fosse avvenuta nel 2009, proprio in concomitanza con l’inizio del periodo di pericolosità sociale del proposto.
* Ulteriori circostanze, come il fatto che il ricorrente risultasse essere prestanome del proposto anche in altre operazioni, quale la locazione di un capannone.

La motivazione della Corte territoriale è stata quindi ritenuta congrua, logica e completa, in quanto basata su un’analisi complessiva degli indizi a disposizione. La censura del ricorrente, secondo la Cassazione, si traduceva in una richiesta di rivalutazione del merito della prova, inammissibile in quella sede.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione riafferma che, per contestare una confisca per intestazione fittizia in Cassazione, non è sufficiente lamentare una presunta illogicità nella valutazione delle prove da parte del giudice di merito. È necessario dimostrare che la motivazione sia completamente assente o talmente generica e tautologica da non permettere di comprendere il percorso logico-giuridico che ha condotto alla decisione.

In un procedimento di prevenzione, è possibile contestare in Cassazione l’illogicità della motivazione di una confisca?
No, il ricorso è ammesso solo per violazione di legge. Un vizio di motivazione è denunciabile solo se la motivazione è inesistente o meramente apparente, non se è semplicemente ritenuta illogica o contraddittoria dal ricorrente.

Su quali elementi si è basata la Corte d’Appello per confermare la confisca per intestazione fittizia?
La Corte si è basata su una pluralità di elementi, tra cui risultanze investigative, intercettazioni, testimonianze che attribuivano l’attività commerciale al proposto e non al ricorrente, e la circostanza che il ruolo di prestanome era iniziato proprio a ridosso del periodo di pericolosità del proposto.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile in questo tipo di procedimento?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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