Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 45009 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 45009 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a BOLOGNA il 05/02/1959 NOME nato a BOLOGNA il 02/01/1983 NOME COGNOME nato a FERRARA il 03/06/1967
avverso il decreto del 14/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1.Con il decreto indicato in epigrafe, la Corte d’Appello di Bologna, sezione misure di prevenzione, rigettava gli appelli proposti dai ricorrenti nelle rispettive qualità, quanto a NOME COGNOME di proposto, e a NOME e NOME COGNOME di terzi interessati – nei confronti del decreto emesso in data 25 settembre 2023 dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Bologna.
Avverso il richiamato provvedimento propone innanzi tutto ricorso per cassazione il proposto NOME COGNOME con il difensore di fiducia NOME COGNOME affidandosi a due motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro limiti richiesti dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 10 comma 3, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per motivazione apparente in ordine al momento della formazione del “diritto vivente” sui requisiti applicativ di cui all’art. 1, lett. b), del medesimo decreto.
Lamenta, in particolare, che sebbene la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 24 del 2019, abbia fatto riferimento ad un’avvenuta ricostruzione del presupposto in questione ad opera della giurisprudenza di legittimità, questa è avvenuta solo dopo la sentenza c.d. De Tommaso della Corte europea dei diritti dell’uomo e, dunque, successivamente all’anno 2017, molto tempo dopo che erano stati acquistati, negli anni 2000 e 2001, i beni oggetto dell misura.
2.2. Mediante il secondo motivo il CUOMO lamenta violazione delle stesse disposizioni, anche in punto di motivazione apparente, rispetto all ricostruzione delle circostanze decisive per la valutazione dei requisiti di all’art. 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011 in ordine al suo inquadram soggettivo.
A tal proposito premette che l’immobile di INDIRIZZO in Bologna è sempre stato l’unica abitazione familiare, valutata come modesta anche dall’amministratore giudiziario, mentre l’immobile di Liscia di Vacca è un appartamento dì 90 mq del quale il figlio NOME aveva la nuda proprietà. Evidenzia, inoltre, che, come risulta dalla documentazione depositata, entrambi
i beni erano stati acquistati in regime di comunione legale dei beni con la moglie NOME COGNOME, rispettivamente negli anni 2000 e 2001, in forza di due regolari contratti di mutuo con ammortamento decennale.
Ciò posto, il ricorrente evidenzia che in quel periodo le entrate delle attività che gestiva erano elevate e che, inoltre, erano intervenuti anche i proventi di vendite immobiliari e beni ricevuti in successione, a seguito della prematura morte della moglie NOME e del decesso dei propri genitori, valori tutti documentati alle pag. 67-68 della proposta applicativa della misura.
Né, peraltro, potrebbe ritenersi che l’acquisto sia avvenuto grazie ai redditi conseguiti in forza delle attività delittuose consistite, come assunto dal provvedimento impugnato, da quelle concretanti mera evasione fiscale.
Rammenta, inoltre, che, come chiarito dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza n. 4880 del 26 giugno 2014, la pericolosità deve essere ancorata al momento dell’acquisto del bene, così come la proporzione rispetto alle risorse economiche e che mancherebbero entrambi i requisiti considerati i mutui stipulati, le rilevanti entrate del periodo, e i finanziamenti pluriennali che ricevevano per consuetudine dalle aziende produttrici di caffè per i locali che gestivano. Deduce, altresì, di aver ricevuto un rimborso IVA di circa 159 milioni di vecchie lire.
Evidenzia ulteriormente che le predette censure si estendono anche alla confisca di quote e beni aziendali di quattro società e delle somme di denaro di euro 70.800,00 e 189.100,00, avvenute in relazione a procedimenti per imputazioni recenti ancora al vaglio del giudice penale.
2.3. Con il terzo motivo NOME COGNOME deduce apparenza della motivazione ed erronea applicazione della legge circa i presupposti della confisca per inosservanza del criterio di correlazione temporale tra condizione soggettiva di pericolosità ed acquisiti immobiliari.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 rispetto ai requisiti applicativi di cui all’art. 1, lett. b), dello stesso decreto per assenza di pericolosità sociale già giudicata con precedente decreto di rigetto di misure di prevenzione personale e reale.
Adduce a riguardo che l’origine lecita dei beni immobili acquistati era stata vagliata anche dal Tribunale di Bologna, con provvedimento confermato dalla Corte d’appello del 30 giugno 2006, nel quale, all’esito del vaglio delle sue
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deduzioni difensive, si era concluso per l’insussistenza di elementi sufficienti anche sul piano della qualità indiziaria per far ritenere che i beni sequestrati fossero frutto di attività criminose.
Sottolinea, in particolare, che, come hanno chiarito le Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 600 del 2009, il principio del ne bis in idem opera anche in materia di prevenzione patrimoniale e che, sebbene esso debba essere declinato rebus sic stantibus, il fatto nuovo o non valorizzato in precedenza deve riferirsi al momento in cui è avvenuto l’acquisito immobiliare, ossia, nella specie, avrebbe dovuto essere riferito agli anni 2000 e 2001.
Propongono ricorsi per cessazione di identico tenore, a mezzo del comune difensore, avv. NOME COGNOME anche i terzi interessati NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandosi a sei motivi, di seguito ripercorsi entro i limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo lamentano violazione dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 circa i requisiti applicativi dell’art. 1, lett. b), dello stes decreto, ripercorrendo le motivazioni con le quali la Corte di Appello di Bologna aveva confermato, il 30 giugno 2006, il diniego di misura di prevenzione, anche patrimoniale, nei confronti di NOME COGNOME
3.2. Con il secondo motivo deducono l’operare del principio del ne bis in idem con peculiare riguardo al bene di Arzachena intestato a NOME COGNOME con riferimento a quanto affermato dalla Corte di Appello di Bologna nel predetto provvedimento.
3.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione del principio di legalità nell’applicazione della normativa, assumendo che le misure sarebbero state fondate su una mera cultura del sospetto.
3.4. Con il quarto motivo i terzi interessati adducono difetto e incongruità della motivazione addotta dal provvedimento impugnato rispetto ai reliquati di supposta pericolosità fondati su un procedimento nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME definitosi per gli stessi positivamente con pronuncia del 2 ottobre 2023.
3.5. Con il quinto motivo, erroneamente rubricato come quarto, chiedono la revoca della misura nei confronti di NOME COGNOME poiché ella vive separata in casa da NOME COGNOME da 15 anni e le sono stati confiscati orologi Cartier e Chopard ereditati dal nonno e piccoli effetti personali di valore affettivo.
3.6. I ricorrenti chiedono, infine, con l’ultimo motivo, l’estensione in proprio favore, ex art. 587 cod. proc. pen., dei motivi di ricorso proposti da NOME COGNOME non aventi carattere esclusivamente personale.
4.1 difensori delle parti hanno depositato in data 18 novembre 2024 memoria con la quale, oltre a replicare alle conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, deducono l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen. nella parte in cui non contempla l’incompatibilità del giudice che ha emesso un precedente provvedimento di sequestro a pronunciare quello di confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.0ccorre premettere, anche se le memorie sono state depositate tardivamente, che la questione di legittimità costituzionale posta con le stesse è manifestamente infondata.
Il collegio condivide, infatti, l’orientamento, già più volte espresso nella giurisprudenza di questa Corte, per il quale è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio di prevenzione patrimoniale del giudice che abbia in precedenza adottato un provvedimento di sequestro, avendo quest’ultimo carattere interinale e provvisorio, inserito in procedimento destinato a concludersi in una pronuncia decisoria finale (Sez. 5, n. 38458 del 18/07/2012, COGNOME, Rv. 253570-01).
2.Andando ad esaminare le censure del proposto NOME COGNOME il primo motivo non è fondato.
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Infatti, con riguardo al requisito della pericolosità sociale contemplato dall’art. 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011 (ed analogo a previsioni dettate dalla normativa previgente all’emanazione del Codice antimafia), la sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale ha disatteso le questioni che erano state sollevate evidenziando una ricostruzione adeguata dei presupposti applicativi di tale requisito nella giurisprudenza della Corte di cassazione, costituente “diritto vivente”.
A differenza di quanto assume il ricorrente, in realtà, non vi è stato alcun momento distonico nell’evoluzione giurisprudenziale tale da poter far ritenere che questi presupposti applicativi siano stati individuai soltanto a partire dalla sentenza De Tommaso del 2017 della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Va ribadito, pertanto, che, in tema di misure di prevenzione, la lettura “tassativizzante” della categoria di pericolosità generica di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 6 settembre 2011 n. 159, affermata nella sentenza della Corte cost. n. 24 del 2019, alla luce dei principi espressi dalla Corte Edu, Grande Camera, nella sentenza 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, trova applicazione anche con riferimento alle condotte antecedenti alla pronuncia del giudice delle leggi, la quale ha recepito l’interpretazione consolidata che la Corte di cassazione ha dato del contenuto della norma, consacrandola quale diritto vivente, sulla cui base sono state ritenute la sufficiente determinatezza della fattispecie, nonché la prevedibilità delle conseguenze della violazione (ex multis, Sez. 2, n. 25042 del 28/04/2022, Amandonico, v. 283559 – 01; Sez. 6, n. 20557 del 10/06/2020, Dezi, Rv. 279556 – 01).
3.11 secondo motivo proposto dallo stesso NOME COGNOME e il quarto motivo dei terzi interessati che veicola analoghe questioni, sono inammissibili.
3.1. Sotto un primo aspetto, tale inammissibilità deriva dalla circostanza che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, come sancito dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n.159 del 2011, disposizione che recepisce quanto già previsto dall’art. 4 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, della legge 31 maggio 1965 n. 575. Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, quanto alla
motivazione, quella inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
E, se è vero che i ricorrenti formulano le proprie doglianze sotto la rubrica della violazione di legge e della motivazione apparente, si dolgono peraltro con censure reiterative di quelle già operate dinanzi alla Corte d’Appello – delle argomentazioni spese dal provvedimento impugnato per ritenere la sproporzione tra le risorse economiche e gli acquisti effettuati nel periodo. E questo significa, tuttavia, aggredire, stante le puntuali motivazioni della Corte territoriale con cui pure in parte il ricorso di NOME COGNOME si confronta, pretendere un inammissibile sindacato sulla congruità e logicità del ragionamento operato dal giudice di merito.
3.2. Per altro verso, la parte del motivo con la quale lo stesso NOME COGNOME adduce che non vi sarebbero nel periodo degli acquisti condotte delittuose rilevanti, al punto da giustificarne la qualificata pericolosità sociale, è manifestamente infondata.
Il provvedimento censurato, infatti, ha posto in rilievo, con una motivazione adeguata, che, come è emerso da accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza, già a partire dall’anno 1997, il CUOMO aveva evaso le imposte per somme significative, tali da superare la soglia di punibilità penale (ad esempio, non dichiarando, per l’anno 1998, corrispettivi per euro 510.879,00 e per l’anno 1999, per euro 511.885,00).
Di qui la decisione si è conformata all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza “Repaci”, la quale ha chiarito che la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260244-01).
Come è stato anche successivamente puntualizzato, pertanto, colui il quale è dedito in modo continuativo a condotte di evasione degli obblighi fiscali presenta una forma di pericolosità sociale che lo colloca nella categoria di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sicché i beni a lui derivanti dal reinvestimento della provvista finanziaria illecitamente realizzata possono essere oggetto di confisca, in quanto provento di delitto (ex plurimis, Sez. 1, n. 20160 del 16/11/2021, dep. 2022, COGNOME
Rv. 283089 – 01; Sez. 2, n. 13566 del 19/02/2019, COGNOME, Rv. 275771 01).
3.3. I motivi si presentano manifestamente infondati anche nella parte in cui deducono che la confisca di alcune quote aziendali e di somme di denaro sarebbe avvenuta in forza di prospettazioni accusatorie recenti, ancora al vaglio dell’autorità penale. Il giudice della prevenzione può infatti ritenere la riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, anche indipendentemente dall’esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, fermo restando che è tenuto a prendere in considerazione, come è avvenuto nella fattispecie in esame, fatti storicamente apprezzabili (ex aliis, Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, COGNOME, Rv. 280207 – 01; Sez. 5, n. 48090 del 08/10/2019, COGNOME, Rv. 277908 – 01).
4.Da quanto evidenziato nel § 3.2. deriva la manifesta infondatezza delle censure di NOME COGNOME anche rispetto al perimetro temporale di riferimento rispetto agli acquisti effettuati, atteso che dagli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza risulta che le evasioni di imposta sono iniziate già con la dichiarazione relativa all’anno 1998.
E’ infondato anche il quarto motivo proposto dallo stesso NOME COGNOME avente tenore analogo rispetto al primo e al secondo motivo dei ricorsi dei terzi interessati e di qui suscettibile di valutazione unitaria con essi.
Occorre ricordare che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nella sentenza “COGNOME“, hanno affermato che il principio del ne bis in idem è applicabile anche nel procedimento di prevenzione, ma la preclusione del giudicato opera rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosità ai fini dell’applicazione di una nuova o più grave misura ove si acquisiscano ulteriori elementi, precedenti o successivi al giudicato, ma non valutati, che comportino un giudizio di maggiore gravità della pericolosità stessa e di inadeguatezza delle misure precedentemente adottate (Sez. U, n. 600 del 29/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245176 – 01).
Di tali canoni il provvedimento censurato ha fatto corretta applicazione, a differenza di quanto assunto dai ricorrenti, poiché la decisione della Corte d’Appello di Bologna del 30 giugno 2006 che aveva denegato la misura di
prevenzione, anche patrimoniale (non essendo all’epoca possibile una valutazione disgiunta rispetto alle misure di prevenzione personale), nei confronti di NOME COGNOME non poteva tenere conto, alla stregua di quanto ha congruamente osservato la stessa decisione impugnata, dell’informativa della Guardia di Finanza del 6 dicembre 2022, dalla quale sono emersi indizi del compimento di delitti di evasione fiscale per rilevanti importi, sin dalla dichiarazione dei redditi dell’anno 1998, da parte di NOME COGNOME per quanto si è già osservato nel § 3.2.
Né il giudizio muta, come assume questi nel suo secondo motivo, rispetto alla posizione del terzo interessato NOME COGNOME poiché nel predetto provvedimento del 30 giugno 2006 non si affermava che egli aveva un’autonoma capacità patrimoniale grazie alla quale aveva acquistato la nuda proprietà dell’immobile di Arzachena, ma che, essendo all’epoca della compravendita appena maggiorenne, detto acquisto era, per l’appunto, avvenuto con le risorse dei genitori.
Venendo ai restanti motivi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME il terzo è inammissibile poiché si limita, senza alcun confronto con il provvedimento impugnato, ad effettuare un generico riferimento ad una sorta di “cultura del sospetto”.
Le doglianze formulate da COGNOME con il quinto motivo non sono pertinenti poiché i monili cui tale ricorrente fa riferimento non risultano oggetto di confisca.
Il rigetto complessivo del ricorso proposto da NOME COGNOME non consente di estendere ai terzi interessati, come essi avevano dedotto con l’ultimo motivo, un eventuale giudicato favorevole ex art. 587 cod. proc. pen.
Pertanto i ricorsi devono essere nel complesso rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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Q.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 novembre 2024
Il Consigliere COGNOME
Il PrIp’elente