Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29486 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29486 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FIRENZE il 31/08/1982
avverso l’ordinanza del 07/02/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG COGNOME NOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 7/2/2025, il Tribunale del riesame di Firenze ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME, indagato per i reati di cui agli artt. 73 e 74, d.P.R. n. 309/90, avverso l’ordinanza reiettiva dell’istanza di dissequestro e restituzione della somma di denaro di cui alla polizza n. 04507237VR, intestata alla defunta nonna di COGNOME, per · l’importo di euro 224.915,23, confluita sul conto corrente dell’indagato.
Il G.i.p. argomentava il rigetto evidenziando come nel caso di specie operasse il disposto di cui all’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. 309/90, in forza del quale deve intendersi “legittimo il sequestro strumentale alla confisca dei beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore equivalente al profitto o prodotto de reato”.
Avverso tale diniego proponeva appello cautelare il difensore, chiedendo l’annullamento del provvedimento e la restituzione delle somme. In base all’assunto difensivo, il giudice, a fronte di un sequestro per sproporzione disposto nel provvedimento genetico, in accoglimento della richiesta del P.M. avanzata a norma degli artt. 85-bis d.P.R. 309/90, 240-bis cod. pen. e 321 cod. proc. pen., avrebbe operato una indebita sostituzione del titolo ablativo, individuando in atti un sequestro per equivalente, ai sensi dell’art. 73, comma 7bis. d.P.R. 309/90, mai chiesto dal P.M.
Il Tribunale del riesame, investito della questione, ha ritenuto che l’interpretazione offerta dal difensore fosse erronea, comprendendosi dal tenore del provvedimento applicativo della misura reale, che il giudice avesse, in accoglimento della richiesta del P.M., inteso applicare il sequestro in forma diretta e per equivalente, a norma degli artt. 73, comma 7-bis, d.P.R. 309/90.
Di conseguenza, era stata dapprima appresa la somma di euro 6.899,74, giacente sull’unico rapporto di conto corrente intestato a COGNOME, successivamente era stata sottoposta a sequestro la somma di euro 85.970,08 e, infine, in data 10/4/2024, era stata sequestrata l’ulteriore somma di euro 224.915,31, proveniente dalla liquidazione della polizza intestata alla nonna di COGNOME, deceduta il 18/7/2023, pervenuta al nipote per via ereditaria.
Avverso l’ordinanza di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore, articolando il seguente motivo unico di ricorso.
Inosservanza o erronea applicazione della legge penale; illogicità e mancanza della motivazione quanto all’applicazione dell’art. 73, comma 7-bis d.P.R. 309/90.
Richiamando le fasi della vicenda cautelare, la difesa rappresenta di avere, con istanza di riesame proposta innanzi al Tribunale di Firenze, contestato la correttezza del provvedimento assunto dal G.i.p. in data 7/6/24, con cui era stata rigettata la richiesta di dissequestro della somma di euro 224.915.31,00.
Era stata puntualmente documentata innanzi al G.i.p. la provenienza lecita della somma in questione, pervenuta all’istante in qualità di erede della nonna (deceduta in data 18 luglio 2023), a seguito della liquidazione della polizza a questa intestata. L’eredità era stata acquisita mesi dopo l’esecuzione del provvedimento genetico di sequestro preventivo.
E’ pacifico che l’importo corrispondente alla liquidazione della polizza ricevuta in eredità non possa essere ritenutéi cosa pertinente al reato, profitto o prodotto del reato. Di conseguenza, non sussiste alcun pericolo che la disponibilità della suddetta somma possa aggravare le conseguenze del reato contestato, essendo dimostrata la sua provenienza lecita.
Non è integrata la fattispecie di confisca in casi particolari prevista dall’art 85 d.P.R. 309/90 e non sussistono le condizioni di applicabilità previste dal comma 1 dell’art. 321 cod. proc. pen.; non ricorre nel caso specifico uno dei requisiti richiesti per l’applicazione della confisca per sproporzione, essendo accertata e giustificata la provenienza lecita del bene ablato.
Il G.i.p., incontestata la provenienza lecita della somma confluita sul conto corrente dell’istante, ha giustificato il diniego sulla base di un diverso tito ablativo, facendo riferimento al sequestro per equivalente previsto dall’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. 308/90, mai chiesto dal magistrato inquirente.
Non solo il riferimento al sequestro per equivalente compare per la prima volta a carico del ricorrente nella ordinanza impugnata, ma detto provvedimento è assolutamente lacunoso con riferimento al profilo del periculum in mora, rispetto al quale il giudice è rimasto silente.
Erra il Tribunale del riesame di Firenze nel sostenere che l’ordinanza cautelare genetica abbia inteso disporre il sequestro per equivalente di cui all’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. 309/90 in relazione alle somme in parola.
Il G.i.p., in accoglimento della richiesta proveniente dal P.M., aveva disposto il sequestro preventivo ex art. 240 cod. pen., 321 cod. proc. pen. e 85-bis d.P.R. 309/90 per la posizione di COGNOME. Non è mai fatta menzione nel provvedimento genetico dell’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. 309/90.
3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di doglianza sono infondati, pertanto il ricorso deve essere rigettato.
Occorre premettere che, in materia di sequestri probatori e preventivi, il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge. In tale nozione si devono ricomprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692 – 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 – 01).
La difesa reitera in sede di legittimità le medesime doglianze proposte innanzi al Tribunale del riesame, sostenendo che le somme ricevute iure ti-kereditatis dal ricorrente non potessero essere oggetto di sequestro, contemplando il provvedimento genetico un sequestro finalizzato alla confisca del danaro dell’indagato ai sensi degli artt. 85-bis e 240-bis cod. pen.
Ebbene, l’assunto difensivo secondo cui i giudici dell’appello cautelare sarebbero addivenuti ad una erronea interpretazione del provvedimento genetico è infondato.
Nel rigettare l’impugnazione, il Tribunale del riesame riporta testualmente il contenuto della motivazione dell’ordinanza genetica, datata 15/5/2023, nella parte in cui si affronta il tema della misura reale adottata a carico di COGNOME per i reati ipotizzati a suo carico (capi 2, 6, 12, 14 e 15 della rubrica), riguardant le fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 (pagg. 107 e 108 dell’ordinanza genetica).
Ivi il giudice della originaria cautela menziona sia la natura del sequestro adottato a carico dell’indagato (sequestro preventivo in funzione della confisca del profitto e del prodotto del reato, ai sensi dell’art. 240 cod. pen.), s espressamente il disposto dell’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. n. 309/90, con riferimento alla possibilità di confiscare “beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto”, formula che riproduce il testo normativo, che consente la confisca per equivalente di somme corrispondenti al profitto.
Tutto ciò ha indotto nel collegio cautelare il convincimento che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il giudice della cautela avesse
disposto non già un sequestro per sproporzione ai sensi dell’art. 240-bis cod.pen., richiamato dall’art. 85-bis d.P.R. n. 309/90, ma un sequestro per equivalente, come consentito dall’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. n. 309/90. Da tale assunto è stata fatta discendere la conseguenza che, nel provvedimento di rigetto emesso in data 7/6/2024, oggetto di appello cautelare, il G.i.p. non avesse mutato i parametri applicativi della misura.
La qualificazione del sequestro come funzionale alla confisca per equivalente, sostenuta nel provvedimento impugnato attraverso puntuali richiami alle parti del testo della ordinanza genetica, rivela la infondatezza delle doglianze difensive.
In particolare, come correttamente osservato dal Tribunale del riesame, è irrilevante l’assenza di pertinenza della somma sequestrata rispetto alle ipotesi di reato contestate, stante la peculiarità della misura cautelare confermata, che prescinde da qualsiasi collegamento eziologico tra beni confiscabili e lo specifico reato contestato (cfr. Sez. 2, n. 21228 del 29/04/2014, RAGIONE_SOCIALE s.p.a., Rv. 259717:” In tema di confisca per equivalente, qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare”).
Sull’argomento si rende necessario richiamare l’arresto delle Sezioni Unite COGNOME, intervenute sul tema della confisca per equivalente nel reato concorsuale, che hanno stabilito, per quanto d’interesse in questa sede, il principio così massimato:”La confisca di somme di danaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, mentre, qualora tale nesso di pertinenzialità non sussista, la stessa deve essere considerata come confisca per equivalente, non potendosi far discendere la qualificazione dell’ablazione dalla natura del bene che ne costituisce l’oggetto. (In motivazione, la Corte ha affermato che il medesimo principio opera in caso di sequestro finalizzato alla confisca, per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti)” (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, Rv. 287756 – 02).
Nella sentenza richiamata, successiva al provvedimento genetico che occupa, le Sezioni Unite hanno affrontato la questione della natura della confisca avente ad oggetto somme di denaro, rivedendo l’affermazione, radicata nella giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la stessa, in ragione della natura
fungibile del bene che ne costituisce l’oggetto, dovrebbe sempre qualificarsi come confisca diretta.
La questione era stata affrontata in numerose, precedenti pronunce delle Sezioni Unite.
Il più risalente orientamento (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, COGNOME, Rv. 228166 e Sez. U, n. 20208 del 25/10/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238700), pur escludendo che la confisca del denaro, come pure il sequestro preventivo alla stessa strumentale, dovesse colpire necessariamente le medesime specie monetarie illegalmente percepite dal reo, stabiliva comunque la necessità della sussistenza di un rapporto pertinenziale con l’illecito (utilit creata, trasformata o acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa).
Diversa la posizione assunta da Sez. U, n. 10561 del 30 gennaio 2014, Gubert, Rv. 258647, che, pur articolando il proprio ragionamento all’interno di un quadro normativo – oggi superato – che non prevedeva la responsabilità da reato dell’ente con riferimento ai reati tributari, ha ritenuto che la confisca de denaro abbia natura sempre diretta (cfr. § 2.5 “Deve essere tenuto ben presente che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta .Qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare”).
Il principio è stato ribadito e sviluppato dalle Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264437), secondo cui, qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate sul conto corrente bancario di cui il soggetto abbia la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura fungibile del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra somma materialmente appresa e reato commesso. Secondo questa impostazione, ciò che rappresenta l’oggetto da confiscare è solo l’esistenza del numerano comunque accresciuto di consistenza a seguito del reato, senza che assumano rilevanza alcuna gli eventuali movimenti che possa aver subito il conto bancario inciso dalla misura.
Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 ha confermato ed esteso il principio che si era andato consolidando, ribadendo l’indifferenza, ai fini dell’ablazione diretta, dell’identità fisica dei beni numerari che ne costituiscono
l’oggetto, non essendo richiesta la loro corrispondenza materiale a quelli illecitamente conseguiti, tenuto conto delle peculiarità del bene-denaro. Pertanto, ai fini dell’ablazione in forma diretta, sono irrilevanti sia altri at monetari eventualmente confluiti nel patrimonio del reo (anche a seguito di versamenti di origine lecita), sia le vicende riguardanti le somme percepite successivamente alla misura di confisca o di sequestro.
Le Sezioni Unite COGNOME hanno sottoposto a rivisitazione i due principali argomenti sui quali si fonda l’affermazione tradizionale, che vuole il denaro sempre oggetto di confisca diretta, quali il carattere intrinseco di fungibilità del bene-denaro e l’effetto normativo di automatica confusione nel patrimonio del reo del profitto o del prezzo monetario conseguito attraverso il reato. Quanto al tema della fungibilità, la Corte ha osservato come la stessa inerisca alla cosa in sé, non riguardando, invece, la prova del nesso di pertinenzialità, il quale consiste in un giudizio di relazione fra bene e reato, indifferente alla natura della res da confiscare. Né detto legame eziologico, che funge da presupposto della confisca in forma diretta, può venire meno solo in ragione della natura fungibile del bene oggetto dell’ablazione, in difetto di alcuna norma che lo consenta. Diversamente opinando, si giungerebbe ad escludere in assoluto che possa aver luogo una confisca per equivalente di somme di denaro, venendosi, di fatto, a creare un tertium genus di ablazione, non previsto dalla legge: oltre alla confisca diretta (che impone l’accertamento del nesso di derivazione della cosa dal reato) e a quella di valore (che prescinde da detto accertamento), troverebbe una propria autonomia classificatoria anche la confisca del denaro, che prescinde dall’accertamento del nesso di derivazione solo in ragione della natura del bene da confiscare. Sul piano strettamente operativo, si osserva che la fungibilità del denaro, sebbene renda più complesso il tracciamento del legame della res con l’illecito penale, non lo rende, di per sé stesso, impossibile. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con riguardo al tema della confusione dell’elemento monetario con il restante patrimonio riferibile al soggetto che subisca la misura, le Sezioni Unite COGNOME evidenziano come detta evenienza debba condurre alla soluzione opposta rispetto a quella affermata dalla giurisprudenza tradizionale. Si deve infatti ritenere che, quando le somme direttamente derivanti dal reato si siano confuse con altre presenti nel patrimonio del soggetto, il bene perda la propria individualità e l’ablazione, avente ad oggetto il tantundem, deve essere sempre considerata, al contrario di quanto si riteneva in passato, una confisca per equivalente (pag. 32 “la confisca del denaro è per equivalente tutte le volte in cui si smarrisce la rintracciabilità fisica del bene”).
Sulla base della ricostruzione compiuta, schematicamente concludendo, le Sezioni Unite indicano in positivo quando la confisca di somme di denaro debba
essere qualificata come diretta e quando, invece, debba essere ritenuta per equivalente. In particolare, la confisca del denaro è diretta nei casi in cui risult che la somma confiscata sia proprio quella derivata dal reato; quando sia dimostrato che l’utilità economica vincolata sia stata acquisita successivamente al reato (surroga, reimpiego) ma allo stesso, in ogni caso, eziologicannente collegata; quando vi sia la prova che il denaro che costituisce profitto o prezzo del reato, una volta versato su un conto, sia stato poi prelevato e utilizzato per l’impiego e per l’acquisto di un ulteriore bene. Al contrario, la confisca del denaro non è diretta nei casi in cui abbia ad oggetto somme sopravvenute o preesistenti rispetto al reato o, comunque, a questo certamente non riconducibili.
4.1. Sebbene l’ordinanza genetica non tracci una precisa distinzione tra confisca diretta e confisca per equivalente, attestandosi sul tradizionale orientamento, ormai superato dalla più recente pronuncia delle Sezioni Unite Massini, si evince dal contesto del provvedimento, nel quale è espressamente citato l’art. 73, comma 7-bis d.P.R. 309/90, che il giudice della cautela abbia voluto riferirsi alla confisca per equivalente. D’altro canto, la natura stessa del bene appreso (somma derivante dalla liquidazione di una polizza acquisita per successione ereditaria), sulla quale non vi è contestazione, rivela l’intendimento del giudice dell’ordinanza genetica.
Quanto all’ulteriore profilo sollevato dalla difesa, riguardante il fatto che al momento dell’esecuzione della misura il ricorrente non avesse ancora ricevuto l’accredito della somma derivante dalla polizza, occorre rilevare come la confisca per equivalente possa riguardare anche beni che vengano ad esistenza successivamente al sequestro stesso e sino al momento di adozione della confisca (così, ex multis, Sez. 6, n. 35789 del 10/07/2024, Russo, Rv. 286974: «Non si estende alla confisca per equivalente il criterio di temperamento della “ragionevolezza temporale” fra le acquisizioni patrimoniali e l’attività illecita richiesto ai fini della confisca di prevenzione e di quella per sproporzione, in quanto, a differenza di queste due ultime forme di ablazione, la confisca per equivalente, quale sanzione di entità commisurata al vantaggio illecito ritratto, consegue all’accertamento della colpevolezza dell’autore in ordine ad uno specifico fatto delittuoso»; Sez. 5, n. 33091 del 14/06/2024, COGNOME, Rv. 286804).
Con riferimento al presupposto del periculum in mora, si richiede che il giudice esprima una motivazione in grado di rivelare la probabilità che il bene interessato dal provvedimento assuma carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o
all’agevolazione della commissione di altri reati .
Il Tribunale del riesame, integrando il provvedimento di rigetto impugnato, ha espresso una conferente motivazione in ordine a detto profilo, richiamando le argomentazioni contenute nell’ordinanza genetica (“è indiscutibile che il mantenimento di una relazione di disponibilità tra gli indagati e il denaro ne protrarrebbe le conseguenze ed agevolerebbe la consumazione di altri.., e che le accurate indagini della GdF hanno fatto emergere che l’indagato NOME COGNOMEunitamente ad altri) ha quale principale o unica fonte di sostentamento quella di commissione di delitti di traffico illecito di droga perpetrato dal sodalizio criminale e pertanto sussiste il concreto pericolo che la disponibilità dei beni per i quali si chiede il sequestro possa consentire loro i reinvestimento delle somme illecitamente accumulate nel circuito legale dell’economia ovvero in analoghe attività criminose”).
Sul potere integrativo del giudice dell’appello cautelare si veda, tra le tante, Sez. 3, n. 42470 del 01/10/2024, COGNOME, Rv. 287140, così massimata:”In tema di misure cautelari reali, l’appello ex art. 322-bis cod. proc. pen. ha effetto devolutivo, attribuendo piena cognizione al giudice del gravame, che, pertanto, può porre rimedio sia all’insufficienza della motivazione, sia alla sua mancanza. (In motivazione, la Corte ha precisato che trova applicazione il principio generale di cui all’art. 604 cod. proc. pen., in forza del quale il giudice del gravame deve provvedere a redigere la motivazione mancante in ordine alla sussistenza dei presupposti per il mantenimento del sequestro preventivo)”.
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In Roma, così deciso il 2 luglio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente