Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24902 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24902 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
DI COGNOME NOMECOGNOME nata a San Ferdinando di Puglia il 22/10/1954
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Milano del 10/1/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 10.1.2025, la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza in data 12.6.2024 di rigetto, da parte della stessa Corte, dell’istanza di revoca totale o parziale della confisca per equivalente, disposta con la sentenza di condanna del marito NOME COGNOME per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di evasione fiscale e per reati tributari, irrevocabile in data 19.2.2015.
1.1 La COGNOME aveva chiesto la revoca del decreto del pubblico ministero di esecuzione della confisca o, in subordine, la revoca parziale della confisca della somma di 200.000 euro corrispondente all’aumento del valore di un immobile sito in Usmate di Velate.
La Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile l’istanza in data 12.6.2024, in quanto la RAGIONE_SOCIALE aveva già proposto analoga istanza, rigettata il 4.7.2018 con ordinanza contro cui era stato presentato reclamo, pure rigettato il 2.12.2019 con ordinanza della stessa Corte milanese, infine confermata dalla Corte di cassazione l’8.7.2020.
Avverso l’ordinanza del 12.6.2024, la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, che veniva riqualificato come opposizione con trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Milano.
1.2 Ciò premesso, la Corte d’Appello, dopo aver celebrato l’udienza, ha dichiara l’istanza inammissibile e, comunque, infondata nel merito.
Premettendo che la Di COGNOME aveva chiesto l’annullamento della ordinanza sul presupposto che nel precedente rigetto del 4.7.2018 si era provveduto solo sulla richiesta di revoca totale e non era stata valutata la richiesta subordinata di revoca parziale, la Corte ha delimitato l’oggetto della vicenda, chiarendo che si tratta di valutare l’apporto economico dato dal coniuge, in regime di separazione, con risorse proprie lecite e tracciabili.
Ha evidenziato, innanzitutto, che nel 2018 la Di Lernia, per quanto risulta dalla prima ordinanza di rigetto, aveva sostenuto la natura reale e non fittizia della proprietà dell’immobile, oggetto di numerosi interventi di ristrutturazione, con aumento di valore a seguito di operazioni finanziate con mutui concessi alla stessa Di COGNOME, che godeva di una sua disponibilità economica. La Corte, tuttavia, aveva ritenuto che le argomentazioni difensive non fossero idonee a confutare le ragioni della confisca, disposta sulla base di elementi che riconducevano l’immobile direttamente a Quartieri e facevano invece ritenere fittizia l’intestazione del bene alla coniuge. Quanto alla revoca totale, l’ordinanza aveva rilevato che la difesa non avesse offerto elementi nuovi per dimostrare la natura reale della titolarità dell’immobile in capo alla Di Lernia. Quanto alla revoca parziale, l’ordinanza rilevava che le entrate della donna, come risultava da una nota informativa del Gico del 20.10.2017, erano modestissime risp etto al valore dell’immobile e che i mutui per la ristrutturazione erano stati concessi in virtù della presenza di Quartieri in qualità di garante.
1.3 Nella prospettiva di valutare se il rigetto della prima istanza avesse già preso in considerazione l’esistenza dei presupposti per la revoca totale e parziale della confisca, la Corte d’Appello ha ritenuto che la prima ordinanza del 2018 aveva specific amente esaminato l’aspetto delle ristrutturazioni, verificando che dalla documentazione bancaria risultasse che era stato espresso parere favorevole al mutuo in favore della Di Lernia facendo esplicito riferimento, quanto alla sua capacità di rimborso, proprio a Quartieri, cliente della banca con giacenze superiori a 1.200.000 euro. I giudici milanesi hanno ribadito, peraltro, che sulla revoca sono stati numerosi gli interventi del giudice dell’esecuzione, il quale ha rigettato ogni
questione relativa alla revoca della confisca per equivalente fino alla concorrenza di 6.767.723,42 euro e alla sua eventuale limitazione.
Dando atto che la difesa della COGNOME ha sostenuto che la banca aveva ritenuto provata la sua capacità di rimborso e che il marito non aveva assunto formalmente la qualità di fideiussore, la Corte d’Appello ha rilevato che su questi punti è già intervenuta la Corte di cassazione con la sentenza dell’8.7.2020, precisando che COGNOME, pur non avendo assunto la qualità di fideiussore, aveva svolto comunque un ruolo nella vicenda.
La Corte d’Appello, quindi, ha ribadito che la RAGIONE_SOCIALE non aveva entrate personali tali da giustificare la concessione del mutuo e che la Corte di cassazione, confermando la precedente ordinanza, avesse dato atto che era stata congruamente esaminata la documentazione prodotta a sostegno del reclamo ed era stato affrontato il tema del valore maturato nel tempo dall’ immobile grazie ai finanziamenti ottenuti per le ristrutturazioni.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore della Di Lernia, articolando un unico motivo, con cui deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 666 , comma 2, cod. proc. pen. nonché la mancanza e contraddittorietà della motivazione.
Il ricorso lamenta che la Corte di Appello ha dichiarato l’inammissibilità, limitandosi ad un generico rinvio all’ordinanza precedente, ma senza confrontarsi con le argomentazioni difensive e, soprattutto, con la copiosa documentazione prodotta.
L’ordinanza ha sviluppato solo apparentemente argomentazioni relative ai documenti, non rilevando che la difesa avesse prodotto nuova documentazione comprovante la capacità reddituale dell’istante e la sua autonomia patrimoniale rispetto al coniuge.
Tuttavia, la Corte d’Appello non ha spiegato perché le entrate finanziarie per centinaia di migliaia di euro pacificamente riconducibili alla Di Lernia e alla vendita di immobili rientranti nella sua esclusiva disponibilità non valesse a superare la prospettazione che vede in Quartieri l’unico titolare dell’immobile e l’unico attore della ristrutturazione.
Emblematico del vizio motivazionale è il ragionamento sviluppato sulla scorta di documenti non presenti nel fascicolo di esecuzione, a cui la Corte ha fatto riferimento semplicemente richiamando le precedenti ordinanze. Si tratta, in particolare, dell’informativa del Gico della Guardia di Finanza del 2017 e della documentazione bancaria relativa al mutuo concesso alla Di Lernia.
Di conseguenza, i giudici non hanno potuto formarsi un giudizio autonomo e completo: la nuova documentazione prodotta dalla difesa avrebbe potuto ricevere
una valutazione di irrilevanza solo se esaminata comparativamente con l’ altra documentazione, che invece non risulta presente nel fascicolo.
La Corte d’Appello non ha spiegato il punto problematico di cui era stata specificamente investita con l’incidente di esecuzione, e cioè perché l’incremento di valore acquisito nell’arco di un trentennio da due immobili acquistati e ristrutturati dalla RAGIONE_SOCIALE con capitale di natura lecita deve ritenersi inquinato per intero dai profitti illeciti accumulati dal marito, peraltro con riferimento a un periodo decisamente più breve, circoscritto al triennio che va dal 2007 al 2010. Di conseguenza, la confisca andava calcolata sull’incremento di valore dell’immobile collegato all’utilizzo di profitti illeciti di Quartieri e non sull’incremento di valore conseguito nel corso degli anni precedenti e successivi al triennio grazie ai profitti leciti della sola Di Lernia.
La Corte d’A ppello di Milano ha omesso completamente di confrontarsi con argomentazioni tese a rideterminare nella somma di 200.000 euro il quantum da assoggettare a confisca, in tal modo deducendo questioni che non avevano formato oggetto della precedente decisione, pur riguardando elementi preesistenti di cui tuttavia non si era tenuto conto nel 2018.
3 Con requisitoria scritta trasmessa il 31.3.2025, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si esporranno.
Il dato da cui muovere è stato correttamente individuato dalla Corte d’Appello di Milano, che ha proceduto da subito alla delimitazione dell’oggetto del proprio accertamento: ‹‹valutare l’apporto economico dato dal coniuge, in regime di separazione, con risorse proprie ›› .
La Di COGNOME, infatti, ha contestato sin dal primo incidente di esecuzione del 2018 la natura reale e non fittizia della titolarità dell’immobile di Usmate Velate, con il ricavato della cui vendita aveva acquistato nel 2016 il fabbricato di Vimercate, che, con decreto del 12.2.2018, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano ha poi individuato tra i beni da assoggettar e a confisca per equivalente in esecuzione della sentenza di condanna irrevocabile di NOME COGNOME.
In questo contesto di fondo, si tratta, in primo luogo, di stabilire se l’opposizione presentata avverso l’ordinanza del 12.6.2024 sia o meno la mera
riproposizione di precedente istanza già rigettata con provvedimento divenuto definitivo.
1.1 Come sopra premesso, dal decreto di esecuzione della confisca della Procura Generale di Milano, risulta che sia stato confiscato nella sua interezza l’immobile di Vimercate, intestato alla RAGIONE_SOCIALE, in quanto acquistato (per la somma di 520.000 euro) con il provento della vendita d ell’ immobile di Usmate Velate (650.000 euro).
Questo secondo immobile era stato acquistato nel 1986-1987 per la somma di 175 milioni di lire e poi soggetto ad una attività di ristrutturazione iniziata nel periodo 2002-2004 con la concessione di un mutuo del Banco di Desio e proseguita nel 2007 con ulteriore richiesta di mutuo fondiario della Di Lernia, accordato per la somma di 200.000 euro, che ha consentito di attribuire all’immobile un consistente aumento di valore.
Dalla documentazione bancaria, risulta che il mutuo è stato concesso nel 2002 alla ricorrente perché il marito era in grado di rimborsarlo, sicché l’onere della ristrutturazione è gravato su Quartieri mentre la Di Lernia non percepiva reddito utilizzabile per rimborsare il mutuo. Risulta anche che alla banca fossero conosciuti i limitati redditi della ricorrente per il periodo 2002-2006.
Peraltro, il secondo mutuo del 2007 è stato in parte destinato da Quartieri per finalità diverse e, in ogni caso, è Quartieri stesso che salda le rate di mutuo con due operazioni del 2008 (con cui bonifica alla Di Lernia somme rilevanti) e del 2016 (con cui estingue il mutuo a mezzo di un accredito giustificato come ‘rientro finanziamento soci RAGIONE_SOCIALE‘, le cui quote Di Lernia e i figli hanno acquisit o grazie a donazione da parte di Quartieri delle quote della RAGIONE_SOCIALE, che pochi giorni dopo si è fusa con la RAGIONE_SOCIALE dando vita alla Nuova RAGIONE_SOCIALE, gestita però sempre da Quartieri).
Conseguentemente, la Procura Generale di Milano conclude che il rapporto preminente del valore assunto dall’immobile a seguito della ristrutturazione , per il tramite dell’investimento di somme attinenti alla sfera patrimoniale del condannato, consente la confisca del valore del bene nella sua interezza.
1.2 Dal provvedimento della Corte d’Appello di Milano di rigetto dell’opposizione presentata dalla Di COGNOME il 2.12.2019 avverso la precedente ordinanza del 4.7.2018, risulta, poi, che fossero stati analizzati i tre mutui contratti per interventi di ristrutturazione sull’immobile di Usmate Velate . Era stata ritenuta la modestia dei redditi dichiarati dalla ricorrente e la limitatezza delle somme conseguite alle dismissioni susseguitesi negli anni degli anni successivi: un sensibile incremento di valore del bene era conseguito solo alla terza ristrutturazione, per effettuare la quale era stato contratto il mutuo da 200.000 euro, equivalente a tutte le somme spese in precedenza; nel fascicolo della banca,
risultava comunque che la capacità patrimoniale per la restituzione era in capo al solo Quartieri.
Dalla sentenza della Terza Sezione di questa Corte (n. 23636 del 2020) che ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso avverso l’ ordinanza del 2.12.2019, risulta ‹‹ che al termine del giudizio egli (ndr. Quartieri) fu ritenuto responsabile del reato contestato, con un profitto derivante da mancati versamenti di imposta pari a oltre 6,7 milioni di euro; che sulla base di tale giudizio definitivo, il pubblico ministero dispose la confisca dei beni del condannato, tra essi includendo le quote e i beni della società RAGIONE_SOCIALE, tra i quali l’immobile sito in Vimercate; che il sequestro “per equivalente” disposto nei confronti della società si fonda sul presupposto che l’effettivo titolare e gestore della società fosse il sig. COGNOME e l’intestazione della società in capo alla ricorrente fosse meramente fittizia ›› .
E la sentenza aggiunge che ‹‹ contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte di Appello non sembra affatto avere trascurato la documentazione in allora prodotta a sostegno dei reclami. La motivazione delle ordinanze, infatti, affronta i temi relativi al valore che l’immobile ha maturato nel tempo, alla natura dei lavori effettuati grazie ai finanziamenti ottenuti e alla proporzione fra quanto investito e i redditi personali della sig.ra COGNOME. Quanto, poi, alla garanzia offerta dal sig. COGNOME, la Corte di Appello opera un riferimento alla documentazione interna all’istituto di credito, da cui emerge che, indipendentemente dalla garanzia fidejussoria, soltanto la posizione e la storia personale del sig. COGNOME nonché l’entità dei suoi depositi assicuravano la banca circa la capienza e la solvibilità della di lui moglie ›› .
2 Ciò posto, il ricorso odierno sostiene che l’elemento nuovo è costituito dalla documentazione che era stata allegata all’ultima istanza e che è stata depositata unitamente al ricorso a fini di autosufficienza.
Ebbene, dall’esame della documentazione in questione risulta che si tratti di allegati relativi ad aspetti -i redditi da lavoro della Di COGNOME e le somme da lei percepite in occasione di alcune cessioni di cubatura edificatoria e di quote sociali tra il 2013 e il 2015 -che erano stati già apprezzati nel precedente incidente di esecuzione.
La complessiva capacità reddituale della ricorrente -valutata nella sua oggettività sulla base dei medesimi dati forniti oggi -era stata già dettagliatamente stimata come inidonea a fare fronte alle spese di ristrutturazione dell’immobile di Usmate Velate e al rimborso dei mutui bancari.
Del resto, il ricorso, su questo punto, rimane non a caso generico, perché non indica la rilevanza della documentazione prodotta e soprattutto la sua specifica attitudine ad inficiare le conclusioni dei precedenti provvedimenti.
Di conseguenza, è da ritenersi che effettivamente l’ultima istanza della Di COGNOME sia basata sui medesimi elementi di quelle precedenti, nel senso che non rappresenta dati di fatto -sopravvenuti o preesistenti -che non fossero già stati presi in considerazione, né tantomeno articola questioni di diritto inedite.
Benché la Corte d’Appello di Milano, nel dichiarare la inammissibilità dell’istanza stessa, ne affermi incidentalmente anche la sua infondatezza nel merito, ciò nondimeno è da rilevarsi, comunque, la preclusione processuale che, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., determina la inammissibilità dell’istanza meramente reiterativa di una domanda già esaminata e che si limiti a riproporre identiche questioni in assenza di nuovi elementi, conseguendone anche la inammissibilità del ricorso per cassazione proposto, pure laddove la decisione impugnata abbia preso in considerazione il merito (v. Sez. U, n. 40151 del 19/4/2018, Avignone, Rv. 273650 – 01).
In secondo luogo, il ricorso fa riferimento all’altro argomento con cui l’opposizione contrastava la declaratoria di inammissibilità dell’istanza , e cioè che, in realtà, il giudice dell’esecuzione non si fosse mai espressamente pronunciato sulla richiesta subordinata di rideterminazione del quantum da assoggettare a confisca.
La richiesta, per come reiterata nel ricorso, si fonda essenzialmente sulla circostanza che i profitti illeciti accumulati da Quartieri riguardano il solo triennio che va dal 2007 al 2010 e che, pertanto, la confisca avrebbe dovuto essere calcolata sull’incremento di valore dell’immobile di Usmate Velate derivante dall’utilizzo di quei profitti e non anche su quello che si era determinato precedentemente o successivamente.
Anche in questa parte, il ricorso è da ritenersi manifestamente infondato, perché trascura di considerare che quella disposta all’esito del processo nei confronti di NOME COGNOME è una confisca per equivalente.
Come recentemente ribadito da questa Corte, la confisca per equivalente del profitto del reato assolve, così come la confisca diretta, ad una funzione recuperatoria e ha funzione sanzionatoria in quanto avente ad oggetto beni privi del rapporto di derivazione dal reato (Sez. U, n. 13783 del 26/9/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287756 – 03).
Il modello della confisca per equivalente, alternativo a quello della confisca diretta, prevede che, una volta accertata la indisponibilità attuale del bene da confiscare in via diretta, si proceda all’apprensione del tantundem in una sede economica diversa, ovvero di un bene di valore uguale a quello che costituisce il profitto o il prezzo del reato e che sarebbe stato confiscato se fosse stato rinvenuto.
Uno dei tratti qualificanti l’istituto è stato da tempo individuato nell’assenza di un nesso di pertinenzialità tra il reato e i beni oggetto della confisca (cfr., per esempio, Sez. 3, n. 20887 del 15/4/2015, Aumenta, Rv. 263408 -01; Sez. 2, n. 31229 del 26/6/2014, Borda, Rv. 260367 -01; Sez. 2, n. 21228 del 29/4/2014, Riva, Rv. 259717 -01).
Del resto, sin dal decreto di esecuzione della confisca della Procura Generale l’individuazione dell’immobile di Vimercate come bene da confiscare era stata espressamente basata sull’assunto che ‹‹ non è richiesto in tema di confisca per equivalente il nesso di pertinenzialità tra il bene oggetto di confisca e il profitto del reato, e che pertanto non è necessario che l’operazione di investimento delle somme destinate alla ristrutturazione sia collocabile in un periodo comunque coincidente o non lontano (antecedente o successivo) a quello nel quale erano in via di realizzazione le condotte penalmente rilevanti, per le quali è intervenuta sentenza di condanna definitiva››.
Come si vede, dunque, anche questa doglianza costituisce la mera riproposizione di questione già specificamente risolta sin dal 2018, e peraltro anche manifestamente infondata nel merito.
4 Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen, al pagamento delle spese processuali e di una somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso l’11.4.2025