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Confisca per equivalente: quando il ricorso è nullo

Una persona condannata con patteggiamento per riciclaggio ha impugnato la sentenza contestando la confisca per equivalente di una somma di denaro, sostenendo che una parte di essa era già stata sequestrata. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che la confisca definitiva assorbe il precedente sequestro preventivo e che eventuali errori di calcolo vanno contestati in fase di esecuzione, non tramite l’impugnazione della sentenza.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per Equivalente: la Cassazione ne Delinea i Limiti di Impugnazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla confisca per equivalente e sui limiti all’impugnazione di una sentenza di patteggiamento. La decisione analizza il rapporto tra sequestro preventivo e confisca definitiva, stabilendo quando un ricorso debba essere considerato inammissibile. Approfondiamo i dettagli di questa pronuncia per capire le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal G.i.p. del Tribunale di Bologna. L’imputata, accusata di concorso in associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e di cinque reati di riciclaggio, concordava una pena di due anni di reclusione.

Oltre alla pena detentiva, il giudice disponeva la confisca di somme di denaro, beni o altre utilità per un valore di 132.350,00 euro, corrispondente al profitto illecito derivante dai reati di riciclaggio. L’imputata, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per cassazione, contestando non la pena, ma proprio la misura di sicurezza patrimoniale applicata.

Il Ricorso in Cassazione e la Confisca per Equivalente

Il motivo del ricorso si concentrava su una specifica somma di 79.850,00 euro, inclusa nel totale da confiscare. Questa somma, infatti, era stata trovata in possesso dell’imputata e già sottoposta a sequestro preventivo da parte del G.i.p. di un altro Tribunale (Verona) in una fase precedente del procedimento.

Secondo la difesa, il giudice di Bologna avrebbe errato nel disporre la confisca per equivalente sull’intero importo di 132.350,00 euro. L’alternativa proposta era duplice: o la restituzione della somma già sequestrata, oppure la riduzione dell’importo totale della confisca a 52.150,00 euro (la differenza tra il profitto totale e la somma già in sequestro). In sostanza, si lamentava una potenziale duplicazione della misura ablativa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e, di conseguenza, inammissibile. La motivazione della Corte si basa su un principio cardine del nostro ordinamento processuale, sancito dall’art. 323, comma 3, del codice di procedura penale.

Secondo tale norma, quando viene emessa una sentenza di condanna che dispone la confisca di beni già sottoposti a sequestro, gli effetti del sequestro stesso permangono. In altre parole, il sequestro preventivo, che è una misura cautelare e provvisoria, si trasforma e viene “assorbito” dalla confisca, che è una misura di sicurezza definitiva. Non vi è quindi alcuna duplicazione.

La Corte ha specificato che la confisca della somma di 79.850,00 euro, disposta dal G.i.p. di Bologna, include implicitamente la somma corrispondente che era già stata oggetto del sequestro preventivo a Verona. Pertanto, la misura applicata era del tutto legittima.

Infine, i giudici di legittimità hanno sottolineato un aspetto cruciale: eventuali errori di calcolo o di individuazione dei beni da confiscare non possono essere fatti valere impugnando la sentenza di patteggiamento. Si tratta di questioni che attengono alla fase esecutiva della sentenza e che devono essere sollevate davanti al giudice dell’esecuzione, l’organo competente a risolvere le problematiche che sorgono nell’applicazione concreta della pena e delle misure di sicurezza.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la confisca disposta in sentenza non è una misura autonoma e distinta rispetto al sequestro preventivo che l’ha preceduta, ma ne rappresenta l’evoluzione naturale e definitiva. Chi intende contestare non l’illegalità della misura in sé, ma le modalità con cui essa viene eseguita (ad esempio, sostenendo che si stia confiscando più del dovuto), deve adire il giudice dell’esecuzione. L’impugnazione della sentenza di patteggiamento non è lo strumento corretto per sollevare tali questioni, il che porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Se una somma di denaro viene prima sequestrata e poi confiscata, si tratta di una duplicazione della sanzione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la confisca disposta con la sentenza di condanna assorbe e rende definitivo il sequestro preventivo già esistente sulla stessa somma. Non è una duplicazione, ma la fase finale della misura cautelare.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per contestare l’importo della confisca?
L’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è limitata a casi specifici, come l’illegalità della pena o della misura di sicurezza. In questo caso, la Corte ha ritenuto che il motivo non riguardasse un’illegalità intrinseca della misura, ma una questione relativa alla sua esecuzione, dichiarando quindi il ricorso inammissibile.

Cosa succede agli effetti di un sequestro preventivo dopo una sentenza di condanna che dispone la confisca?
Secondo l’art. 323, comma 3, del codice di procedura penale, se viene pronunciata una sentenza di condanna che dispone la confisca delle cose già sequestrate, gli effetti del sequestro preventivo permangono e si convertono nella misura di sicurezza definitiva della confisca.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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