Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22524 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22524 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOMECOGNOME nato a Castellammare di Stabia il 02/05/1980 NOMECOGNOME nato a Catania il 09/08/1980
avverso l’ordinanza del 17/09/2024 del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
La qui impugnata ordinanza del 17/09/2024 del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria è stata emessa in esito al giudizio di rinvio a seguito di Sez. 6, n. 17659 del 07/03/2024, con la quale era stato disposto l’annullamento dell’ordinanza del 06/09/2023 del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria che era stata emessa in esito al giudizio di rinvio a seguito di Sez. 2, n. 13915 del 05/04/2022. Sentenza, questa, con la quale era stata annullata la confisca che era stata disposta con la sentenza del 01/10/2021 del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria di applicazione della pena su richiesta.
Con l’impugnata ordinanza del 17/09/2024, il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, per quanto qui interessa, ha disposto: 1) la confisca per equivalente di alcuni rapporti finanziari, di un’autovettura e di alcune partecipazioni societarie nei
confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di cui capo El) (art. 4 del d.lgs. 1 marzo 2000, n. 74, dichiarazione infedele relativa all’IVA) fino alla concorrenza di C 1.450.413,00 e in ordine reato di cui al capo E2) (art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, omissione della dichiarazione relativa all’IVA per l’anno 2019) fino a concorrenza di C 1.770.348,63; 2) la confisca per equivalente di alcuni rapporti finanziari, di due autovetture e di una partecipazione societaria nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di cui al capo G10.1 (art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, omesso versamento di IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per l’anno 2018, in concorso con altri tre soggetti) fino alla concorrenza di C 441.017,50 e in ordine al reato di cui al capo G10.2 (art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, omesso versamento di IVA indicata nella dichiarazione dei redditi come IVA periodica versata per l’anno 2019, in concorso con altri tre soggetti) fino a concorrenza di C 280.875,50.
Per tali reati, con la menzionata sentenza del 01/10/2021 del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, sia al COGNOME sia al COGNOME era stata applicata la pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
Avverso l’ordinanza del 17/09/2024 del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME si riferisce specificamente al punto dell’ordinanza impugnata relativo alla confisca dei beni che furono sequestrati il 08/04/2021 in esito alla perquisizione personale e locale che era stata disposta con decreto del pubblico ministero del 06/04/2021.
Il ricorso è affidato a un unico motivo, con il quale il COGNOME lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 262, commi 1 e 3, dello stesso codice, «per mancata restituzione di beni oggetto di sequestro probatorio mai convertito ai sensi dell’art. 262 co 3 c.p.p.», nonché, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il «ifetto e/o contraddittorietà della motivazione (rectius motivazione apparente) quanto alla ritenuta conversione del sequestro probatorio in preventivo».
Nel trascrivere la memoria che aveva depositato davanti al G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria il 11/09/2024, il ricorrente ribadisce l’impossibilità della confisca dei suddetti beni in quanto oggetto di sequestro probatorio, conseguente alla menzionata perquisizione, mai “convertito” nella misura cautelare del sequestro preventivo.
Il COGNOME deduce la natura meramente apparente della motivazione che è stata resa al riguardo dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria alle pagg. 47-48 dell’ordinanza impugnata in quanto asseritamente del tutto avulsa dalle risultanze processuali atteso che: a) «I sequestro preventivo d’urgenza è antecedente al
decreto di perquisizione, sicché non ha potuto convertire ciò che non era ancora venuto ad esistenza»; b) «l titolo cautelare reale al momento della sua emissione non poteva prevedere quali fossero i beni che solo successivamente venivano concretamente appresi dalla P.G. operante all’esito della perquisizione»; c) «I sequestro preventivo d’urgenza veniva emesso dai rappresentanti dell’accusa i quali non potevano ‘convertire’ alcunché», ma potevano solo richiedere al G.i.p. l’emissione del provvedimento cautelare reale dei beni che erano stati appresi a seguito della perquisizione, iniziativa, però, mai posta in essere.
Il COGNOME ribadisce conclusivamente che non «esiste qualsivoglia provvedimento del G.I.P., o del G.U.P., che abbia mai disposto la conversione dei beni specificamente appresi in sede di perquisizione e sequestro probatorio in data 08.04.2021, i quali, pertanto, venivano confiscati in ragione di un provvedimento “inesistente”».
4. Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a un unico motivo con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. l’«omessa motivazione sì da manifestarsi totalmente illegittima ed ingiusta».
Dopo avere trascritto la motivazione dell’ordinanza impugnata, il ricorrente lamenta che il G.i.p. «nessuna osservazione effettua circa la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge al fine di disporre la confisca dei beni sequestrati sig. COGNOME», con la conseguente mancanza della motivazione.
4.1. Il COGNOME espone che, all’udienza del 11/05/2023, aveva depositato una memoria finalizzata a dimostrare «la proporzionalità tra i beni sequestrati all’imputato ed il reddito dichiarato dallo stesso oltre che – soprattutto – la leci provenienza dei suddetti beni» e nella quale aveva sottolineato che, con riferimento alla propria posizione, il G.i.p. COGNOME del Tribunale di Reggio Calabria aveva rigettato la richiesta di sequestro evidenziando l’inesistenza della sproporzione tra i redditi da lui dichiarati e i beni da lui posseduti. Tal provvedimento, che non era stato impugnato – con la conseguenza che, in ordine allo stesso, era intervenuto il cosiddetto “giudicato cautelare” – farebbe «ben comprendere l’erroneità e la mancanza di motivazione del provvedimento avverso cui oggi si ricorre».
Il COGNOME ribadisce che il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria avrebbe omesso qualsiasi menzione e, quindi, valutazione, delle prospettazioni della propria difesa «in merito alla proporzionalità tra i beni sequestrati e il reddit dichiarato oltre alla loro assolutamente lecita provenienza», con la conseguente omessa motivazione.
Lo stesso G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria avrebbe omesso di indicare la ragioni «per pervenire alla pertinenzialità tra quanto sequestrato e la presunta partecipazione del sig. COGNOME all’associazione, né tantomeno la sproporzionalità dei suddetti beni con il reddito dichiarato dal COGNOME; mancano cioè tutti i presupposti applicativi della norma di cui all’art. 12 sexies DL 306/92».
4.2. Secondo il ricorrente, il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria avrebbe anche motivato in modo apparente con riguardo all’applicazione del principio che era stato affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione all’esito dell’udienza del 26/09/2024 e di cui all’informazione provvisoria n. 12, atteso che tale principio «avrebbe imposto un preciso accertamento delle quote di presunto arricchimento dei singoli concorrenti ed in particolare del COGNOME, che riveste certamente una posizione particolare e minore, anche in termini di partecipazione fisica».
A tale proposito, il COGNOME deduce che il GRAGIONE_SOCIALE. non avrebbe tenuto conto dei seguenti elementi, desumibili dagli atti del processo, «che si sarebbero dovuti utilizzare per calcolare il singolo arricchimento»: 1) «onfrontando quanto riportato a pag. 59 cpv. IV dell’impugnata Ordinanza, le somme non sarebbero dovute in tal misura in considerazione del fatto che l’utilizzo delle cd. Lettera d’Intenti annullerebbe/abbatterebbe il pagamento dell’IVA, mentre il Giudicante sembra effettuare un percorso motivazionale che considera criticamente accettato un ragionamento implicante la presunta inesistenza dell’operazione fiscale con la conseguente applicabilità nel calcolo dell’IVA di somme invece non dovute; ciò determina un palese difetto di motivazione e di logicità nella parte in cui attribuisce erroneamente somme in parti uguali da pagare»; 2) «Erroneità nel calcolo della somma dovuta. Infatti non si comprende perché COGNOME venga inserito nel calcolo del 2018, periodo in cui è estraneo al reato. Non si dimentichi che il COGNOME è monitorato esclusivamente dal Marzo al Maggio 2019»; 3) on riferimento all’ultimo paragrafo di pag. 50, dell’impugnata Ordinanza del 26.09.2024, il Giudicante avrebbe dovuto concretamente verificare le presunte quote di arricchimento in maniera analitica (mese per mese) verificando altresì il periodo di partecipazione del COGNOME al fatto reato. Non avendolo effettuato questa verifica, ancora una volta il Giudicante incorre nella illogicità della motivazione», atteso che, nel caso di specie, «le dichiarazioni acquisite consentivano di ripartire mese per mese le somme presuntivamente non versate e dovevano essere ripartite tra tutti, ma solo per il periodo di reale partecipazione al reato che per COGNOME è minimo». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, attesa la manifesta infondatezza del suo unico motivo.
Si deve anzitutto rilevare che, dalla lettura dell’ordinanza impugnata, emerge che la confisca dei beni del ricorrente è stata ordinata dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria ai sensi dell’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 e dell’art. 240 cod. pen., avendo a oggetto beni, di cui il COGNOME aveva la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto dei reati di dichiarazione infedele al fine d evadere VIVA (art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000) e di omessa dichiarazione sempre al fine di evadere VIVA (art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000) di cui ai capi rispettivamente, El) ed E2) dell’imputazione, per i quali, con la sentenza del 01/10/2021, allo stesso COGNOME era stata applicata la pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen.
Si tratta, pertanto, di confisca per equivalente e, altresì, obbligatoria.
L’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 stabilisce infatti che, «el caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un val corrispondente a tale prezzo o profitto» (comma 1).
Ciò posto, si deve osservare che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria costituisce una misura cautelare reale strumentale alla stessa confisca, in quanto è diretto ad assicurare l’effettività di tale misura di sicurezza ablatoria “finale”.
Ciò non significa, tuttavia, contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, che l’ordine, da parte del giudice, di quest’ultima misura ablatoria presupponga necessariamente un precedente provvedimento di sequestro preventivo dei beni, atteso che ciò: a) non è previsto da alcuna norma di legge, dovendosi in proposito anche rilevare che l’esercizio del potere cautelare di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., è discrezionale, come è rivelato dall’impiego del verbo modale «può» che figura in tale comma (su tale aspetto: Sez. U, n. 369959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848-01); b) non discende logicamente dall’indicata strumentalità del sequestro preventivo rispetto alla confisca, atteso che tale strumentalità implica soltanto che la mancanza di un previo provvedimento cautelare potrebbe pregiudicare l’effettività della misura ablativa “finale” della confisca ma non anche che questa non possa essere disposta in assenza del provvedimento cautelare anticipatorio.
Quanto, poi, al rispetto del contraddittorio, si deve ritenere che, venendo in rilievo una confisca obbligatoria che è connessa ai titoli di reato di cui all imputazioni, tale rispetto risulti assicurato dalla correlazione tra le stess imputazioni e la sentenza.
Pertanto, l’eventuale lamentata mancanza di un provvedimento di sequestro preventivo dei beni ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., non comportava, diversamente da quanto è ritenuto dal ricorrente, l’impossibilità di ordinare la confisca degli stessi beni ai sensi dell’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 e dell’art. 240 cod. pen.
Il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, attesa la manifesta infondatezza del suo unico motivo.
2.1. Si deve anzitutto rilevare che, dalla lettura dell’ordinanza impugnata, emerge che la confisca dei beni del ricorrente è stata ordinata dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria ai sensi dell’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 e dell’art. 240 cod. pen., avendo a oggetto beni, di cui il COGNOME aveva la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto dei reati di omesso versamento dell’IVA (art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000) di cui ai capi G10.1 e G10.2 per i quali, con la sentenza del 01/10/2021, allo stesso COGNOME era stata applicata la pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen.
Si tratta, pertanto, di confisca per equivalente, e non di confisca “per sproporzione” ex art. 240-bis cod. pen. (la quale, peraltro, non sarebbe stata neppure astrattamente possibile in relazione al delitto di omesso versamento di IVA, non essendo lo stesso compreso tra quelli con riguardo ai quali l’art. 12-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 consente la confisca “per sproporzione”).
Ne discende la manifesta infondatezza delle doglianze del ricorrente incentrate sull’asserita dimostrazione della lecita provenienza dei beni a lui confiscati e della proporzionalità del loro valore rispetto al suo reddito e, i generale, sulla mancanza dei presupposti applicativi dell’art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, come pure delle doglianze che fanno riferimento al provvedimento con il quale il G.i.p. (COGNOME) non aveva convalidato il sequestro preventivo che era stato disposto dal pubblico ministero ai sensi di detto art. 12-sexies, trattandosi di doglianze che non sono conferenti rispetto alla fattispecie.
Lo stesso è a dirsi con riguardo alla doglianza che fa riferimento alla «pertinenzialità tra quanto sequestrato e la presunta partecipazione del sig. COGNOME all’associazione», atteso che la confisca per equivalente non si basa, evidentemente, sul nesso di pertinenzialità della res rispetto al reato.
2.2. Quanto alle ulteriori censure che attengono alla quantificazione del profitto conseguito dal ricorrente, con la sentenza n. 13783 del 26/09/2024,
COGNOME, che è stata nel frattempo depositata, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato il principio secondo cui, «n caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali».
A tale proposito, si deve anzitutto dire che il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria ha correttamente assunto, quale profitto dei reati di omesso versamento di IVA di cui ai capi G10.1 e G10.2, gli importi di tale non versata imposta che risultavano dalla sentenza di “patteggiamento” del 01/10/2021, atteso che tale sentenza, in punto di responsabilità, era ormai definitiva.
Attesa tale definitività dell’accertamento dell’omesso versamento di IVA per gli importi di cui agli indicati capi d’imputazione, ne discende che non sono consentite le doglianze con le quali il ricorrente ha contestato la determinazione dell’IVA dovuta e non versata (n. 1 del punto 4.2 della parte in fatto) o ha dedotto la propria parziale estraneità al reato (n. 2 del punto 4.2 della parte in fatto).
In secondo luogo, quanto alle doglianze con le quali il COGNOME ha lamentato che il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria abbia ripartito l’arricchimento derivato dai due reati in parti uguali tra i quattro concorrenti, in applicazione della «regola di chiusura» indicata dalle Sezioni unite con la menzionata sentenza COGNOME, si deve rilevare come, a fronte della motivazione dello stesso G.i.p. circa l’indisponibilità di elementi che consentissero di determinare la quota di arricchimento che era stata conseguita da ciascuno dei concorrenti – con la conseguente applicabilità della suddetta «regola di chiusura» della ripartizione in parti uguali – le stesse doglianze si appalesino come generiche, atteso che il COGNOME non ha indicato da quali specifici atti del processo sarebbe risultata la minor misura, rispetto a quella di un quarto, dell’arricchimento da lui conseguito, essendosi in sostanza limitato, anche con la doglianza di cui al n. 3 del punto 4.2 della parte in fatto, a ribadire la propria parziale estraneità ai fatti, in contra con il giudicato di cui alla sentenza di “patteggiamento” del 01/10/2021.
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 24/04/2025.