LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Confisca per equivalente: quando è legittima? Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore contro la confisca per equivalente disposta sui suoi beni personali a seguito di un patteggiamento per reati tributari. Il ricorso è stato ritenuto generico poiché l’imputato non ha fornito alcuna prova della disponibilità di denaro o beni nella società per una confisca diretta, rendendo legittima quella per equivalente.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per equivalente: la Cassazione stabilisce quando è legittima sui beni dell’amministratore

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 35336 del 2024, affronta un tema cruciale nei reati tributari commessi nell’ambito di una società: la confisca per equivalente. La pronuncia chiarisce le condizioni che rendono legittimo aggredire il patrimonio personale dell’amministratore quando non è possibile recuperare il profitto del reato direttamente dalla persona giuridica. Questo principio è fondamentale per comprendere la responsabilità patrimoniale di chi gestisce un’impresa.

Il caso: reato tributario e patteggiamento

Il punto di partenza è una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Spoleto. Un amministratore di società veniva condannato per il reato previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000 (omesso versamento di IVA). Oltre alla pena concordata, il giudice disponeva la confisca di denaro e beni nella sua disponibilità personale, fino a un importo di quasi 300.000 euro, a titolo di confisca per equivalente.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse errato. La doglianza principale riguardava la mancanza di motivazione sulla presunta impossibilità di procedere con una confisca diretta sui beni della società. Secondo la difesa, prima di aggredire il patrimonio dell’amministratore, il giudice avrebbe dovuto verificare e dare atto dell’assenza di denaro nelle casse sociali.

La decisione della Suprema Corte e la confisca per equivalente

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile per genericità. Secondo gli Ermellini, l’imputato non ha adempiuto a un onere fondamentale: quello di fornire una prospettazione concreta e supportata da elementi fattuali dell’esistenza di beni o denaro della persona giuridica sui quali sarebbe stato possibile effettuare una confisca diretta. La difesa si era limitata a sollevare una mera ipotesi, senza alcun riscontro, sulla potenziale capienza del patrimonio sociale.

Il principio consolidato sull’onere della prova

La sentenza ribadisce un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di un’entità giuridica, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente sui beni dell’imputato è legittimo se si basa sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato presso la società. Tale presupposto si considera valido se, successivamente, l’imputato stesso non indica beni specifici nella disponibilità della società sui quali la confisca diretta potrebbe essere eseguita.

In pratica, l’onere di allegazione si sposta sull’imputato. Non è sufficiente contestare genericamente la misura, ma occorre indicare attivamente quali sono le risorse societarie disponibili.

Le Motivazioni

La Corte motiva la sua decisione di inammissibilità sulla base della ‘genericità’ del ricorso. Il ricorrente non ha fornito alcun elemento, nemmeno a livello di mera prospettazione, che potesse far dubitare della correttezza della decisione del giudice di merito. La linea difensiva è stata giudicata una ‘mera ipotesi’, priva di qualsiasi riscontro, circa la capienza patrimoniale della persona giuridica. La Cassazione, richiamando precedenti conformi, ha sottolineato come spetti all’imputato, che intende evitare la confisca per equivalente dei propri beni, il compito di indicare i beni della società sui quali lo Stato potrebbe soddisfarsi direttamente. In assenza di tale indicazione, la presunzione di impossibilità di reperire il profitto del reato presso l’ente rimane valida e legittima l’azione sul patrimonio personale dell’amministratore.

Le Conclusioni

La sentenza ha importanti implicazioni pratiche per gli amministratori di società. Chiunque si trovi ad affrontare un’accusa per reati tributari e voglia contestare una misura di confisca per equivalente sui propri beni personali non può limitarsi a una contestazione astratta. È necessario dimostrare, o quantomeno allegare in modo circostanziato, che la società dispone di fondi o beni sufficienti a coprire il profitto del reato. In mancanza di questa prova attiva, i tribunali considereranno legittima l’aggressione al patrimonio personale dell’amministratore. La decisione rafforza quindi il principio secondo cui la responsabilità patrimoniale per i reati d’impresa può estendersi direttamente a chi ha agito in nome e per conto dell’ente.

In caso di reato tributario di una società, è possibile procedere con la confisca per equivalente direttamente sui beni dell’amministratore?
Sì, è legittimo procedere alla confisca per equivalente dei beni personali dell’amministratore se si presuppone l’impossibilità di recuperare il profitto del reato direttamente dalla società e se l’imputato non indica beni specifici della società su cui effettuare la confisca diretta.

Cosa deve fare l’amministratore per contestare la confisca per equivalente sui suoi beni?
L’amministratore deve andare oltre una generica contestazione. Ha l’onere di indicare in modo specifico e concreto i beni (denaro o altre utilità) presenti nel patrimonio della società che siano disponibili per una confisca diretta, fornendo elementi a supporto della sua affermazione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo specifico caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per genericità. La difesa si è limitata a una mera ipotesi sulla possibile capienza del patrimonio sociale, senza fornire alcun riscontro o prospettazione dettagliata. Questa mancanza ha reso la doglianza inefficace, confermando la legittimità della confisca disposta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati