Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14341 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14341 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME ad Arezzo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della CORTE DI CASSAZIONE del 12/05/2023;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
lette le conclusioni scritte con cui il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 12 maggio 2023, n. 27945, la Corte di Cassazione, Quinta sezione penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da NOME COGNOME contro la sentenza della Corte di appello di Firenze del 9 ottobre 2020, che aveva confermato la condanna a lui inflitta in primo grado, in rito abbreviato, dal Tribunale di Siena con sentenza del 25 gennaio 2018 per il reato dell’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, commesso quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, per l’anno di imposta 2012.
Con la sentenza di condanna, confermata in appello, il giudice dell’abbreviato ha disposto nei confronti di COGNOME la confisca anche per equivalente del profitto del reato pari ad euro 338.975.
In sede di appello l’imputato ha dedotto che la confisca per equivalente disposta nei confronti dei beni dell’imputato era illegittima, perché sarebbe stata possibile la confisca diretta sui beni della società, che è preliminare alla confisca per equivalente sui beni del reo.
La sentenza di secondo grado ha rigettato il motivo di appello affermando che “non solo la società RAGIONE_SOCIALE è stata dichiarata fallita (quindi insolvente), ma dagli atti non emerge che questa avesse un patrimonio o dei crediti che potessero essere sottoposti a confisca diretta; del resto, nemmeno l’appellante ha ipotizzato una concreta possibilità di confisca diretta nei confronti della fallita”.
In sede di ricorso per cassazione l’imputato ha riproposto il motivo di appello dedicato alla statuizione sulla confisca, e sostenuto che il fallimento della RAGIONE_SOCIALE non rappresentava un ostacolo alla confisca diretta, e che l’attivo fallimentare era capiente, perché, anche a considerare i soli versamenti degli imputati, COGNOME ed i suoi coimputati avevano versato al fallimento la cifra di 880.000 euro (di cui 100.000 versati proprio da COGNOME).
Con sentenza n. 29745 del 12/05/2023 la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, argomentando sul motivo sulla confisca in questo modo: “la censura relativa al mancato tentativo di confisca dei beni fallimentari va, invece, risolta in fatto (divenendo così ininfluente, ai fini del decidere, il quesit posto alle Sezioni unite in ordine all’apponibilità del vincolo reale discendente dalla commissione di reati tributari ai beni fallimentari, diversamente da come prospettato dal ricorrente nella memoria). Sulla medesima censura di appello, infatti, la Corte territoriale aveva congruamente argomentato che RAGIONE_SOCIALE non solo era fallita (e quindi non in grado di assolvere i debiti contratti, in particolare n confronti dell’erario), ma aveva anche già ceduto il marchio, e non risultava, agli atti o altrimenti, che disponesse di qualsivoglia cespite, tanto meno di valore tale da consentire l’invocata confisca diretta. Né i versamenti effettuati dal COGNOME o da altri coimputati mutano il quadro, non essendo note né le date di conferimento né il titolo per il quale erano state versate, e costituendo comunque disponibilità di gran lunga inferiori al debito complessivo verso l’erario”.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., il condanNOME, che, con unico motivo, lamenta l’errore di fatto commesso dal collegio che ha emesso la sentenza sopra indicata, in particolare l’errore verterebbe sull’esame dei quarto motivo di ricorso a suo tempo presentato.
A giudizio del ricorrente straordinario, la sentenza n. 29745 del 2023 ha compiuto un errore sul fatto, perché nell’esame del quarto motivo di ricorso ha erroneamente ritenuto che:
(a) non fossero note le date in cui COGNOME e gli altri coimputati avevano versato determinate somme alla curatela, che invece erano note perché dagli atti allegati al ricorso emergevano le date in cui erano stati effettuati i versamenti, in particolare quello di COGNOME era avvenuto all’udienza preliminare del 19 ottobre 2017, anche perché la circostanza era stata citata dalla stessa sentenza di primo grado quale fondamento per la concessione agli imputati delle attenuanti generiche;
(b) non fosse nota la causa dei predetti versamenti, che invece era nota perché essa doveva rinvenirsi negli accordi transattivi stipulati con la curatela per evitare l’azione civile della stessa nel processo penale e nel consenso da ottenere dal pubblico ministero sull’istanza di applicazione pena che si intendeva presentare in udienza preliminare;
(c) le somme incassate in questo modo dalla curatela fossero comunque inferiori al profitto illecito conseguito dalla società attraverso il reato fiscale, perc il profitto fiscale cui doveva farsi riferimento era solo quello del reato per cui era stato condanNOME COGNOME, pari a 338.975 euro, mentre le somme versate complessivamente dai coimputati erano pari a 880.000 euro.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Con nota di conclusioni scritte il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
La questione attiene, come detto, alla statuizione sulla confisca per equivalente disposta nei confronti del ricorrente.
La sentenza di primo grado contiene sul punto il seguente dispositivo: “Dispone la confisca per equivalente fino alla concorrenza di euro 3.868.067,61 per COGNOME, di euro 2.607.500 per COGNOME, di euro 906.047,61 per COGNOME, di euro 4.725.026,39 per COGNOME, di euro 80.400 per COGNOME, disponendo per l’effetto il dissequestro dei beni in sequestro preventivo probatorio o carico di COGNOME, il cui valore superi la somma sopraindicata. Dissequestro e restituzione a COGNOME dei computer e i-Pad sequestrati il 16 aprile 2014″. In motivazione, a pag. 124, si corregge l’errore materiale contenuto nel dispositivo e
si precisa che per COGNOME l’importo della confisca deve intendersi pari ad euro 338.975.
Nei motivi di appello COGNOME ha censurato con il terzo motivo la statuizione sulla confisca deducendo violazione di legge e vizio di motivazione e rilevando che in ambito tributario, quando l’evasione d’imposta sia stata commessa da una società, la confisca per equivalente a carico del reo può essere disposta soltanto quando non sia possibile eseguire la confisca diretta nei confronti della società, e che nel caso in esame il giudice dell’abbreviato aveva disposto direttamente la confisca a carico del reo senza valutare se fosse possibile la confisca diretta a carico della società.
In corso di giudizio di appello la difesa di COGNOME ha depositato una memoria all’udienza del 4 settembre 2020, in cui ha precisato meglio il concetto in diritto ed aggiunto che nel caso in esame vi era la prova dell’avvenuto versamento a favore della curatela di una somma pari ad euro 880.000 da parte dello stesso COGNOME e dei coimputati COGNOME, COGNOME e COGNOME.
La sentenza di secondo grado ha rigettato il motivo di appello con la motivazione riportata al punto 1 della parte in fatto, ovvero che “non solo la società RAGIONE_SOCIALE è stata dichiarata fallita (quindi insolvente), ma dagli atti non emerge che questa avesse un patrimonio o dei crediti che potessero essere sottoposti a confisca diretta; del resto, nemmeno l’appellante ha ipotizzato una concreta possibilità di confisca diretta nei confronti della fallita”.
Nel ricorso per cassazione COGNOME, dopo aver sostenuto che in diritto il fallimento della RAGIONE_SOCIALE non rappresentasse un ostacolo alla confisca diretta, aveva ripreso l’argomento che i soli versamenti degli imputati alla curatela arrivavano a coprire la cifra di 880.000 euro.
Ai fini dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione aveva depositato i verbali dell’udienza preliminare (ali. 7 e 8 al ricorso). Nel verbale dell’udienza del 20 luglio 2017 si legge, per ciò che qui rileva: “l’AVV_NOTAIO deposita procura speciale e richiesta di applicazione pena per COGNOMERAGIONE_SOCIALE la curatela conferma la ricezione del bonifico di euro 50.000, il pm presta il consenso; l’AVV_NOTAIO per COGNOME deposita richiesta di applicazione pena e consegna all’AVV_NOTAIO, delegato dal curatore, un assegno circolare di euro 80.000; si allega la delega all’AVV_NOTAIO e copia dell’assegno, il pm presta il consenso”. Nel verbale dell’udienza del 19 ottobre 2017 si legge che “l’AVV_NOTAIO per COGNOME deposita richiesta di applicazione pena, il difensore deposita altresì fotocopia di un assegno circolare di euro 100.000 alla curatela, di cui l’AVV_NOTAIO conferma l’avvenuta ricezione, il pm presta i consenso”, più avanti si legge anche che l’AVV_NOTAIO deposita istanza di applicazione prima allegando documentazione attestante il versamento di euro 650.000 alla curatela e ‘documentazione relativa alla provenienza delle somme,
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lAVV_NOTAIO conferma la ricezione delle somme, il pm presta il consenso, l’AVV_NOTAIO deposita memoria illustrativa dell’istanza”.
La sentenza n. 29745 del 2023 ha, come detto, dichiarato inammissibile il motivo, e sul punto oggetto della odierna impugnazione straordinaria, dopo aver ritenuto irrilevante la questione di diritto sull’aggredibilità dei beni del fallit aver aggiunto che la RAGIONE_SOCIALE non disponeva di un patrimonio aggredibile, ha sostenuto che “né i versamenti effettuati dal COGNOME o da altri coimputati mutano il quadro, non essendo note né le date di conferimento né il titolo per il quale erano state versate, e costituendo comunque disponibilità di gran lunga inferiori al debito complessivo verso l’erario”, che è la frase in cui si anniderebbe l’errore di fatto, e che viene aggredita con il ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen.
Il ricorso deduce, infatti, che la sentenza n. 29745 ha errato nell’affermare che: (a) non fossero note le date in cui COGNOME e gli altri coimputati avevano versato determinate somme alla curatela, (b) che non fosse noto il titolo di tali versamenti, (c) le somme incassate in questo modo dalla curatela fossero comunque inferiori al profitto illecito conseguito dalla società attraverso il reato fiscale.
Ciò posto:
sul punto (a) il ricorrente ha ragione, perché dalla lettura dei verbali del 20 luglio 2017 e del 19 ottobre 2017 dell’udienza preliminare, che COGNOME aveva allegato al ricorso originario ai fini dell’autosufficienza, emerge il versamento di questi importi, che avviene o in udienza o in data antecedente e prossima ad essa, e le conferma da parte del difensore della curatela di aver ricevuto il bonifico o l’assegno circolare;
sul punto (b) il ricorrente, invece, usa in modo improprio il rimedio dell’impugnazione straordinaria dell’art. 625-bis cod. proc. pen., perché dalla lettura dei verbali di udienza riportati sopra non emerge un titolo del versamento, perché le parti private si limitano a dare atto dei versamenti e della ricezione, ma non precisano alcun titolo, che il ricorrente straordinario vorrebbe desumere implicitamente dalla circostanza che, a seguito dei versamenti e dell’accettazione degli stessi, gli imputati hanno chiesto l’applicazione pena, ma l’ottenimento del consenso del pubblico ministero sull’applicazione pena proposta non è il titolo giuridico di un versamento, ma solo la conseguenza in sede penale della manifestazione esteriore della resipiscenza dell’imputato che si può desumere dal pagamento di un importo a favore della persona offesa, e lo stesso può dirsi della conseguente rinuncia della parte civile alla costituzione. Pertanto, la frase della pronuncia n. 29745, secondo cui non è noto “il titolo per il quale erano state versate” le somme, è nella sostanza corretta e si potrebbe sottoscrivere anche
dopo la lettura dei due verbali di udienza preliminare, perché in essi il titolo non è esplicitato, e quello che secondo il ricorso straordinario si dovrebbe desumere per facta condudentia dalla lettura dei verbali non è un titolo giuridico in senso proprio, ma soltanto una conseguenza dei predetti versamenti;
sul punto (c) il ricorso è infondato, perché la frase della sentenza della n. 29745, secondo cui gli importi versati dagli imputati costituiscono “comunque disponibilità di gran lunga inferiori al debito complessivo verso l’erario”, in sé è corretta, perché i crediti dell’amministrazione finanziaria nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sono più ampi di quelli della imputazione contestata al solo COGNOME, perchè riguardano anche altri anni di imposta (non rileva che siano stati dichiarati prescritti o meno nel processo penale, perché il credito dell’amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente infedele non viene meno se il processo per il reato si estingue per prescrizione). Il ricorso straordinario sostiene che l’ammontare del profitto fiscale cui doveva farsi riferimento era solo quello del reato per cui era stato condanNOME COGNOME ma si tratta di argomento non idoneo a reggere un ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., in cui si può rilevare soltanto l’errore percettivo commesso dalla pronuncia della Corte di Cassazione, ma non contestare la correttezza dell’imputare, ai fini della confisca, gli importi versati dagli imputati in corso di giudizio al solo debito relativo al reat per cui è stato condanNOME COGNOME oppure a tutti i debiti della RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’erario, come, invece, ha sostenuto la pronuncia impugnata avendo usato l’espressione “debito complessivo verso l’erario”.
Ne consegue che all’esito dell’esame del ricorso emerge l’esistenza di un errore percettivo della pronuncia n. 297.45 soltanto sul punto (a), ovvero sull’essere note o meno le date dei versamenti effettuati alla curatela dagli imputati in corso di giudizio.
Ma questo errore percettivo non ha il carattere della decisività che deve caratterizzare la rilevabilità dell’errore di fatto ai sensi dell’art. 625-bis cod. pro pen. (Sez. 5, Sentenza n. 45384 del 13/09/2018, COGNOME., Rv. 274125; Sez. 2, Sentenza n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982; Sez. 6, Sentenza n. 16287 del 10/02/2015, COGNOME, Rv. 263113; Sez. 4, n. 6770 del 17;01/2008, COGNOME, Rv. 239037), perché l’eliminazione dalla pronuncia impugnata dell’inciso sulla conoscenza delle date dei versamenti non è idoneo a disarticolare il percorso logico della motivazione della sentenza.
In definitiva, il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.QM.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso il 16 febbraio 2024
Il consigliere estensore
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