Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30479 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30479 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PARTINICO il 01/03/1999
avverso l’ordinanza del 27/12/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Palermo
Letto il ricorso ed esaminati gli atti;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dal Procuratore Generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27 dicembre 2024, il Tribunale di Palermo ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME, confermando integralmente il decreto emesso dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale in data 25 novembre 2024, il quale, ritenuti sussistenti il fumus delicti e il periculum in mora , disponeva il sequestro preventivo funzionale alla confisca ex art. 240 bis cod.pen., anche per equivalente, di alcuni beni immobili cointestati al medesimo, e di un appartamento intestato alla madre NOME componente dello stesso nucleo familiare.
Il provvedimento ablatorio veniva adottato in relazione ai delitti contestati nell’addebito provvisorio nell’ambito di un’indagine per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
Il Collegio giudicante ha integralmente confermato il giudizio di ricorrenza del fumus delicti in relazione a tutti i fatti di reato in epigrafe, rinviando al titolo genetico e alla richiesta cautelare per l’analitica ricostruzione della vicenda delittuosa.
È stato richiamato il quadro indiziario costituito da: servizi di captazione ambientale e telefonica; attività di osservazione, anche tramite video-sorveglianza; arresti in flagranza dei corrieri calabresi; sequestri, tra cui quello eseguito in data 3 luglio 2023 presso il casolare denominato “INDIRIZZO” sito a Carini, contenente rilevanti quantitativi di sostanze stupefacenti e armi; dichiarazioni auto ed etero accusatorie dei collaboratori di giustizia.
Il Tribunale ha ravvisato l’esistenza di un sodalizio criminale gravitante intorno alla figura di COGNOME NOME, quale promotore e vertice strategico-operativo, composto altresì dal nipote COGNOME NOME, da COGNOME NOME e dall’odierno indagato COGNOME NOME, stabilmente dedito alla commissione di delitti di acquisto, trasporto, detenzione e cessione all’ingrosso di sostanze stupefacenti.
Il Collegio ha sottolineato il ruolo esecutivo, stabilmente ricoperto dall’indagato, di rivenditore delle partite di droga ricevute dal vertice COGNOME e di collettore dei proventi dell’attività delittuosa, come emerso dall’analisi delle captazioni ambientali e dai riscontri investigativi relativi agli episodi contestati ai capi P) e Q) del capo di imputazione.
Quanto agli ulteriori presupposti della cautela reale, ha richiamato le risultanze degli accertamenti patrimoniali e reddituali condotti dalla Polizia Giudiziaria, dai quali emergeva che, negli anni dal 2013 al 2022, la sperequazione finanziaria scalare annua del nucleo familiare dell’indagato (composto anche da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Salvatore e COGNOME NOME) risultava sempre di segno ampiamente negativo (- euro 429.760).
Il Collegio ha rilevato che la difesa non aveva fornito prova della dedotta provenienza lecita della provvista economica per l’acquisto dei beni immobili in sequestro. In particolare, quanto alla somma di euro 416.108,78 ricevuta dal padre dell’indagato a titolo di risarcimento per ingiusta detenzione, si osservava che tale importo, accreditato in data 24 giugno 2022 sul conto corrente Banco Posta cointestato con il coniuge NOME, era stato prontamente reinvestito già in data 4 luglio 2022 nella sottoscrizione di una polizza (euro 130.000) e di buoni
dematerializzati (euro 270.000), senza che risultassero successivi disinvestimenti di tali attività finanziarie.
Il Tribunale ha precisato che, anche a voler ritenere dimostrata la provenienza lecita della provvista economica per l’acquisto dei beni immobili, il vincolo reale risulta comunque legittimamente apposto nella forma “per equivalente”, ai sensi dell’art. 240 bis, ultimo comma, cod.pen., il quale consente la confisca di “altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente”.
Quanto al requisito del periculum in mora , il Collegio ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di sequestro conservativo, secondo cui la valutazione circa l’effettiva esistenza dell’esigenza anticipatoria della confisca va formulata tenendo conto delle condizioni del patrimonio attinto dalla misura, potendo ravvisarsi tale esigenza qualora il patrimonio sia insufficiente ovvero laddove l’atteggiamento assunto dall’indagato sia tale da far desumere l’eventualità di un depauperamento e dispersione del bene. Nel caso di specie, l’esigenza anticipatoria risulterebbe pacificamente ricorrente per la mancanza di qualsivoglia altro bene patrimoniale, mobile o immobile, da sottoporre alla misura ablatoria, e in considerazione dell’allarmante capacità criminale palesata dal COGNOME.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame, la difesa dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo di impugnazione fondato sulla violazione dell’art.606 co. 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen., per erronea applicazione della legge penale, mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla pretesa sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro per equivalente ai sensi dell’art. 240 bis ult. co. cod.pen.
Il ricorrente deduce specificamente il vizio di motivazione, lamentando che il Tribunale del Riesame avrebbe erroneamente affermato che le attività finanziarie sottoscritte dal padre dell’indagato non risultavano essere state oggetto di disinvestimento, quando invece contestualmente all’addebito della somma di euro 160.000 per l’acquisto dell’immobile intestato alla madre NOME era stato disposto il “rimborso buoni dematerializzati da internet”.
Lamenta inoltre l’erronea applicazione dell’art. 240 bis, ult. co., cod.pen., sostenendo che il Collegio del riesame avrebbe manifestato un’interpretazione giuridicamente errata dell’istituto della confisca per equivalente, sostenendo la legittimità del sequestro anche “a voler ritenere dimostrata la provenienza lecita della provvista economica” e nonostante l’immobile fosse intestato alla madre.
Infine, eccepisce la manifesta illogicità della motivazione quanto al periculum in mora, lamentando che il Tribunale avrebbe genericamente evocato l’esistenza del requisito senza addurre elementi concreti e specifici che giustifichino il timore di dispersione dei beni.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
All’esame dei motivi di ricorso, è utile premettere che contro le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge.
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall’art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. b) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, P.C. COGNOME in proc. COGNOME, Rv. 226710).
Pertanto, nella nozione di violazione di legge, per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 co. 1 cod.proc.pen., rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692), ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 co. 1, lett. e), cod.proc.pen. (ex multis: Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119; Sez. 6 n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 242916).
Relativamente alle prime due censure, dal confronto delle argomentazioni formulate dal Tribunale con i suddetti principi, si deve ritenere che il provvedimento impugnato, risponda ai requisiti di coerenza, completezza e ragionevolezza, risultando perciò idoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
2.1 Va premesso che il principio della reciproca integrazione tra i provvedimenti del giudice di merito, costituenti “doppia conforme”, vale non solo per le sentenze (secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte: Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME ed altri, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore e altro, Rv. 266617) ma anche per le ordinanze in materia di libertà personale (principio risalente a Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205257; in conformità: Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, COGNOME e altro, Rv. 212685; Sez. 6 n. 48649 del 06/11/2014, COGNOME ed altri, Rv. 261085; Sez. 3, n. 8669 del 15/1/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266765).
2.2 Inoltre, si rammenta che la “confisca in casi particolari”, in origine disciplinata dal d.l. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, convertito dalla legge n. 356 del 1992, è ora prevista dall’art.240-bis cod. pen. a seguito dell’introduzione con la legge n. 103 del 2017 del principio di riserva di codice, attuato dal d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21.
La norma citata recita: “Nei casi di condanna per taluno dei delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale è sempre disposta la confisca del denaro,
dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”.
I caratteri dell’istituto in rassegna si trovano delineati in maniera perspicua nella sentenza delle Sezioni Unite n. 27421 del 25/02/2021, Crostella. “Nella prassi applicativa la confisca in casi particolari è definita ‘atipica’, ‘allargata’ o ‘estesa’ per distinguerla dalle altre ipotesi di confisca obbligatoria, dalle quali si differenzia perché non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto del reato per il quale sia stata pronunciata condanna, ma beni del reo che, al momento del loro acquisto, siano non giustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività svolta. La previsione normativa della confisca trae giustificazione dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita da parte del soggetto condannato penalmente. L’accertata responsabilità per taluni reati tassativamente elencati di particolare gravità ed allarme sociale costituisce ‘spia’ ovvero indice presuntivo della commissione di altre attività illecite, fattori di un arricchimento che l’ordinamento intende espropriare per prevenirne l’utilizzo quale strumento per ulteriori iniziative delittuose”.
“Il legislatore ha scelto di delineare la confisca allargata quale misura di sicurezza che, seppur basata su un sistema probatorio presuntivo, è necessariamente dipendente dalla sussistenza del ‘reato-spia’. L’accertamento giudiziale della configurabilità in tutti i suoi elementi costitutivi di una delle fattispecie criminose previste dall’art. 240-bis cod. pen. fonda il sospetto che il condannato abbia tratto dall’attività delittuosa le forme di ricchezza di cui dispone, anche per interposta persona. Il giudizio di colpevolezza in ordine al reato commesso e la natura particolare di questo, idoneo ad essere realizzato in forma continuativa e professionale ed a procurare illecita ricchezza, fanno ritenere l’origine criminosa di cespiti, di cui si sia titolari in valore sproporzionato rispetto a redditi ed attività, in base alla presunzione relativa della loro derivazione da condotte delittuose ulteriori rispetto a quelle riscontrate nel processo penale”.
“La relazione tra ‘reato-spia’ ed elemento patrimoniale non è espressa dal legislatore in termini di produzione causale del secondo ad opera del primo, né di proporzione di valore tra i due elementi, ragione per la quale anche la collocazione temporale dell’incremento della ricchezza del condannato di per sé non assume rilievo quale criterio di selezione dei beni confiscabili”.
In sintesi, la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosità presente, non è esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna. Occorre, però, che ricorrano i seguenti ineludibili presupposti: l’esistenza di una sproporzione, al momento dell’acquisto di ciascun bene, tra reddito dichiarato o proventi dell’attività economica e valore del bene, unitamente all’assenza di una giustificazione credibile circa la provenienza; il rispetto del criterio di “ragionevolezza temporale”.
Sul primo profilo, le Sezioni Unite Montella (sentenza n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Rv. 226491) hanno ritenuto necessario “da un lato, che, ai fini della ‘sproporzione’, i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti, e, dall’altro, che la ‘giustificazione’ credibile consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna”.
Circa il requisito della ragionevolezza temporale, va ricordato che si tratta di criterio assunto anche dalla Corte costituzionale a parametro di verifica della tenuta costituzionale della confisca in casi particolari. Con la sentenza interpretativa di rigetto n. 33 del 2018 la Consulta ha riconosciuto che la coerenza col sistema dei valori costituzionali della presunzione relativa di illecita accumulazione dei beni di valore sproporzionato pretende che essa “sia circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale” nel senso che il momento di acquisizione del bene da confiscare non dovrebbe risultare così lontano dall’epoca di realizzazione del “reato spia” da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita.
2.3 Con specifico riferimento al primo motivo (secondo cui il Tribunale avrebbe erroneamente affermato che le attività finanziarie sottoscritte dal padre dell’indagato non risultavano essere state oggetto di disinvestimento), la censura si rivela generica e non supportata da elementi idonei a contrastare le argomentazioni del Tribunale.
Nel caso di specie, il giudice della cautela ha selezionato i beni acquisiti in periodo coevo all’attività criminale, in ossequio al criterio della ragionevolezza temporale; ha considerato il reddito imponibile del COGNOME Domenico e del suo nucleo familiare dal 2013 al 2022; ha eseguito il confronto evidenziando la manifesta sproporzione tra il patrimonio acquisito e la capacità reddituale lecita del nucleo familiare, che risultava caratterizzato da una sperequazione finanziaria scalare annua sempre di segno ampiamente negativo (- euro 429.760).
Nello specifico, il Tribunale ha correttamente rilevato che la somma di euro 416.108,78 ricevuta dal padre dell’indagato a titolo di risarcimento per ingiusta detenzione era stata prontamente reinvestita già in data 4 luglio 2022 nella sottoscrizione di una polizza e di buoni dematerializzati, senza che risultassero successivi disinvestimenti delle attività finanziarie al momento degli acquisti immobiliari.
La completa valutazione operata dal giudice del riesame, peraltro conforme ai canoni della logica, non permette di ravvisare alcuna carenza motivazionale.
2.4 Manifestamente privo di fondamento è il secondo motivo.
Il ricorrente lamenta un’erronea applicazione dell’art. 240 bis ult. co. cod.pen., sostenendo che il Collegio del Riesame avrebbe manifestato un’interpretazione giuridicamente errata dell’istituto della confisca per equivalente.
L’art. 240 bis, ultimo comma, cod.pen. dispone che “nei casi previsti dal primo comma, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona”.
La ratio della norma è impedire che il soggetto possa sottrarsi alla confisca attraverso operazioni di occultamento o dispersione dei beni di origine illecita, sostituendoli con altri di pari valore.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la legittima provenienza dei beni non costituisce ostacolo alla confisca per equivalente, che per definizione ha ad oggetto beni estranei al reato ma di valore corrispondente al patrimonio sproporzionato.
Il Tribunale ha correttamente precisato che il vincolo reale risulta legittimamente apposto nella forma “per equivalente” anche quando sia dimostrata la provenienza lecita della provvista economica per l’acquisto dei beni immobili, ai sensi dell’art. 240 bis ultimo comma cod.pen.
2.5 Con riferimento al bene intestato alla madre, occorre valutare preliminarmente la legittimazione ad impugnare da parte dell’indagato.
Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente e condivisibile di questa Corte di Cassazione, formatasi nei casi di divergenza tra titolarità e disponibilità del bene, l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare purché vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale, va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (ex multis, Sez. 5, n. 20118 del 20/04/2015, COGNOME, Rv. 263799; Sez. 2, n. 17852 del 12/03/2015, COGNOME Rv. 263756).
Affinché sia legittimato a proporre impugnazione, pertanto, l’indagato o l’imputato deve reclamare una relazione con la cosa a sostegno della sua pretesa alla cessazione del vincolo, in quanto il gravame deve essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante (Sez. 1, n. 15998 del 28/02/2014, COGNOME, Rv. 259601).
È pur vero che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca, non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un terzo e si assuma che esso si trovi nella effettiva titolarità della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata e che in tal caso incombe sull’accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca (Sez. 1, n. 6137 del 11/12/2013 – dep. 2014, Soriano, Rv. 259308; Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, COGNOME e altro, Rv. 254699; Sez. 1, n. 27556 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247722).
Tuttavia, la doglianza deve essere formulata dal diretto interessato e non dal COGNOME Domenico, il quale specificamente contesta il ruolo di interponente o di sostanziale proprietario.
Il ricorso sul punto va dichiarato inammissibile per carenza di interesse del ricorrente relativamente al bene intestato alla madre NOMECOGNOME rispetto al quale l’indagato non può vantare alcun diritto alla restituzione, non potendo ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione.
Manifestamente infondato risulta il terzo motivo di ricorso, con il quale si censura l’asserita illogicità della motivazione relativa al periculum in mora , sostenendosi che il Tribunale del Riesame avrebbe genericamente evocato l’esistenza del presupposto cautelare senza addurre elementi concreti e specifici idonei a giustificare il timore di dispersione dei beni.
Tale doglianza si rivela infondata alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali elaborati dalle Sezioni Unite in materia.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, i provvedimenti di sequestro preventivo finalizzati alla confisca “allargata” di cui all’art. 240-bis c.p. devono contenere una concisa motivazione circa la sussistenza del periculum in mora , illustrando – nel rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura reale – le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio (Sez. 5, n. 44221 del 29/09/2022, Poerio ).
Le Sezioni Unite Ellade hanno precisato che la valutazione circa l’effettiva esistenza dell’esigenza anticipatoria della confisca va formulata tenendo conto delle condizioni del patrimonio interessato dalla misura, potendo ravvisarsi il periculum tanto nell’ipotesi di patrimonio insufficiente, quanto nel caso in cui l’atteggiamento assunto dall’indagato sia tale da far desumere l’eventualità di un depauperamento e dispersione del bene ( Sez. U , n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848).
Nel caso di specie, la motivazione sul periculum in mora non risulta affatto carente o generica, ma si fonda su un’analisi puntuale e circostanziata della condizione patrimoniale dell’indagato e del suo profilo criminologico.
Il Tribunale del Riesame ha infatti specificamente evidenziato l’assoluta carenza di beni patrimoniali alternativi nella disponibilità del soggetto – circostanza peraltro non smentita dalla difesa, che non ha fornito documentazione alcuna circa l’eventuale esistenza di garanzie patrimoniali sostitutive – e ha contestualmente posto in rilievo l’allarmante capacità criminale dimostrata dall’indagato nel corso della vicenda processuale.
La combinazione di tali fattori – insufficienza patrimoniale e pericolosità soggettiva – ha consentito al giudice di formulare una prognosi di rischio fondata e ragionevole circa la probabile realizzazione di operazioni volte a dissipare o disperdere i cespiti sottoposti a sequestro, in vista di una eventuale futura condanna.
L’argomentazione del Tribunale del Riesame si rivela pienamente aderente ai canoni ermeneutici consolidati dalla giurisprudenza di legittimità, sviluppandosi attraverso un iter
logico-giuridico scevro da quelle macroscopiche aporie che sole potrebbero compromettere l’integrità dell’apparato motivazionale.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico del medesimo, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 12/06/2025
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